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Il Centro - Parte 3

by Mr.lyle


"Quello che devo dirti non ti piacerà, ma preferisco che tu lo sappia oggi e da me, che non in un altro modo" Il tono di Fabio mi preoccupava. Era già strano che mi avesse chiamato nel suo ufficio, dato che generalmente non lo faceva, era ancor piû strano che avesse chiuso la porta alle mie spalle dopo avermi fatto entrare, ma soprattutto era strano vedere quell’espressione corrucciata su di un viso che generalmente era sempre sorridente. "Ti devo licenziare" Quelle parole, non del tutto inattese, suonarono come una condanna. Avevo temuto che qualcosa del genere potesse accadere, ma avevo continuato a sperare di poterlo evitare. Avevo sempre creduto di essere nato sotto una buona stella, baciato da una fortuna che mi salvaguardava da quel genere di sinistri che capitavano solo agli altri. Rimasi in completo silenzio per un istante pressoché infinito, quindi iniziai a blaterare senza rendermi conto di quel che dicevo. "Mi dispiace, Fabio, non so che mi ê preso, non mi ero mai comportato cosî in vita mia… capisco che cose del genere non dovrebbero succedere, ma cerca di capire… non puoi licenziarmi per una cosa simile…"

Fabio mi fissava sorpreso, come se le mie parole gli risultassero del tutto senza senso. "Calmati…" "Voglio che tu sappia che non dipende da te. Fosse per me, non lo farei. Ma le vendite quest’anno sono tutt’altro che incoraggianti… mi hanno chiesto di tagliare una persona, e l’unico con un contratto a termine sei tu" "Oh" Non riuscii a dire altro. Avevo reagito istintivamente, dando per scontato che Fabio dovesse avere scoperto i miei incontri clandestini con Ricky, e che quella fosse la causa del licenziamento. Fui quasi sollevato, e questo colpî molto il mio capo, che mi fissava con sguardo stupito. "Sembri… quasi felice. Sicuro di sentirti bene?" "Sî, non ti preoccupare… ê solo che non me l’aspettavo… non ho ancora assimilato la cosa" "Capisco… Comunque posso tenerti per tutta questa settimana, quindi avremo modo di riparlarne…" Mi alzai d’istinto, sicuro che ormai non ci fosse piû nulla da aggiungere. Uscii dall’ufficio senza una vera espressione sul volto, e mi richiusi la porta alle spalle.

Mi concentrai sul lavoro cercando di non pensare a cosa avrei fatto di lî ad una settimana: avevo fatto diversi progetti sullo stipendio di quel lavoro estivo, e questa imprevista evoluzione rischiava di comprometterli tutti. Se solo fossi stato meno distratto, mi sarei accorto che Fabio aveva continuato a fissarmi, da dietro la vetrata del suo ufficio. Probabilmente riflettendo su quello che ci eravamo detti, e sulla mia strana reazione. Forse lo avrei anche visto annotare su un foglio una piccola riga a penna, nella quale si ricordava di controllare le registrazioni delle telecamere di sorveglianza. Ma come ho già detto, avevo altro a cui pensare. Conclusi quella settimana senza alcuna reale motivazione. Non uscii neppure con Ricky, rifiutando i suoi inviti con ogni scusa mi sembrasse passabile. Non avevo voglia di parlarne, neppure con lui: non volevo sentirgli dire che non era un problema. Sapevo che la nostra breve relazione, che già aveva avvertito i primi scossoni, rischiava di naufragare prima ancora di nascere. Ma non era solo quello il problema. C’erano pensieri, che tenevo nascosti, che non avrei avuto il coraggio di confessare neppure a lui. Piû di una volta avevo pensato di chiamare Loris… stupendomi di me stesso e dei miei desideri. Il sesso era entrato prepotentemente nella mia vita, ed ora che ne avevo assaggiato il sapore, ne volevo sempre di piû. Ormai avevo capito che l’ideale romantico che mi ero immaginato, la stessa idea che Ricky potesse soddisfare tutto ciô che desideravo… sapevo trattarsi di una triste illusione. Potevo provare dei sentimenti, questo ê certo, e l’affetto crescente che sentivo per quello che iniziavo a considerare “il mio ragazzo”, almeno nella mia mente, lo dimostrava…

