Gay Erotic Stories

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Il Centro - Prima Parte

by Mr.lyle


Quell’estate il caldo era realmente insopportabile. Non eravamo ancora nei favolosi anni dei condizionatori ad ogni angolo, e ci si arrangiava alla meglio cercando di sopportare. Dal canto mio, ne approfittavo per passare in acqua ogni momento libero della giornata. Ero giovane, pieno di speranze, e con il senno di poi devo ammettere che non ero proprio da buttare.

Non avevo perô una percezione di me molto chiara, quindi continuavo a muovermi a stento tra relazioni mai iniziate e ideali di vita di coppia che puntualmente tradivano i miei reali desideri.

Avevo avuto un paio di ragazze, ma già allora il tutto appariva come un ricordo sfocato, come qualcosa che in realtà non mi appartenesse.

Cosî passavo le mie giornate alternando moderate solitudini e socializzazioni obbligate. Spinto da qualche impulso che ancora oggi non so spiegare, verso la metà di luglio decisi di fare qualcosa di insolito per le mie abitudini: mi trovai un lavoro.

Per abitudine passavo l’estate in completo riposo, ma quell’anno, complici forse i miei diciotto anni appena compiuti, pensai che la pausa estiva dagli impegni scolastici sarebbe stata ben spesa nell’unico posto che conoscevo dotato di aria condizionata. Fu cosî che feci domande a tappeto in tutti i negozi del vicino centro commerciale, fino a quando un paio di giorni piû tardi venni contattato dal responsabile di un modesto negozio di elettronica che aveva accettato la mia domanda.

Il lavoro non era particolarmente impegnativo: la maggior parte dei clienti sfruttava (come me) il negozio come scusa per difendersi dall’afa, e quindi non si preoccupava di assillare noi commessi piû del dovuto.

Le cose trascorsero cosî, nella calma piû assoluta, fino all’inizio di agosto. In quel periodo era stata programmata una piccola riorganizzazione degli spazi del negozio, con lo scopo di fornire una piccola saletta per la prova dell’apparecchiatura in dolby sorround (a quel tempo si trattava di un sogno proibito…). Per predisporre il tutto un elettricista iniziô a lavorare nel nostro negozio durante le pause pranzo e all’orario di chiusura, in modo da disturbare il meno possibile gli eventuali clienti.

Forse perché ero l’ultimo arrivato, o forse perché in fondo si fidava di me, il responsabile mi chiese se ero disposto a fermarmi per qualche giorno oltre l’orario di chiusura, in modo che ci fosse sempre qualcuno a disposizione dell’elettricista in caso di necessità. Riccardo (questo il nome dell’elettricista) era un ragazzo sulla trentina, non molto alto, con un fisico robusto che tradiva un recente rilassamento, ma che mostrava ancora i segni indelebili di un fisico palestrato.

Moro, abbronzato, con occhi piccoli e vispi ed un sorriso contagioso, era il genere di persona che sotto l’aspetto da bulletto di periferia nascondeva una naturale simpatia. Con una certa diffidenza, inizialmente approfittavo delle ore che dovevamo condividere per rivedere gli stock, evitando qualsiasi contatto non necessario.

Ma fu lui, contrariamente alle mie aspettative, a sbloccare quello stallo iniziale. Verso la metà dell’orario di lavoro concordato per la prima sera, Riccardo si avvicinô al mio bancone e mi chiese dove potesse prendersi qualcosa da bere.

In effetti, nonostante l’ora tarda faceva decisamente caldo, e l’aria condizionata del centro si era già disattivata automaticamente. Gli indicai gentilmente la nostra piccola sala relax, fornita fortunatamente di un distributore di bevande.

Lo vidi sparire soddisfatto dietro la porta che gli avevo indicato, solo per vedermelo ricomparire di fronte con un’espressione delusa qualche istante piû tardi.

“Non accetta le monetine…”, mi disse con una disperazione al limite della caricatura. Solo allora mi ricordai che in effetti essendo usato solo da personale interno, il distributore era predisposto per funzionare solo con le apposite chiavi fornite dalla ditta. “Tieni”, gli dissi, mentre gli offrivo la mia chiave personale.

