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Amore Zulu

by Merlino


AMORE ZULU Nel 1820 l'impero conquistato dal grande re zulu, Chaka, era nel massimo del suo splendore: si espandeva su tutto il Natal e fino al nord Transvaal, contava un milione di sudditi ed un grande esercito di cinquantamila soldati. Soldati armati delle micidiali zagaglie, la lancia corta inventata dallo stesso Chaka, protetti dai grandi scudi ovali e dotati del coraggio e dell'impeto che le vittorie avevano assicurato loro. Gli invincibili! erano chiamati. Vivevano sulle colline attorno ai villaggi, nutriti dalla popolazione, comandati da generali nominati dal re ed erano al servizio della nazione zulu fino ai quaranta anni. Solo allora il re donava loro una sposa e permetteva che si ritirassero dall'esercito. Ogni soldato era accudito da un ragazzo, che aveva tra i suoi compiti anche quello di portare, alla sera, da mangiare al "suo" uomo e di servirlo. Pare che quasi tutti i guerrieri avessero l'abitudine di farsi masturbare dai ragazzi, come sostituto accettato della lontananza dalle donne. Era appena l'alba e Pungushe, come ogni mattina, si recava a pascolare il bestiame. La savana era coperta di tenera erba di un verde splendido, dopo le ultime piogge, e le colline erano un pascolo ideale per le vacche della tribù. Spingendo con le grida e con i colpi di un bastone il bestiame che voleva fermarsi ad ogni passo, il gruppo dei ragazzini procedeva allegro e vociante verso le propaggini delle vicine colline. I giovani zulu, praticamente nudi, erano coperti solo da un ridotto perizoma, ma la loro andatura ed i loro corpi ben modellati, che già rivelavano qualche traccia delle future possenti muscolature, li rendevano eleganti e belli più dei damerini inglesi vestiti di sgargianti uniformi, che presto si sarebbero scontrati con gli eserciti zulu. Ad un tratto Pungushe sentì un barrito provenire da dietro il boschetto di acacie in vista sulla destra del loro cammino. Gli elefanti! Chiamò con un grido l'amico Isanusi e gli fece cenno di seguirlo. Gli altri avrebbero badato anche alle loro vacche. I due ragazzi arrivarono ben presto al boschetto dove penetrarono silenziosi come serpenti. Al centro del bosco gli alberi diradavano formando una radura ed una giovane elefantessa stava mangiando i germogli di acacia, stroncando interi rami e ficcandoseli in bocca con apparente soddisfazione. I due ragazzi si accovacciarono sottovento, eccitati per la vicinanza dell'animale, seguendo con lo sguardo le mosse dell'elefantessa che continuava tranquillamente il suo pasto mattutino. D'un tratto vi fu uno scrosciare di rami spezzati e, quasi sfondando la macchia, irruppe nella radura un enorme maschio. Le sue zanne erano tanto lunghe che sfioravano il terreno, il suo corpo enorme e ... per un momento Pungushe pensò che avesse cinque gambe. Poi capì, e si volse con un ghigno all'amico: "Sono in amore" bisbigliò. "Il grande maschio monterà l'elefantessa". "Ma è troppo giovane, la schiaccerà" replicò Isanusi. Il vecchio maschio si produsse in un terrificante barrito e aggirò la femmina che aveva smesso di mangiare e restava immobile. L'elefante si alzò sulle zampe posteriori e poggiò le anteriori sul dorso della femmina, che ne sorresse a malapena il peso, vacillando e piegandosi per un attimo, ma riuscendo a restare in piedi, mentre il maschio la penetrava con un colpo possente. Lo spettacolo a cui i due ragazzi assistevano ammutoliti ed affascinati era una rappresentazione unica della potenza della natura nel suo aspetto più primordiale e misterioso. A nessuno dei due erano ignoti i fatti del sesso e della riproduzione, ma non avevano mai assistito ad una scena che avesse avuto la capacità di coinvolgerli emotivamente come quella alla quale stavano assistendo. Il vecchio maschio, enorme e fiero della sua forza, penetrava il suo pene smisurato nel corpo della giovane elefantessa e si agitava menando colpi e muovendo il posteriore, la proboscide eretta come un secondo fallo, le lunghissime zanne che minacciavano il cielo stesso. I due ragazzi percepivano anche gli odori forti e penetranti che gli umori del coito producevano. Quasi senza accorgersene avevano cominciato a toccarsi i membri eretti che sporgevano dai perizomi rialzati. Dopo un po' si ritrovarono a masturbarsi sogguardandosi e lanciandosi reciproci cenni d'intesa. Avevano membri lunghi e grossi e ognuno dei due non potè fare a meno di controllare se l'amico ce l'avesse più grande del suo. In