Ma, detto onestamente, ero in calore. Mi sorprendevo, mentre camminavo per strada, mentre il mio sguardo cadeva su uomini di ogni età, mentre li denudavo e ne immaginavo i cazzi in riposo che dondolavano nei loro boxer al ritmo delle loro camminate, me li vedevo crescere lentamente, sotto le mie carezze, fino a raggiungere la piena erezione. Li immaginavo intrappolati tra le mie labbra, mentre si muovevano al ritmo crescente della passione, alla ricerca di un atteso ma volontariamente ritardato orgasmo. E immaginavo il loro sperma scendere nella mia gola, denso, e confondersi con la mia saliva lasciandomi quell’inconfondibile sapore di uomo sulla lingua.

La mia abitudine di frequentare la spiaggia era diventata una vera e propria tortura. I padri di famiglia, ahimé, erano la mia dannazione. Quell’esercito di quasi quarantenni, ancora in forma ed attraenti, contornati dai pargoli dei quali si facevano custodi. Braccia forti, muscoli delineati e fisici tonici che tradivano nature dinamiche e abitudini salutari. Petti ampi che chiedevano solo di essere abbracciati, accarezzati, leccati… E slip striminziti, cosî lontani dalla moda del momento, che non lasciavano niente all’immaginazione. Quando non ero in acqua, dovevo costantemente sdraiarmi sulla schiena per nascondere la mia insoddisfatta erezione.

Ricordo che in una di quelle mattinate, con il cielo insolitamente grigio e quell’aria desolata tutt’attorno, mi ritrovai a fissare un uomo che non avevo mai visto in quei giorni. Era piuttosto pallido, probabilmente ai primi giorni di spiaggia. Stava seduto a qualche metro da me, e alternava sguardi delusi al cielo a distratte riletture di un qualche paragrafo dallo scarso interesse su un quotidiano nazionale. Il pezzo di spiaggia che condividevamo era praticamente deserto, fatta eccezione per noi due, e cosî non avevo niente di meglio da fare che osservarlo. Doveva essere sui trentacinque, con una faccia da ragazzino che forse gli toglieva qualche anno. Il fisico era snello e prestante, probabilmente giocava a tennis o a qualcosa del genere. I capelli neri erano corti e leggermente ricci, mentre la peluria sul corpo si notava appena, tranne che per una leggera velatura sul petto. Mi stupii quando alla fine, abbandonato il giornale, iniziô a voltarsi attorno, incrociando inevitabilmente il mio sguardo (stavo seduto dietro di lui, in una posizione che mi permetteva di osservarlo indisturbato). Ringraziai la mia prudenza, che mi aveva spinto a tenere comunque gli occhiali da sole. Dopo qualche altro istante di inutile attesa, si alzô ed iniziô a camminare verso di me.

Era piû alto di quanto avessi immaginato, e quando arrivô vicino al mio asciugamano mi sovrastava nettamente. Io stavo disteso sulla schiena, a gambe aperte, il torace leggermente sollevato sostenuto dai gomiti piegati. Per chi avesse avuto una qualunque intenzione sessuale, il mio corpo diceva “scopami”. Per chi invece avesse avuto un approccio piû puritano, stavo semplicemente cercando di abbronzare punti normalmente piû ostici da raggiungere per i raggi solari…

