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Il convento delle delizie

by Apollodoro new


(ciao ragazzi! Apollodoro ê tornato a produrre! Sono sempre io, anche se ho dovuto aggiungere “new” al nome e ho cambiato indirizzo di posta. Scrivetemi le vostre impressioni sul nuovo racconto e anche sui miei vecchi racconti del 1999-2000…)

Arrivare nel Convento dei monaci di S. Rocco non fu facile: disponevo di indicazioni imprecise e solo l’incontro con qualche viandante mi consentî di non perdermi nella fitta foresta che circondava la collina sulla quale sorgeva l’edificio, una severa costruzione in pietra bianca dotata di una torre svettante dalla quale si potevano sorvegliare tutti gli accessi. La decisione per la strada della castità era stata per me repentina: a diciotto anni appena compiuti, quando ancora non avevo assaggiato i piaceri della carne (neppure quelli solitari dei quali, strano a dirsi, nessuno mi aveva informato e ai quali non ero arrivato con l’intuizione…) coltivavo in me fosche fantasie sessuali che mi inquietavano, e mi dibattevo nell’incertezza sulla strada da seguire quando avevo avuto improvvisamente una visione accompagnata da una chiarissima chiamata di Nostro Signore: mi era apparso un angelo bellissimo, dalla bocca ardente e dagli occhi come soli, che aveva pronunciato parole celestiali, irripetibili, ma il cui significato, solo parzialmente traducibile, si era impresso nella mia mente in modo indelebile: “Recati al Convento di S. Rocco, là troverai … … e darai risposta ai tuoi travagli!” A mente fredda avevo poi razionalizzato: il Padre vuole che io diventi monaco, e che spenga quindi in me tutto questo ribollire di immagini oscure che mi tormenta. Egli esiste, ê certo, la prova ê questa stessa visione che mi ê arrivata chiarissima ed inequivocabile: non mi resta che ubbidire alla sua richiesta. Lungo il viaggio per arrivare al Convento, intanto, la decisione interiore mi aveva placato, e il contatto prolungato con la natura mi aveva rigenerato le membra stanche di dolorose tensioni irrisolte e prolungate. Avevo mandato una lettera per avvisare Padre Marcello del mio arrivo, ma mi chiedevo se fosse già arrivata mentre percorrevo il vialetto di ghiaia antistante il portone d’ingresso. Mi venne ad aprire un monaco che si presentô subito, e il suo nome mi colpî: Virgulto. Quando mi aprî, prima di farmi entrare, notai che il suo sguardo percorreva tutta la lunghezza del mio corpo e si soffermava piû volte, furtivamente, sul punto in cui non avrebbe dovuto fermarsi. Questo particolare mi sconcertô perché era esattamente il contrario di quello che mi aspettavo. Era vero che i miei pantaloni da borghese, discretamente attilati, mettevano in evidenza l’abbondanza di cui Madre Natura mi aveva dotato, ma l’interesse rivelato dall’occhiata del monaco era del tutto incomprensibile. Pensai con impazienza al momento in cui avrei indossato la tunica di juta con la quale vestivano i monaci, che avrebbe dissimulato quella vergogna che ero costretto a portarmi appresso. Virgulto mi informô che la lettera era arrivata nella mattina, e che Padre Marcello sarebbe stato felice di parlare con me per decidere se accogliere la mia richiesta. Mentre aspettavo nel chiostro che Padre Marcello fosse pronto a ricevermi, mi sembrô di sentire, nel silenzio assolato, un prolungato e sommesso mugolio. Nel chiostro, a quell’ora, non c’era nessuno. Pensai che fossero tutti ritirati, ciascuno nella sua cella, raccolti in preghiera, ma non riuscii a spiegarmi quello strano rumore: che avessero delle mucche vicino al convento? Finalmente Virgulto venne ad avvisarmi che potevo entrare nello studio di Padre Marcello. Anche quest’ultimo, nel vedermi, tradî (ma questa