realtà Pungushe vinceva la gara implicita almeno per tre dita in lunghezza. Aveva un cazzo grande e anche ben formato, con una cappella che si allargava a fungo e delle turgide vene che lo accompagnavano per tutta la lunghezza. Fu il primo a venire e subito dopo, osservando gli schizzi prodotti dall'amico, anche Isanusi cominciò a eiaculare e non potè fare a meno di emettere un gemito che subito si affrettò a reprimere. Che sarebbe successo se avessero disturbato il coito dei due giganti che stavano ancora accoppiandosi lì, di fronte a loro? I ragazzi, muti, continuarono a osservare gli elefanti, mentre le loro mani, quasi meccanicamente, carezzavano i peni in stato di semierezione. Isanusi, a un tratto, tolse la mano dal suo e toccò quello dell'amico. Pungushe ridacchiò e lo allontanò, ma il suo pene si era eretto di nuovo. "Ricominciamo?" bisbigliò Isanuse. Pungushe non glielo fece ripetere. Il coito degli elefanti durò ancora a lungo e, dopo aver sparso il loro seme per la seconda volta, i due ragazzi continuarono a guardarli rilassati. Quando anche l'enorme maschio finalmente venne, manifestò tutta la sua soddisfazione con una serie impressionante di barriti di cui i ragazzi si servirono per andarsene indisturbati, sicuri di non esser sentiti. La giornata passò afosa e monotona. Le vacche pascolavano tranquille, spostandosi lentamente tra l'erba abbondante che ricopriva le colline. I ragazzi parlavano tra loro svogliati. Isanusi chiese a Pungushe se il suo uomo, il valoroso Mbejane, si facesse masturbare spesso. Questo portò un po' più di eccitazione nel gruppo, specialmente quando Pungushe cominciò a magnificare la grandezza del membro virile di Mbejane. Tutti ascoltarono ammirati la descrizione, in verità un po' esagerata, che veniva fatta della virilità dell'eroe, ma tutti finsero di credere fino all'ultima parola del loro amico. Il discorso li aveva eccitati e si cominciavano a notare delle toccatine e delle strizzatine nelle parti basse. Isanuse, addirittura, si sdraiò nell'erba e prese a masturbarsi mentre gli altri sghignazzavano. Poi uno di loro gli saltò sopra, cominciarono ad azzuffarsi e si rotolarono a terra strofinandosi spudoratamente addosso le loro erezioni. Il gioco continuò a lungo, finché un paio dei ragazzi non se ne vennero tra le acclamazioni generali. Verso l'imbrunire portarono le vacche al villaggio e le rinchiusero nel recinto spinoso che le avrebbe protette durante la notte dagli animali selvaggi. Pungushe salutò frettoloso gli amici e corse verso la capanna della zia. Il ragazzo era orfano e viveva con la sorella di sua madre, che gli aveva preparato il suo pasto e quello che doveva essere portato a Mbejane, nella grotta dove l'eroe abitava. Pungushe trangugiò il cibo, acchiappò il canestro e corse fuori dalla capanna. Correva ancora una volta, nel crepuscolo della sera, verso l'uomo che era incaricato di accudire. La figura snella del ragazzo volava sulla terra battuta nei dintorni del villaggio e, poi, lungo la salita erbosa che portava alla grotta dove viveva l'eroe di tante battaglie, il coraggioso che presto il gran re Chaka avrebbe elevato di rango. "Era ora che ti facessi vivo!" l'apostrofò Mbejane. "Fai vedere che mi hai portato, ché ho una gran fame". Il ragazzo dispose rapidamente il pranzo del guerriero su una pietra piatta al centro della grotta e poi si sedette ad osservare l'uomo che divorava il cibo. Il guerriero aveva una figura maestosa, era alto e muscoloso, le sue gambe parevano tronchi di baobab, le sue spalle la roccia quadrata che giaceva al centro del villaggio. Eppure, i lineamenti del valoroso lasciavano trasparire, oltre alla sicurezza e alla fiducia in sé, anche una certa delicatezza giovanile che si lasciava percepire nella piega elegante delle labbra e nello sguardo vivace e dolce. Pungushe aveva notato più volte il comportamento tenero che l'uomo aveva nei suoi riguardi e ne era fiero, anche se talvolta si stupiva che un così grande eroe non fosse più burbero nei riguardi di una nullità quale lui, un ragazzo, doveva apparirgli. "Bravo, mi hai portato un buon pranzetto, ora riordina un po' e poi siediti qua" Pungushe obbedì silenzioso, rimise nel cesto quel poco che era avanzato dalla cena, con una frasca diede una spazzata all'antro e poi si sedette accanto all'uomo che se ne stava semisdraiato a terra, poggiando su un gomito. Il ragazzo sapeva che cosa sarebbe successo ora e, doveva confessarselo, la cosa gli toglieva quasi il respiro dall'eccitazione. Mbejane