Con entusiasmo Riccardo afferrô la chiave, ma un istante dopo mi fissô con una certa preoccupazione.

“Ti rimborso, sia chiaro”

“Lascia stare”, gli dissi, “non importa”

La mia naturale predisposizione alla gentilezza mi obbligava a non accettare i suoi soldi. Sparî nuovamente nella sala relax, e ricomparve qualche istante piû tardi con una bottiglietta d’acqua, da cui avidamente beveva con notevole soddisfazione. Si sedette di fronte a me, all’altro lato del bancone, richiamandomi volontariamente dai miei pensieri.

Era chiaro che la sua indole a socializzare era diametralmente opposta alla mia. “Ne vuoi un po’?”, mi chiese porgendomi la bottiglia.

“No, grazie, sono a posto”.

Contemporaneamente, mi allungô la chiave che gli avevo prestato.

“Avanzi un giro”.

Chiedendomi in che occasione mi avrebbe mai potuto offrire da bere, feci un leggero cenno di assenso con il capo, senza dare l’impressione di essermi distratto dalla mia occupazione.

“Comunque, io sono Riccardo. Ma puoi chiamarmi Ricky.”

Mentre mi porgeva la mano, notai quel sorriso fulminante che non avevo mai incontrato. Mi sentii paralizzato, e riuscii a stento a rispondere al suo gesto.

“Andrea, giusto?”

“Sî…”, dissi con tono sorpreso, prima di rendermi conto che aveva evidentemente letto la targhetta sulla mia camicia.

Scambiammo ancora un paio di frasi di convenienza, quindi Ricky terminô la sua acqua e tornô al suo lavoro.

Dopo circa un’ora mi comunicô che per quel giorno aveva finito, quindi chiamai la guardia del centro affinché ci aprisse la porta centrale e ce ne andammo entrambi. Quella notte, per motivi che allora non mi erano chiari, il mio sonno fu particolarmente tormentato.

Continuavo a vedere, inserito nei contesti piû assurdi, quel sorriso che mi aveva tanto spiazzato solo qualche ora prima.

Al mattino mi svegliai con la mia solita erezione mattutina, e sotto la doccia mi masturbai violentemente mentre canticchiavo anarchy in the u.k. dei sex pistols. Passai la mattina in spiaggia, nuotando fino allo stremo: ormai avevo superato l’affaticamento dei primi giorni e iniziavo a sentire gli effetti positivi di quella buona abitudine. I miei muscoli erano piû compatti, e mi sentivo in forma come da tempo non ero stato.

L’abbronzatura, inoltre, mi donava un aspetto decisamente piacevole. Quando venne la sera, passato il mio turno pomeridiano in negozio, rividi Ricky. Mi salutô con un caldo sorriso, e si mise subito all’opera. Come da copione, dopo un’ora venne a chiedermi la chiave in prestito, e mi invitô ad unirmi a lui nella pausa. Visto che comunque non avevo molto da fare, accettai con piacere.

Chiusi nella sala relax, parlammo del piû e del meno, delle nostre vite, dei nostri progetti, con molta naturalezza. Ero affascinato dal suo modo di raccontarsi, dal modo in cui gli brillavano gli occhi quando parlava dei suoi progetti futuri.

Non era fissato con la sua prossima macchina, non pensava che il mondo ruotasse attorno alle gambe di Naomi Campbell… era decisamente una persona anomala, e questo mi piaceva.

Passammo quasi mezz’ora là dentro, estraniandoci da tutto il resto, e quando ne uscimmo compresi che era successo qualcosa. In un paio di giorni forse non eravamo diventati amici, ma iniziavamo a comportarci come tali.

Il giorno seguente attesi con impazienza l’arrivo di Ricky.

Quando arrivô, mi salutô come al solito, scambiammo un paio di battute sul caldo, quindi si diresse verso il suo angolo di lavoro. Circa mezz’ora piû tardi, mi sentii chiamare. Andai da lui e mi ritrovai di fronte una scena alla quale non ero preparato. Ricky se ne stava sulla scala, a torso nudo, coperto solo da quei pantaloncini che indossava e dal cinturone in cui nascondeva ogni tipo di attrezzo di cui ignoravo la funzionalità. Da quel che capii doveva sistemare un paio di cavi sul soffitto, ed aveva bisogno che gli tenessi la scala per qualche minuto.

