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Il rito dell'ombra

by Lenny Bruce


Il rito dell’ombra Inventammo il ‘rito dell’ombra’ in un pomeriggio d’estate, dopo che quella mattina, in spiaggia, uno dei ragazzi con cui giocavamo ci aveva schizzato mentre entravamo in acqua e il fastidio era stato maggiore, perché quel giorno tirava vento e faceva freddo. E poi ci aveva tenuti sott’acqua tentando di farcene bere. E, alla fine, come se non bastasse, ci aveva infilato la sabbia dentro le mutande da bagno. Avevamo deciso tutti insieme che era necessario dargli una lezione. Il ragazzo che ci aveva infastidito aveva i nostri quattordici anni. Era bello, alto quanto me e biondo ed era cugino di uno di noi. Stava nella nostra città solo per trascorrere l’estate. Ci eravamo visti così per molti anni e sapevamo perché ci giocava quegli scherzi: ogni anno era la stessa storia. Cercava soltanto di farsi riaccettare da noi tre dopo essere stato lontano. E noi, stronzi, facevamo finta di non capire e lo tenevamo lontano per i primi giorni, finché, dopo che si era quasi messo a piangere, lo riprendevamo con noi. Ma solo fino all’inizio di settembre. Così quel pomeriggio parlavamo di lui per decidere se era giunto il momento di tornare amici oppure se dovevamo farlo soffrire ancora un poco. Discutemmo un po’ e finalmente stabilimmo che era ora di finirla con gli scherzi, ma prima volevamo fargliela pagare. L’unica cosa certa era che la mattina dopo ce lo saremmo portati dietro le baracche di legno che servivano da cabine alla spiaggia e gli avremmo fatto qualcosa per punirlo. Già, ma cosa? Litigammo tutto il pomeriggio e i pareri erano sempre più divergenti. C’era chi gli voleva riempire la bocca di sabbia, oppure farlo morire dal ridere per il solletico. Un altro, proprio suo cugino, propose di legarlo e imbavagliarlo lasciandolo tutta la mattina sotto il sole, per vedere se poi aveva ancora voglia di diventare nostro amico. Ma qualunque idea era troppo poco per quello che avevo in mente io! Niente ci convinceva, finché ebbi, anzi, feci finta d'avere un’idea che invece mi era venuta quando l’avevo rivisto qualche giorno prima. Lo volevo toccare ed anche dove non avrei potuto in nessun altro modo se non facendo finta di punirlo! Volevo esaminare qualcosa che ancora non avevo visto bene. Insomma, quel forestiero così bello mi piaceva e volevo fargli delle cose che non potevo confessare ai miei amici e quasi nemmeno a me stesso. Potevo però agire in modo che decidessimo insieme di fargli ciò che io desideravo. “Ragazzi, che ne direste se lo sottoponessimo a delle prove d'iniziazione?” dissi all’improvviso, dopo che gli altri due avevano parlato per ore. Furono subito accordo. Ma quali prove? E io risposi pronto: “Ho un’idea per la prima prova: prendiamolo a sculacciate e diamogliene una per ogni volta che ci ha rotto le scatole!” Erano davvero tante nel breve tempo che era trascorso da quando era tornato, pur condonandogli il fastidio che ci aveva procurato negli anni precedenti. Accettarono l’idea e dietro quella vennero le altre prove. Passammo il resto del pomeriggio a predisporre ogni momento del rituale e l’idea iniziale, man mano che ne parlavamo, si perfezionava, adattandosi alle nostre esigenze. Ero eccitatissimo, tanto che quella sera, tornato a casa, ognuno dovetti calmarsi per conto mio. La mattina dopo, arrivammo in spiaggia con un certo anticipo e l’aspettammo con impazienza. Lui arrivò ignaro e fu contento di vederci già là, disponibili anche a sorridergli. Non sapendolo, venne a consegnarsi ai suoi aguzzini e fu perfino sorpreso dalle attenzioni che per quel giorno pareva gli volessimo accordare. E, mentre i miei due compagni gli si mettevano ai fianchi per non farlo scappare, io gli comunicai quali fossero i suoi diritti e i suoi doveri che si