Mi salutô con un cordiale ciao, e fece un paio di battute sulla giornata e sulla spiaggia desolata. Risposi educatamente, senza tradire eccessiva partecipazione ma comunque lasciando aperta alla comunicazione. Dopo qualche istante di imbarazzato silenzio, che avevo adoperato per fotografare la fede che portava al dito, portô la nostra conversazione ad un nuovo ed insperato livello. "Senti… visto che siamo solo tu ed io, qua… cioê, visto che siamo tra uomini…" Mi lanciô una di quelle occhiate complici che solo gli uomini etero sanno lanciare. Ah, se solo capissero quanta tensione sessuale si nasconde in quel loro cameratismo… "Ti darebbe fastidio se mi levassi il costume? Il sole non ê il massimo, ma almeno non spreco la giornata…" Mi fissô in attesa di una mia reazione. Io, dal canto mio, non sapevo che dire. Sentivo l’erezione iniziare a farsi strada dentro di me come un treno in corsa, e la curiosità di vedere quell’uomo che iniziava pure a starmi simpatico a palle al vento non faceva che aumentare il desiderio di dirgli di sî. D’altro canto, rischiavo di mettermi in una posizione davvero imbarazzante. Decisi quindi di rialzare la posta, per capire a che gioco stavamo giocando. "Guarda, ti conviene andare da quella parte, dietro quella collinetta. Lî ê molto piû tranquillo. Anzi, ora che mi ci fai pensare…" Cosî dicendo abbassai lo sguardo sul mio costume. Lo abbassai da un lato con un dito, mettendo in mostra il contrasto tra la pelle abbronzata e la candida linea del pudore. "Un po’ di sole nei punti giusti non farebbe male neppure a me. Che ne dici?" Attese solo un istante, forse perchê preso alla sprovvista, quindi mi rispose. "Ok"

Raccolsi le mie cose e attesi che lui facesse lo stesso, quindi gli feci strada verso il punto piû riservato della spiagga. "A proposito, io sono Andrea" "Piacere, Massimo"

Conversammo del piû e del meno mentre raggiungevamo la meta del nostro pellegrinaggio. Conclusi che oltre che carino, Massimo era pure simpatico. Stendemmo gli asciugamani ad un passo l’uno dall’altro, quindi ci ritrovammo l’uno di fronte all’altro a guardarci attraverso i nostri occhiali da sole. L’imbarazzo era quasi palpabile, ma nessuno dei due sembrava disposto a rinunciare. Cosî cominciai io, e mi abbassai il costume in un sol gesto, sfilandolo dalle gambe e quindi mi distesi supino. Massimo, con solo un istante di ritardo, mi seguî e si distese a fianco. Sfruttando gli occhiali, osservai il suo corpo con sguardo piû attento. Era ancora piû atletico di quanto mi fosse sembrato qualche minuto prima, ed i suoi glutei scolpiti riscaldavano le mie fantasie. Passarono dei minuti interminabili, in cui io finsi di essermi assopito mentre Massimo mi assecondava.

Il sole si era fatto strada nel cielo coperto, ed iniziavo a sentirne l’effetto sul mio sedere esposto. Mi chiesi se non fosse il caso di mettere un po’ di crema protettiva. Massimo mi cancellô ogni dubbio quando allungô un braccio verso la sua sacca e ne tirô fuori un tubetto. Se ne versô un po’ sulle mani, quindi, mentre io mantenevo fissamente la testa voltata verso di lui fingendo di dormire, si portô le mani sul sedere ed iniziô un lento ma preciso massaggio che portô la crema in ogni centimetro del suo fondoschiena. Quando pensavo di aver ormai visto piû di quanto potessi sopportare, noncurante di me (o forse realmente convinto che stessi dormendo), Massimo si sollevô a sedere e riprese lo stesso accurato massaggio sui suoi genitali. Avevo lî, a neanche metro dal mio naso, un paio di palle fiere ed un morbido ma sodo cazzo circonciso che mi osservavano, mentre le sue mani ci giocherellavano riempiendoli di crema. Restai immobile ed alla fine chiusi gli occhi, nella speranza di allontanare quell’immagine quanto bastava da non rischiare di venire proprio lî, sull’asciugamano, sostenuto dal ritmico martellare del mio cazzo eretto sull’asciugamano. Attesi che Massimo avesse finito e che si distendesse (questa volta sulla schiena, con le palle in mostra), per muovermi rapido.