aveva addosso solo il gonnellino di pelle di leopardo che già mostrava i segni del risveglio che avveniva al di sotto. Pungushe guardava verso l'inguine dell'uomo e, poi, incontrò il suo sguardo in cui guizzò un segno di vivace intesa. "Dai, che aspetti?" gli disse semplicemente. Il ragazzo si accomodò tra le gambe dell'altro e non potè fare a meno di ridacchiare. Allungò le mani, gli sollevò il gonnellino e scoprì il grande membro semieretto. La cosa che lo stupiva di più erano i testicoli possenti, molte volte più grandi dei suoi. Prese a manipolarli e l'uomo emise un sospiro. Ora il ragazzo percepiva distintamente l'odore che proveniva dai testicoli e dal pene. Era un odore complesso, formato da vari odori, di muschio, di zibetto, di foglie e fiori appassiti oltre a delle note più acute e penetranti. Ora il membro dell'uomo era perfettamente eretto ed era davvero maestoso. Occorrevano tutte e due le mani per cingerlo. "Il mio elefante" mormorò Pungushe e prese a manipolarlo con destrezza. Vi faceva scorrere le due mani stringendolo a volte delicatamente, altre con forza, suscitando gemiti di consenso e rapide carezze da parte dell'uomo che si sottometteva a tutta l'operazione con un abbandono totale. Man mano che l'azione continuava, l'uomo sollevava e abbassava il bacino come se simulasse un coito e Pungushe accelerava gli sfregamenti. Il ragazzo, all'eccitazione del suo compagno, aggiungeva la sua propria e andava tirando verso di sé il grande membro, come se cercasse di piegare un ramo poderoso. Riuscì ad allontanare il pene dal ventre dell'uomo, portandoselo sotto alla bocca e vi sputò sopra per inumidirlo. Continuava nella masturbazione toccando la grande cappella bagnata dalla sua saliva, ma anche da gocce di liquido prespermatico. Ora l'odore intenso che emanava il pene che era così vicino alla sua bocca, quasi lo stordiva. Andava avvicinandosi sempre più il momento fatidico, riusciva a percepirlo ..... ecco stava per avvenire: un gran getto di perma gli colpì la faccia e allora orientò il pene di nuovo verso il ventre dell'uomo continuando a sfregare e contò più spruzzi di quante dita avesse una mano. Ma non era ancora finita. Ora il seme sgorgava dolcemente, senza schizzare da tutte le parti, e grosse gocce se ne raccoglievano sullo stomaco del guerriero. Mbejane era completamente sdraiato, ora, e aveva un'aria soddisfatta. "Sei bravo" disse mentre con una mano andava spalmandosi il seme sul ventre e sul petto. Pungushe si alzò e osservò l'altro dall'alto, per imprimersi nella mente il corpo potente e bellissimo, poi si allontanò in fretta perché si era accorto di essere in piena erezione, tanto che il suo gonnellino, davanti, era sollevato lasciando scorgere il pene diritto che forzava il perizoma. Si avvicinò all'ingresso della caverna fingendo di dover orinare e mentre si muoveva, si sentì colare sulle labbra lo sperma che gli era schizzato in faccia. Invece di pulirsi con la mano, sporse la lingua e sentì il sapore salato e lievemente fruttato del seme di Mbejane. Ormai era quasi buio e l'aria si era un po' rinfrescata. Sulla soglia della grotta cominciò, sforzandosi un po', a orinare producendo un getto che cadeva lontano, dato il suo stato di erezione. Era bello starsene lì nella frescura, con il cazzo in mano ad innaffiare l'erba, con alle spalle la persona che gli interessava di più al mondo. Al pensiero di Mbejane fece per voltarsi a guardarlo, ma proprio in quel momento si sentì abbracciare da dietro ed una grande mano gli prese il cazzo palpandolo. Lui continuò a pisciare abbandonandosi contro il corpo che lo stringeva mentre l'altro, ridendo, orientava qua e là il getto. Poi la mano prese a carezzargli il membro perfettamente eretto mentre il corpo possente si stringeva sempre più a lui. "Per una volta voglio che anche tu provi piacere, Pungushe" A sentirsi chiamare per nome, il ragazzo fu preso dalla commozione e stabilì che avrebbe fatto qualsiasi cosa il compagno gli avesse chiesto. Intanto si abbandonava all'abbraccio sensuale dell'altro che continuava a masturbarlo dolcemente mentre aveva accostato la faccia alla sua e ne sentiva il fiato sul collo. Ormai le sensazioni che provava lo avevano assorbito completamente e stava godendosi il piacere che nasceva dal pene accarezzato e si propagava pia piano fino alla testa. Quando venne, produsse dei getti di sperma che andarono a cadere lontano, con una perfetta parabola brillante nella luce moribonda. Restarono ancora in quella