riassumevano essenzialmente in un dilemma: sfuggire alle prove che avevamo deciso per lui e da quel momento perdere in modo inappellabile la nostra amicizia, oppure subire in silenzio quello che avevamo deciso di fargli, senza tentare di sottrarsi, e soprattutto, senza alzare mai la voce, né gridare. Solo dopo aver superato queste prove, gli spiegai, sarebbe diventato nostro amico a tutti gli effetti, cioè avrebbe potuto essere il quarto della gang. E solo allora, aggiunsi come contentino e per favorire la sua scelta, avrebbe avuto il diritto di farci tutti gli scherzi che voleva, quando voleva, subendone naturalmente le conseguenze. Poteva vederla, insomma, come pena per quello che ci aveva fatto, oppure come quello che era e cioè un rito d'iniziazione, oppure come un prezzo da pagare per entrare nel nostro gruppo. Se poi aveva le mie stesse idee, pensai e sperai, doveva essere ben contento di subire quelle prove. A dire il vero, però, non fui per niente onesto, perché non gli rivelai nulla di quello che stava per subire. Gli annunciai ambiguamente che, per diventare nostro amico, avrebbe dovuto provare il dolore, il riso ed il piacere. E lui accettò subito, senza tentennare, né domandare altri particolari. Dichiarò eroicamente: “Sono pronto!” e ci precedette dietro le baracche di legno, già immaginando dove dirigersi. Entrammo in una specie di corridoio non più largo di un metro, con la parete di fondo delle cabine da un lato e la roccia spiovente dall’altro, alzando lo sguardo si vedeva solo una striscia di cielo azzurro, interrotta dai cespugli che crescevano lungo il costone di roccia. Quelle baracche erano alte più di tre metri ed avevano le pareti piuttosto spesse. Frequentavamo quella spiaggia da sempre ed avevamo fatto delle prove: se all’esterno si parlava con voce normale, da dentro non si sentiva proprio nulla, ma, se si gridava, si era inevitabilmente scoperti. Andammo a sistemarci in fondo al passaggio, sotto l’albero di fico che, avendo messo radici nella pietra, si alzava verso la luce, nascondendoci anche a chiunque si fosse affacciato dalla strada che correva proprio sopra alla spiaggia. Quindi, a meno che non lui avesse gridato, e aveva dato la sua parola che non l’avrebbe fatto, nessuno poteva scoprire dove eravamo e soprattutto capire quello che stavamo facendo. I miei due compagni gli bloccarono le braccia ed io, preso da un rigurgito di coscienza, gli proposi per l’ultima volta di andarsene ed abbandonare per sempre l’idea di essere nostro amico, ma lui pareva davvero un duro, così gli rivelai nei particolari quale sarebbe stata la prima prova. Solo allora si rese conto del guaio in cui era capitato e strabuzzò gli occhi. Cavallerescamente io gli offersi ancora l’opportunità di sfuggirci, ma lui ripeté il ‘sono pronto!’ di prima e io non potei fare a meno d'ammirarlo. Beh ammirai di più quello che stavo per toccare, perché i miei compagni l’avevano già fatto voltare e piegare. Avevo il suo culo davanti agli occhi e, sebbene fosse ancora coperto dal costume, immaginavo come doveva essere sotto. Lo sculacciai per primo e dopo di me gli altri, a turno. Avrei voluto abbassargli il costume, ma non ne trovai il coraggio. Ad ogni colpo gli ricordavamo gli scherzi subiti, ma lui non disse una parola e trattenne il fiato per tutto il tempo. Mi ricordo che gli demmo venti sculacciate ciascuno. Quando lo facemmo raddrizzare era eccitato. Ce l’aveva così duro che gli slip si sollevavano sul davanti come una tenda e anche noi eravamo nelle stesse condizioni, ma tutti fingemmo di non notare quel disagio che era comune. La seconda prova era quella del solletico: avevamo pensato di farlo morire dal ridere. Mentre i due lo tenevano, io lo sottoposi alla tortura. Lo toccai sotto le ascelle, poi scesi alla pancia e mi feci coraggio e gli afferrai l’uccello, ma