Scattai a sedere, dandogli la schiena, quindi dissi con un filo di voce. "Mi scappa… vado dietro a quegli arbusti" Mi alzai e mi allontanai dandogli sempre la schiena. Raggiunti gli arbusti, abbassai lo sguardo sulla mia erezione sempre pulsante, e capii che ormai avevo perso il controllo. Mi sforzai di urinare, nella speranza che servisse. Ma in quelle condizioni non c’era verso di riuscirci. Ero concentrato nell’atto, con gli occhi chiusi, quando sentii la sabbia muoversi alle mie spalle. Non ebbi il tempo di voltarmi, che mi ritrovai Massimo in piedi accanto a me, una mano sul fianco e l’altra sul suo pene. "Quando l’hai detto, mi sono accorto che dovevo farla pure io..."

Quando il flusso si interruppe, Massimo abbassô lo sguardo mentre scrollava le ultime gocce dal suo organo flaccido. Sentii chiaramente il suo sguardo spostarsi dalla sabbia e risalire lungo le mie cosce fino al mio pene eretto. "Difficile che ti venga in quello stato" Non dissi nulla, e continuai a guardare fisso davanti a me. L’imbarazzo aveva preso il sopravvento, ma l’erezione non accennava a diminuire. "Vuoi che ti dia una mano?" Senza aspettare la mia risposta, Massimo allungô la sua mano sinistra sul mio cazzo, e iniziô a menarmelo lentamente e con gusto, congelandomi in quella sensazione di pura estasi. Ci vollero solo pochi colpi prima che fiotti di sperma eruttassero dal mio glande andando a decorare i rametti spogli di fronte a me. Una volta ripresomi dall’intensità dell’orgasmo, mi voltai verso di lui. Superato l’imbarazzo, decisi di prendere il toro per le corna. Gli sorrisi ed allungai la mano verso il suo cazzo, che dimostrava di aver gradito la scena montando una discreta erezione. "Posso ricambiarti?"

Come risposta, Massimo mi sorrise. Lo afferrai per il cazzo e lo tirai verso di me. Quindi mi piegai sulle ginocchia, e iniziai a leccare la sua asta partendo dai testicoli, massaggiando con la lingua la linea della prostata e risalendo fino alla sua cappella pronta alla battaglia. Ingoiai quel cazzo palpitante, mentre diventava duro come la roccia, e lo sentii pretendere prepotentemente il suo meritato spazio nella mia gola, mentre colpiva con insistenza le mie tonsille. Pur non essendo particolarmente grande, il cazzo di Massimo, con quella sua lieve curvatura, si adattava perfettamente alla mia bocca e mi permetteva di accoglierlo senza alcuna preoccupazione. Iniziai a gustare la sensazione della mia lingua che insalivava l’asta, mentre le mie mani ansiose avevano afferrato quei glutei di marmo e li tendevano, nel tentativo di riportare alla luce quel tesoro nascosto che era l’ano stretto e vergine del mio nuovo amico. Allungai un dito sul suo pulsante sfintere, e lo sentii scosso da brividi di piacere. Con delicatezza, spinsi quanto bastava il mio indice all’interno, cosî da aprirgli un nuovo mondo di sensazioni che sembrava non avere mai provato. Con la mano sinistra, nel frattempo, ero sceso a pizzicare quello scroto possente, massaggiando i testicoli gonfi ed accarezzando la loro delicata peluria. Massimo era rapito dalla molteplicità dei miei attacchi, ed era ormai cosî lontano nel suo piacere che mi era ormai chiaro che di lî a poco sarebbe venuto. Abbandonai quindi il suo culo per portare entrambe le mani sulle cosce muscolose, massaggiandole con forza mentre abbandonavo la mia bocca dal suo organo insalivato. Lentamente risalii, con la lingua, baciando e mordicchiando la sua pelle fino all’ombelico, quindi mi alzai in piedi ed accarezzai i suoi pettorali, mentre la mia lingua vagava alla ricerca dei suoi capezzoli eretti. Mordicchiai e succhiai, alternativamente, quelle due piccole protuberanze marroni, mentre le sue mani massaggiavano la mia schiena, con il suo cazzo che continuava a strusciarsi, alla ricerca del negato piacere, sulla mia coscia protesa in avanti.