volta fu veramente una frazione di secondo) un’occhiata sulla mia vergogna prominente. Poi, nel proseguire della conversazione, notai che deglutiva con frequenza, ma attribuii la cosa a un tic passeggero. Padre Marcello mi accolse con grande calore, ma prima di ammettermi al Convento volle interrogarmi per chiarire la natura della mia vocazione. Spiegai a lui le cose piû o meno come le ho raccontate qui, ma Marcello non fu soddisfatto della vaghezza con la quale trattavo il punto delle mie fantasie. ªChe tipo di fantasie?» A quel punto fui costretto a entrare in dettaglio nella natura delle immagini che mi tormentavano, e vedevo che piû proseguivo nel discorso piû il colorito di Padre Marcello si faceva rossastro e il suo respiro si affannava. ªMa quando dici “torrenti di materia seminale maschile” intendi quel seme che Dio ha voluto esca dall’uomo per fecondare la donna? Ma tu sai, caro Boltraffio, che la quantità che fuoriesce dal membro ogni volta ê molto meno copiosa…» ªNo, Padre, non lo so perché non ho mai osservato un tale fenomeno.» ªNeanche su te stesso?» ªNo, Padre» Qui Padre Marcello ebbe un improvviso accesso di tosse che interruppe la nostra conversazione per qualche minuto. Quando riemerse dalla sua crisi (pensai soffrisse di asma) mi guardô negli occhi a lungo e poi mi disse: ªSei ammesso fra noi. Virgulto ti assegnerà una cella e ti illustrerà le regole del Convento.»

Ci fu poi una lunga attesa durante la quale sentivo, fuori dallo studio, che Padre Marcello dava istruzioni bisbigliate a Virgulto, con molta concitazione ma a volume cosî basso che mi fu impossibile capire ciô che si dicevano. La contemplazione del chiostro assolato e deserto mi fu perô di molto conforto. Ormai mi sentivo placato. Anche il fatto di aver vuotato il sacco con Padre Marcello su tutte le oscenità che mi perseguitavano mi dava la sensazione di essermene come liberato. Virgulto mi portô in una cella che recava il numero 23 e mi consegnô una tabella sulla quale erano segnati tutti gli orari delle attività comuni alle quali avrei dovuto partecipare e aggiunse che per l’istruzione circa le attività da svolgere nel ritiro della propria cella avrebbe provveduto direttamente Padre Marcello piû tardi. Quando fui solo mi distesi sul letto e cercai di riposare. Il mio sonno fu interotto da un altro rumore che sembrava provenire da lontano, ma che, dato lo spessore notevole delle pareti, poteva in realtà anche essere molto vicino. Si trattava ancora di un lamento, questa volta chiaramente umano, come di chi si provasse dolore ma, stranamente, volesse continuare a provarlo. Tesi l’orecchio e udii che il lamento proseguiva a piû riprese. Non riuscivo a capacitarmi di cosa potesse turbare la quiete di quel luogo, quando sentii bussare alla porta della mia cella. Era Padre Marcello che evidentemente veniva per spiegarmi gli esercizi spirituali. ªSenti, Boltraffio, devo dirti subito che qui la tua vocazione sarà messa a dura prova.» iniziô con voce tremante, in vistoso imbarazzo. ªCome?» ªSî, e capirai tu, senza bisogno che ti spieghi io il perché. Quello che voglio sapere ê se sei veramente deciso a mettere a tacere in te tutte quelle fantasie malsane.» ªMa Padre, le ho già spiegato che…» ªAnche di fronte a questo?» E qui Padre Marcello, cambiando improvvisamente espressione, si sollevô la tunica, mostrandomi che sotto era completamente nudo e sfoderava un attrezzo mostruoso, sicuramente piû grande del mio e turgido come un cetriolo olandese. La mia reazione immediata fu di chiudere gli occhi. Sentii subito balzarmi il cuore in gola e mi tornô l’osceno formicolîo che preludeva alle erezioni dolorose e pressanti che ben conoscevo. Mentre restavo ad occhi chiusi mi vorticavano