la sua risata era terribilmente contagiosa e i miei compagni se lo lasciarono scappare, perciò lui si sottrasse alla mia presa. Finimmo così tutti per ridere a crepapelle, ancora più eccitati, perché lo riprendemmo, o più esattamente fu lui a tornarci vicino, e, mentre ce lo passavamo uno con l’altro, ne approfittammo per palparcelo tutto. I miei compagni ed io più di loro. Quando riuscimmo a frenare le risate, avevo il cuore che mi batteva forte nel petto e la mia eccitazione era a livelli che non pensavo di poter raggiungere. Fra noi corse uno sguardo d’intesa, e lo ripresero, bloccandolo dalle braccia. Passammo alla terza parte del programma e qui le cose si fecero molto più interessanti. “Adesso noi ti esploreremo e tu non potrai opporre resistenza” gli dissi. Ci sedemmo per terra, uno accanto all’altro e lui venne a stendersi, a pancia sotto, sui nostri grembi. Fu allora che finalmente trovai il coraggio di abbassargli il costume da bagno che gli venne sfilato velocemente, lasciandolo completamente nudo. Naturalmente ero al centro e, mentre gli altri due presero a toccarlo e strofinarlo dovunque, dai capelli alla punta dei piedi, io mi godetti la sua parte più interessante. Avevo davanti a me qualcosa di affascinante che cominciai subito a toccare. Il suo bel culetto, così tondo e ancora arrossato dal nostro trattamento di poco prima, pareva sorridermi. L’accarezzai delicatamente e gli tirai qualche pizzicotto leggero, poi ripresi a toccarlo, insinuando le mani in tutte le pieghe, senza però avventurarmi dove avrei voluto andare. Notai che lui cominciava a muoversi sulle mie gambe e mi venne voglia di vedere a che punto eravamo sul davanti. Lo feci voltare e vidi che aveva il pisello duro e teso, attaccato alla pancia. Era bello, sviluppato e molto dritto. E gli altri due, perso interesse per le parti del corpo che gli erano state assegnate si accostarono e cominciarono a toccarlo. La nostra vittima fu presto vicina a godere. Lo capivamo da come aveva preso a muoversi. Ma non era ancora il momento e lo facemmo voltare un’altra volta per finire l’esplorazione con una attenta visita da quell’altra parte. Mentre i miei amici gli allargavano il solco, io lasciai scorrere un dito sul fondo della sua valle incantata. Arrivato al buco, spinsi leggermente, poi continuai e feci scivolare il dito lungo il solco. Tornai al buco e spinsi di nuovo. Il dito entrò di una falange. Lui si mosse, ma non per fastidio, pareva che volesse di facilitare i miei gesti. Spinsi ancora un poco e il mio indice scomparve dentro di lui. Eravamo tutti eccitatissimi. Avevo paura di venire e bagnarmi. Ero sul punto di farlo, ma qualcosa dentro di me mi avvertì che se fosse accaduto non avrei saputo spiegarlo ai miei compagni. Perciò mi scossi. “Hai accettato tutto ed anche questo” dissi sfilando il dito a malincuore “ora sei nostro amico!” Lo facemmo rimettere in piedi ed anche noi ci alzammo, tutti ancora eccitatissimi. Mi abbassai il costume: “Adesso ci facciamo una sega insieme e uniremo le nostre sborre!” Buttai là sperando di non scandalizzare troppo gli altri due che avevano partecipato e ce l’avevano duro e stretto nei costumi da bagno, ma non avevano certamente fatto i miei pensieri negli ultimi due anni. Di questo ero più che sicuro. Quelli invece non mi delusero, perché si abbassarono immediatamente i costumi da bagni e cominciarono a menarselo. Mi avvicinai anch’io e lo fece la nostra vittima ed ormai nuovo amico. I cazzi erano quasi a contatto e quasi contemporaneamente tutti e quattro venimmo, schizzandoci l’un l’altro. In quel momento il biondino forestiero mi lanciò uno sguardo che io ricambiai. Capii che saremmo tornati a fare il rito dell’ombra, ma noi due da soli e che ci saremmo trattenuti anche più tempo.

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