Deciso a continuare nel mio personale percorso, abbandonai i suoi capezzoli e portai entrambe le mani sulla sua faccia, velata da un’ombra di barba ispida, ma nonostante tutto piacevolmente morbida come quella di un bambino. Gli tolsi gli occhiali da sole, che appoggiai sulla sua fronte, e quindi levai i miei, che gettai a terra. Era la prima volta che i nostri sguardi si incontravano, e nei suoi splendidi occhi verdi intravidi un vaso di pandora che si era finalmente schiuso, dal quale fuoriusciva una passione troppo a lungo incatenata. Tuffai la mia bocca nella sua, e la sua lingua vogliosa, abile e veloce afferrô la mia stringendola in un’infinità di abbracci, mentre le nostre labbra sembravano volersi fondere in una cosa sola.

Massimo intanto aveva portato le sue mani sul mio sedere, e mi aveva attirato verso di lui fino a stringere il suo cazzo sul mio ventre. Sfruttando l’attrito, iniziô un lento movimento alla ricerca del piacere, mentre le nostre lingue rimanevano incollate. Quando infine sentii la sua bocca spalancarsi, e la sua lingua abbandonare ogni resistenza, seppi che aveva raggiunto il punto del non ritorno: pochi istanti dopo lo sperma iniziô a schizzare sui nostri toraci, cementando il nostro abbraccio. Superata l’estasi dell’orgasmo, il nostro gioco di lingue riprese con la stessa intensità, mentre le nostre mani perlustravano i rispettivi corpi traendo il massimo piacere dalla nostra vicinanza. Quella situazione era talmente piacevole che non mi venne neppure l’idea di poter andare oltre, ed anche Massimo sembrava aver già appagato tutti i suoi desideri.

Fui io il primo a staccarmi, sentendo delle voci in lontananza. "Mi sa che ê meglio andare" Tornammo discretamente al nostro piccolo insediamento, dove raggiungemmo e infilammo i nostri costumi, concordando di ripulirci con un tuffo in mare. Trascorremmo il resto della giornata (che si rivelô splendida, una volta tornato il sole) in compagnia, come due vecchi amici, senza neppure accennare a ciô che era accaduto (probabilmente l’intensità dell’orgasmo aveva cancellato il desiderio lasciando spazio a considerazioni piû razionali…).

Solo verso sera, quando sapevo di dover andare, mi voltai verso di lui ed affrontai l’inevitabile rimandato discorso. Allungai verso di lui un biglietto, sul quale avevo scritto il mio numero. "Credi che mi chiamerai?" Lessi l’imbarazzo negli stessi occhi verdi che avevano trasudato passione qualche ora prima, e capii che quella prospettiva non l’aveva mai attraversato. Farfugliando, trovô le parole piû delicate per giustificarsi. "Credo… che mia moglie non sarebbe d’accordo" Distolsi lo sguardo, e non so perché gli feci una domanda che mi venne dal profondo. "Hai figli?" Sorpreso, Massimo mi rispose. "Sî" Naturalmente, lo sapevo ancor prima che rispondesse.

Ci salutammo e ci separammo, e mentre tornavo alla mia auto, forse per distrarmi, decisi di accendere il cellulare. L’ormai familiare avviso acustico dell’arrivo di un messaggio attirô la mia attenzione. Lessi il nome del mittente. Ricky. Ancor prima di leggere il messaggio, sapevo che il ragazzo che mi aveva aperto quel nuovo mondo in cui avevo appena iniziato a muovere i primi passi stava uscendo dalla mia vita. Per qualche giorno mi sentii distrutto, piansi, e scoprii che forse ero legato a quel ragazzo piû di quanto avessi creduto. Ci furono un sacco di telefonate, un paio di incontri, accesi litigi, torbidi incontri ed effimere riconciliazioni.

Alla fine, quando scoprii di non poter sopportare oltre, voltai pagina. E ricominciai a vivere la mia vita.


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