in testa domande e dubbi. Mi sta mettendo subito alla prova nel modo piû diretto e sfrontato? È lui stesso il Diavolo in persona? Sto sognando? Cosa devo fare? Ero immobile, tremante e sudato, ma sentivo che inesorablmente il mio membro si stava ergendo, allungando e faceva fatica a trovare la strada nella stoffa dei pantaloni. Il violento rossore che percepivo sulle mie gote, il sudore che improvvisamente iniziô a colarmi dalla fronte, l’imbarazzo per la fragilità della mia vocazione, resa cosî evidente dalle modificazioni che il mio corpo stava subendo, si univano allo sgomento per il comportamento aggressivo di Padre Marcello, la cui figura mi appariva ormai ben diversa da come l’avevo ritenuto fino a quel momento. Anche lui, infatti, era eccitato. Ciô non si poteva mettere in dubbio. Mentre restavo ad occhi chiusi e come paralizzato, ormai con il membro del tutto eretto, anche se collocato in posizione sghemba data l’imbragatura nei pantaloni, sentii che Padre Marcello cominciava ad accarezzarmi proprio lî dove non avrebbe dovuto, stimolando quella parte che avrei voluto celare. Le sue parole ora si fecero suadenti e lascive: ªCaro Boltraffio, ma non ê possibile che tu non sappia come funziona il tuo stesso corpo. Non sai come raggiungere la fuoriuscita del seme?» ªNo… Pa…dre, gliel’ho… già detto…» balbettai ªMa avrai provato pure ad accarezzarti…» ªSî, ma… sem…pre per… poco…» ªMa no, Boltraffio, bisogna continuare, continuare…» E mentre diceva cosî aveva ormai tutte e due le mani sul mio fallo, che aveva nel frattempo liberato dai panni. Sentivo un’ondata di piacere provenire verso la testa, e aver radice nei miei testicoli, ma il punto in cui il piacere era piû intenso si trovava nell’innesto della cappella sul fusto del mio membro. Il mio piacere aumentava e Padre Marcello non accennava a staccare le mani dal mio fallo, roteandovi sopra delicatamente le dita. Da solo non mi ero mai spinto fino al quel punto, frenato dai sensi di colpa e dalla vergogna. I suoi leggeri massaggi provocavano delle sottili sensazioni che legavano il mio cervello in una morsa implacabile. Non riuscivo piû a pensare ad altro. Ero tutto concentrato su quello che il priore mi stava facendo. Poi smise del tutto di toccarmi, per circa mezzo minuto. Non osavo aprire gli occhi e cominciai a interrogarmi. Sentivo il membro puntare decisamente verso l’alto. Padre Marcello si era ricomposto? Perché mi aveva eccitato cosî tanto? Dove voleva arrivare? Forse la prova era finita, ma come spiegare la sua eccitazione? Quando riprese mi sentii trasalire perché capii che ora non si trattava piû delle sue mani. La mia cappella era avvolta in una cavità umida, morbida, calda… Non riuscivo a capire cosa mi stesse succedendo e a quel punto non resitetti alla curiosità e spalancai gli occhi. Padre Marcello era inginocchiato davanti a me. Con gli occhi chiusi e un’evidente espressione di felicità stava attaccato con la bocca al mio fallo, ciucciandolo avidamente. Con una mano, intanto, aveva saldamente impugnato il suo membro mostruoso e lo strofinava vigorosamente in su e in giû. Questa visione mi fece sprofondare in una piena di emozioni contrastanti: raccapriccio ed orrore per lo scandalo che si stava svolgendo sotto i miei occhi: l’abate di un convento in un atteggiamento a dir poco animalesco, beato nella sua oscenità, del tutto incurante di provocare a un novizio come me un turbamento violento e che avrebbe lasciato certamente segni indelebili; ma anche, insieme, provavo un desiderio irrefrenabile che Padre Marcello continuasse, continuasse a violentarmi, e sentivo che ormai il turgore del mio fallo era arrivato a un punto di non ritorno, e avevo voglia era di andare fino in fondo, di non