Ero lî, sotto di lui, con lo sguardo puntato in alto. Non riuscivo a togliere gli occhi da quella schiena ampia e scolpita, molto piû di quanto la maglietta lasciasse sospettare, che si modellava ad ogni suo movimento senza mai tradire la minima rilassatezza. Solo sui suoi fianchi, con teneri sobbalzi, una fascia di grasso richiamava la mia attenzione.

Nell’insieme perô non trovai sgradevole quell’immagine… al contrario pensai che quel dettaglio rendesse il quadro ancora piû affascinante, meno perfetto… piû interessante, o quantomeno unico.

“Puoi mollare.”

“Eh?” “Andrea, puoi mollare la scala, ho finito.”

“Ah sî, scusa.”

Ritornai dai miei pensieri, avvolto da un leggero imbarazzo. Scese e si mise di fronte a me. Il mio imbarazzo, in un istante, si trasformô in soggezione. Il suo torace era letteralmente immenso. Io non ero uno scheletro, avevo un fisico definito e se vogliamo anche piacevole, ma il ragazzo di fronte a me mi faceva sembrare poco piû di una canna di bambû. Prese la maglietta e iniziô ad asciugarsi, mentre io facevo del mio meglio per dissimulare il modo in cui scrutavo i movimenti di ogni centimetro del suo torace. Non capivo cosa mi stesse accadendo.

A scuola eravamo obbligati a spogliarci assieme per le ore di educazione fisica, e quando andavo a nuotare in piscina ero costretto a condividere la doccia con altri ragazzi. Ma la cosa non mi aveva mai minimamente turbato, se non per l’evidente soggezione di fronte ad attributi che ignoravo potessero appartenere ad un essere umano… Ora invece mi ritrovato di fronte ad un ragazzo a torso nudo, e mi sentivo le ginocchia tremare ed un crescente calore nel basso ventre che sapevo bene a cosa avrebbe condotto a breve…

“Non voglio farti perdere altro tempo, Andrea, se hai delle cose da fare…”

Notai una leggera ansia nella sua voce, come se stesse dicendo ciô che sentiva di dover dire, ma sperasse nello stesso tempo che io lo rassicurassi del contrario. Stupendo perfino me stesso, risposi.

“Figurati, non ho molto da fare. Mi fa piacere se posso esserti utile…”

“…in qualche modo”

Solo dopo aver pronunciato quelle parole, ascoltando il suono della mia voce, compresi che le avevo pronunciate in un tono ben diverso da quello che avevo immaginato nella mia mente. Ricky non ne apparve affatto risentito, ma sembrô invece contento della mia disponibilità.

Ben presto, cercando alla meglio di aiutarlo, mi ritrovai madido di sudore. Ricky si accorse di questo, e mi invitô a fare come lui ed a levarmi la camicia. Rimasi quindi lî, assieme a lui, con solo qualche centimetro tra i nostri corpi, cercando mio malgrado di concentrarmi su quello che cercava di spiegarmi. Arrivô il momento della pausa, e senza rimetterci le magliette, ci dirigemmo nella sala relax. Come il giorno precedente, iniziammo a parlare con confidenza.

Ad un certo punto Ricky si complimentô con me per la mia forma fisica, e mi chiese cosa facessi per mantenermi. Gli spiegai che nuotavo tutti i giorni, al che lui si diede un paio di colpi sulla pancia.

“Dovrei proprio seguire il tuo esempio. Guarda come mi sono ridotto…” “Ma no, dai, mi sembri in forma.”

“Grazie per la compassione, ma non devi preoccuparti… so che devo dimagrire.”

“Fino a qualche mese fa ero in forma, poi… la mia ragazza mi ha lasciato…” Mi guardô con sguardo eloquente.

“Sî, insomma, sai cosa voglio dire…”

Arrossii all’allusione, e Ricky se ne accorse. “Scusami, non ti volevo mettere in imbarazzo…”

“No, scusami tu… ê solo che non ho… uhm… una gran esperienza in questo genere di cose.”