posa inconsueta, il giovane nelle braccia dell'uomo, che protettivo lo stringeva al torace poderoso. Pungusce sentiva premergli contro il membro duro dell'uomo, che con uno strappo gli tolse il perizoma e prese a carezzarlo nella fessura tra le natiche. Con chiunque altro avrebbe protestato, ma non con il suo eroe, non lì e in quel momento. Si abbandonò alle nuove sensazioni che gli procuravano quelle carezze e lascò fare. Succedesse quello che voleva accadere. "Non lo faremo, questa volta", sentì che gli bisbigliava all'orecchio. "Non questa volta, non temere". Il ragazzo non rispose, ma gli si appoggiò contro in modo eloquente. Mbejane gli introdusse il pene gigantesco tra le natiche e prese a muoverlo su e giù mentre sollevava e abbassava il giovane corpo che sorreggeva tra le robuste braccia, in modo da masturbarsi contro le natiche tenere. Quando venne, si sentì un fioco rumore come di qualcosa che erompesse a forza e Pungushe sentì ancora una volta gli spruzzi del seme del suo amante che lo colpivano. Fu messo a terra e la stretta amorevole delle braccia si allentò. Si volse e la sua faccia si trovò di fronte al petto madido dell'uomo Non potè trattenersi dall'appoggiare le labbra su un capezzolo in un gesto di intimità che appena qualche ora prima avrebbe reputato folle. Ma Mbejane sembrò gradirlo e abbracciò di nuovo il ragazzo. "Resta con me, stanotte, vuoi?" chiese. Pungushe assentì e assieme rientrarono nella grotta. Quella fu una notte indimenticabile per entrambi, non solo per quanto avevano già fatto, ma per le parole che si dissero. Il resto della notte, infatti, salvo dei brevi intervalli di tempo durante i quali cedettero al sonno, lo passarono parlando. Per la prima volta si confidavano rivelandosi l'un l'altro i pensieri, le aspirazioni, i timori. Si era aperto per loro un nuovo mondo di confidenza, di calore e di solidarietà. Ormai sapevano di non essere più soli al mondo come erano sempre stati. Pungushe apprese con meraviglia dell'odio che il guerriero provava per il suo re e dell'insofferenza che provava a continuare ad obbedirgli. Il potere aveva quasi fatto impazzire re Chaka, che si era trasformato in un crudele tiranno e in un assassino spietato. Aveva ucciso anche la madre Nandi e poi, ipocritamente, aveva fatto trucidare tutti coloro che non avevano dimostrato dolore per la morte della vecchia. Pareva impazzito e assetato di sangue. Aveva fatto radunare in una stretta valle tutte le donne dell'età di Nandi, assieme all'intera tribù di Umziligazi, con la quale aveva avuto una disputa, e poi aveva ordinato al suo esercito di uccidere tutti coloro che si trovavano nella valle. Non appena l'esercito era apparso, si era levato un terribile grido e Chaka, affacciato sulla valle, aveva sorriso alle urla di disperazione di quelli che venivano trucidati. Questo fatto aveva sconvolto i reggimenti del re, perché ormai le lance si volgevano sempre più spesso contro gli uomini del loro stesso paese, anziché contro i nemici. Chaka era un vero tiranno e Mbejane non voleva più servirlo. Confidò al ragazzo quello che era considerato un terribile peccato. All'alba aveva deciso che avrebbe abbandonato la tribù e il re crudele e sarebbe scomparso nella savana. Pungushe si sentì stringere il cuore e urlò "Non puoi andartene" e poi aggiunse più piano "non senza di me". Il guerriero gli confidò che aveva sperato che se ne sarebbero andati assieme. "Io mi sono abituato a te. Anzi, non ho mai avuto altri che te. Finora sono vissuto per la gloria di un re crudele e per l'onore dell'esercito, ma questi sono ideali che raggelano un uomo, invece di riscaldarlo: invece, quando alla sera ti aspetto e ti vedo correre su per l'erta della collina come se andassi incontro alla felicità, allora il mio cuore accelera i battiti e provo un senso di pienezza che mi era ignoto". Pungushe non sa rispondere che sdraiandosi sul grande corpo dell'amico e ficcandogli la testa fin quasi sotto un'ascella. Fu così che all'alba, un uomo armato di lancia e scudo e un agile ragazzo stavano correndo nella savana lanciandosi grida, superandosi e aspettandosi a vicenda; instancabili nella fuga che li allontanava dalle loro case, dai loro conoscenti, dalle abitudini della loro tribù, portandoli assieme verso l'ignoto, incontro ad una una sorte sconosciuta, in una parola verso la vita, nel tentativo di realizzare un destino a loro conveniente. Che te ne pare? Scrivi a merlino88@hotmail.com

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