smettere, non smettere… ªDài, sucamelo!! Piû forte, cazzo!!!» La frase mi era uscita spontaneamente, una sorta di grido dal profondo delle viscere ribollenti, e mi spaventai io stesso per la brutalità e la rozzezza delle mie parole (che evidentemente avevo percepito, pronunciate o scritte sulle pareti di gabinetti pubblici, e mi erano rimaste impresse nell’inconscio…). Mi sentivo preda di un fuoco demoniaco. Padre Marcello, per un attimo, colpito da tanta volgarità, staccô la bocca dalla mia cappella lucida della sua bava e mi guardô con stupore, ma a quel punto gli afferrai io la testa e la risospinsi con forza in giû. “Giû! Ciuccia, maiale!” pensai. E come risentii la sua bocca avvolgente presi a guidarlo, afferratagli la testa con le due mani, in modo che il suo pompare fosse piû ritmato e incalzante. Il piacere cresceva, cresceva, e sentivo che stavo arrivando al limite della sopportazione. Improvvisamente mi tornô fulminea la visione dell’angelo dalla bocca ardente. Mi guardava con occhi abbaglianti, ma questa volta il campo della mia visione era piû ampio, verso il basso, e vidi che era dotato di un fallo perfetto, luminoso, incorniciato da folti riccioli neri, che eruttava come una fontana liquido bianco, senza smettere mai… un getto continuo e meraviglioso, e le sue parole, questa volta, furono molto esplicite. Disse: ªEcco, Boltraffio, adesso sai qual ê la tua vocazione! Questo ê il tuo compito!» e con una mano a coppa raccoglieva il liquido immacolato che contiunava a fluire dalla punta del fallo. ªQuesto ê il prodotto della tua fede in me: sarai votato per sempre allo sperma, lo cercherai in ogni forma, in te e fuori di te, la notte e il giorno, e imparerai tutte le tecniche per farlo uscire dal corpo e tutti i nomi con cui viene chiamato. Eiaculerai e vorrai lo sperma altrui sopra ogni altra cosa, e io ti guiderô per sempre, ti indicherô la via per giungere a me e quando sarai qui potrai attaccarti al mio cazzo supremo e ingoiarla fino a riempirtene completamente. Sborra, ora! adesso!!!» Sentii un’impennata, un’ondata di piacere fortissimo e irresistibile che iniziô a farmi spingere e contrarre un muscolo alla radice dei testicoli e percepii chiaramente che stavo emettendo spruzzi violenti di caldo liquido seminale nella gola affamata di Padre Marcello. Ero all’estasi, e mi abbandonai completamente a quelle sensazioni celestiali, pur sapendo ormai con certezza che la visione avuta era quella del Diavolo, non certo di Dio. Padre Marcello, ingozzato con la mia sborra, si alzô fulmineamente, mi spinse con violenza in ginocchio e mi disse: ªApri la bocca, Boltraffio, prendila tutta, svelto!». Spalancata la bocca e estratta la lingua in tutta la sua lunghezza, vi appoggiai il suo arnese turgido, enorme, e restai in attesa. Con la coda dell’occhio mi accorsi che Virgulto era penetrato silenziosamente nella cella e stava assistendo a tutta la scena, sbavando e masturbandosi sotto la tonaca. I getti bollenti che iniziarono ad arrivarmi in gola mi deliziarono, e a quel punto presi a ciucciare come se stessi poppando, ingoiando tutto quel latte cremoso e dolciastro che Padre Marcello mi elargiva con generosità. Mi sentivo compeltamente sottomesso alla sua autorità e all’autorità del Demonio che mi aveva guidato in quel luogo di perdizione. Quello era il mio posto, avevo trovato la ragione della mia vita. ªBene, Boltraffio» disse Padre Marcello dopo essersi svuotato fino all’ultima goccia, ricomponendosi ªora sai quale sarà la tua principale attività qui dentro. Per i primi sei mesi sarai addetto unicamente a ciucciare e ingoiare lo sperma dei monaci, in qualsiasi luogo e momento, anche pubblicamente, obbedendo al piû piccolo cenno di un loro desiderio (se