“Tu? Dai, non prendermi in giro…”

“Forse ti sembrerà strano… ma… insomma… non l’ho mai fatto.”

Non so per quale motivo confessai una cosa tanto intima a qualcuno che conoscevo solo da qualche giorno. Forse, a ripensarci ora, volevo che la conversazione prendesse quella precisa direzione.

“Ma dai, sarai pieno di ragazzine che ti corrono dietro…”

“Non cosî tante… e mai quelle che piacciono a me. Non ho mai trovato qualcuna con cui valesse la pena di farlo, credo…”

“Oh.”

Cadde per qualche secondo un silenzio imbarazzato, che smorzô l’erezione che avevo conservato fino a quel momento.

“Ma… non sei curioso?”

Feci cenno di sî con la testa. “E allora secondo me sbagli. Non devi aver paura di quello che non conosci… su queste cose non bisogna pensare. Bisogna solo seguire il proprio istinto e dimenticarsi del resto.”

“Ci sono sempre troppi buoni motivi per non fare qualcosa.”

Detto questo, mi sorrise, forse per risollevarmi il morale dopo la predica, e ritornô al lavoro. Forse perché dovevo riflettere su quello che mi aveva detto, o forse perché effettivamente avevo ancora qualcosa da fare, ripresi la mia camicia e tornai a controllare gli ordini. Quando uscimmo, mi affrettai alla mia macchina e provai a mettere in moto. Non c’era verso. Quel rottame aveva proprio deciso di lasciarmi a piedi. Ricky, che aveva parcheggiato a qualche metro da me se ne accorse e mi offrî un passaggio.

Non avendo molte alternative, accettai e salii sulla sua auto. Non dissi quasi nulla, se non per spiegargli dove abitavo. Lui rispettô il mio silenzio, salvo romperlo quando ormai eravamo sotto casa mia.

“Scusa per prima. Non sono affari miei…”

“No, non devi scusarti… in fondo hai ragione.”

“Perché devi fare cosî?”

Il suo tono sembrava quasi arrabbiato. “Cosî come?”

“Sei un ragazzo in gamba, sei sveglio. Potresti avere tutto quello che vuoi. Perché devi avere questo atteggiamento? Uno ti ferisce e tu invece di arrabbiarti gli dai ragione?” Non sapevo cosa dire. Aveva toccato uno dei punti deboli del mio carattere, forse il piû delicato.

“Non ti capisco.”

Quella sua reazione ebbe un doppio effetto su di me. Da un lato, provai rabbia perché mi sentivo incapace di controbattere, dall’altro avevo la voglia di dimostrargli che ero diverso da come mi aveva descritto. Spinto dal momento, seguendo un istinto che non comprendevo, mi avvicinai verso di lui, e mentre lui si voltava di scatto verso di me lo baciai. Fu un bacio lieve ma intenso, che mi sembrô durare un’eternità. Prima che potesse dire qualunque cosa, uscii dalla macchina e sparii dietro il portone. Quella notte non dormii. Continuai a rivedere quell’immagine nella mia mente, dandomi dell’idiota per aver agito in modo tanto stupido. Ma, in qualche modo, ero contento. Sentivo di essermi tolto un peso che mi portavo dentro dallo stomaco.

La mattina dopo, invece provai un senso di inquietudine al pensiero che dopo poche ore avrei rivisto di nuovo Ricky. Cosa aveva pensato? Cosa avrebbe detto? Per quella mattina evitai la spiaggia. Il tempo non era dei migliori, e comunque avevo ben altro a cui pensare. Il pomeriggio il lavoro mi aiutô a distrarmi, ma inevitabilmente quando arrivô l’orario di chiusura sentii lo stomaco chiudersi e il mio cuore sobbalzare. Quando vidi Ricky avvicinarsi, lo fissai con inquietudine.

Studiai il suo volto alla ricerca di un indizio su quello che sarebbe successo. Ancora una volta lasciandomi di stucco, Ricky si avvicinô e mi salutô con il solito sorriso, come se nulla fosse accaduto. Quando venne il momento della pausa, Ricky si presentô davanti a me e mi chiese di unirmi a lui. Lo seguii nella sala relax, ci prendemmo qualcosa da bere e ci sedemmo uno accanto all’altro.