oserai rifiutarti sarai frustato a sangue dalle guardie, che provvederanno poi a farti ingurgitare le loro deiezioni); successivamente per altri sei mesi dovrai soddisfare ogni voglia dei monaci anche per mezzo del tuo orifizio anale (che nel frattempo avrai provveduto ad allargare adeguatamente servendoti dell’attrezzatura contenuta in quel cassetto), in seguito potrai richiedere servizi analoghi ai novizi, e piû avanti ancora ai tuoi pari. Per il primo anno, quindi, al tuo piacere potrai provvedere unicamente con le tue stessi mani, ma solo nel chiuso della tua cella e raccogliendo lo sperma nell’apposita ciotola, che verrà regolarmente ritirata e svuotata da Virgulto (la sua sete di sperma ê insaziabile…). Questo convento ê territorio dell’Anticristo, e da tempo noi abbiamo rinunciato ad opporci ai suoi voleri. Qui dentro, come avrai modo di constatare tu stesso, ê praticamente impossibile opporsi a Lui. Dio, che qui lotta con Lui strenuamente, cercherà di manifestarsi a te, ogni tanto, sotto forma di spaventosi sensi di colpa… Sono crisi periodiche a cui ti abituerai… ma quando le subirai chiedi aiuto a me e agli altri. Sapremo come darti sollievo. Del resto ê inutile, per un uomo dotato naturalmente come te, cercare di resistere alla signoria del Maligno: come potresti allontanarti dal peccato recando in te il peso di un organo sessuale cosî prorompente? Come pensavi di poterti dare alla castità, se sarebbe bastata un’occhiata al tuo stesso membro mentre liberi la vescica per mettere in imbarazzo la tua vocazione? Come resistere se sono i panni stessi che indossi a stimolare la tua carne, che non puô da essi essere contenuta?» ªMa Padre, io pensavo che il saio lasciasse libera e tranquilla la mia ingombrante vergogna…» ªApri quell’armadio e indossa la veste monacale. Vedrai tu stesso. Se scegli di mettere la biancheria ti accorgerai che il membro nell’impaccio dei panni riceve stimolazione anche nell’immobilità, come del resto già hai sperimentato con gli abiti civili; se scegli di non indossarla noterai che il membro riceve stimolazione nel movimento: credi che lasciando libero il tuo batacchio di dondolare in tutte le direzioni questo se ne starà buono come se fosse nel vuoto? Saranno le tue stesse cosce ispide di pelo e la tua veste di ruvida juta a tormentarlo e a farti tornare in direzione del Demonio.» ªMa allora, Padre, tutti i monaci di questo convento hanno membri di grosse proporzioni?» ªIn prevalenza sî, ma non ê detto, caro Boltraffio, perché le vie del Maligno sono infinite: c’ê chi ha il fallo molto piccolo, ma proprio per questo aspira ed ê attratto dai molto dotati; c’ê chi l’ha nella norma, ma possiede un orifizio anale particolarmente sensibile e dilatabile… o una fantasia galoppante… e cosî via» ªMa… ma… non temete le sofferenze eterne che Dio vi infliggerà dopo la morte?» ªQuello che Dio chiama “sofferenze eterne” sono “piaceri eterni” dal punto di vista del Demonio: l’unico problema ê che saremo eternamente schiavi del nostro desiderio inesauribile, condannati alla ricerca continua ed affannosa del temporaneo sollievo dalla tensione sessuale, ma d’altra parte, come tu sai, la tensione sessuale, il desiderio, ê già di per sé una forma di piacere, se riesci a liberarti dal senso di colpa…» Per un attimo fui come folgorato da un’intuizione: bene e male erano solo due nomi che Dio, dal suo punto di vista, aveva dato ai due princîpi che reggono il mondo: il Demonio li avrebbe chiamati in un altro modo: la fatica e il piacere.

Nel seguito della giornata sperimentai piû volta cosa volesse dire arrivare all’orgasmo con le proprie mani. Virgulto ebbe di che saziarsi, per quella notte…

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