“Sono contento.”

“Cosa?”

“Sono contento, dicevo, che hai capito cosa volevo dire.”

Non riuscivo a capire dove volesse arrivare. “Ho visto come mi guardavi, Andrea. So cosa pensavi.”

“Perché ê quello che pensavo anch’io guardando te.”

Si alzô, si mise di fronte a me, quindi si abbassô piegando le ginocchia, in modo da potermi guardare dritto negli occhi. “Sono contento che tu mi abbia baciato, ieri.”

“Ora tocca a me.”

Avvicinô le sue labbra alle mie e mi condusse in un lungo bacio, molto piû deciso del primo, mentre le nostre lingue si rincorrevano assaporandoci a vicenda. Sentii le mie inibizioni cadere, e all’improvviso mi ritrovai in un altro mondo, abitato solo da me e da Ricky, in cui il tempo e lo spazio avevano perso di significato.

Sentii la passione crescere dentro di me ed avvampare, mi alzai e lui con me, cosî ci ritrovammo uno di fronte all’altro mentre le nostre mani frugavano i rispettivi corpi. Infilai le mani sotto la sua maglietta, percorsi tutti i muscoli della sua schiena e quindi lo aiutai a liberarsi dell’indumento.

Lo guardai ancora una volta, quel suo petto immenso, e mi precipitai sui rosei capezzoli mentre lui mi liberava dalla camicia. Agivo di puro istinto, non avendo che un’idea vaga di cosa fosse il sesso tra uomini, ma con la determinazione a fare tutto ciô che il momento richiedeva. Sentii le sue forti mani percorrermi l’addome ed infilarsi sotto la mia cintura, alla ricerca della mia erezione.

Sentivo l’eccitazione crescere dentro di me, e tendersi verso quel duro bozzo ormai evidente negli stretti pantaloncini di Ricky. Sganciai il suo cinturone e lo lanciai su una sedia, quindi abbandonai i suoi capezzoli e mi gettai sui bottoni della sua patta. Sganciato il primo, un possente effetto domino fece aprire di scatto tutti gli altri, rivelando il suo cazzo stretto in un paio di boxer bianchi.

Mi misi in ginocchio, mentre le sue mani risalivano dopo aver accarezzato i miei testicoli lungo il mio petto, fino ad accarezzarmi le spalle e quindi la testa. Respiravo l’odore intenso del suo pube, sudato dopo una lunga giornata di lavoro, e sentii l’impulso di scoprire quello che era diventato ormai il centro del mio desiderio. Con un unico movimento abbassai i boxer e i pantaloncini fino alle sue ginocchia, combattendo la resistenza delle sue cosce muscolose.

Il suo cazzo svettô di fronte a me, fissandomi minaccioso, a qualche centimetro dal mio sguardo estasiato. Era la prima volta che vedevo il pene eretto di un altro uomo, e forse per questo mi apparve immenso e maestoso.

Lo impugnai alla base, e mentre accarezzavo prima i testicoli e quindi le cosce con la mano sinistra, la mia bocca si era fatta strada fino alla cappella ormai scoperta, che iniziai a leccare e a succhiare come se non avessi mai fatto altro. Lo sentii mugolare di piacere, mentre con le mani premute sulla mia nuca mi invitava ad ingoiare il suo membro, assecondando i movimenti del suo bacino.

Lo sentii minacciare le mie tonsille, e spinto dall’inesperienza mi ritrassi istintivamente. Ricky rallentô il ritmo e mi fissô con quel suo sorriso che ormai amavo, e con movimenti lenti mi insegnô ad assecondare le sue andate ed i suoi ritorni.

Provavo piacere fisico dalla presenza del suo cazzo nella mia bocca, un piacere completamente diverso dall’orgasmo ma altrettanto intenso. Sentivo che gli stavo dando piacere, e tanto bastava a dare piacere a me. Quando il ritmo si era fatto intenso sentii i gemiti di Ricky crescere d’intensità e di frequenza, e sentii le sue cosce pelose irrigidirsi sotto le mie mani.

Ricky si fermô e uscî dalla mia bocca, invitandomi a sollevarmi. Quindi si strinse a me, con il suo membro che si strofinava sul mio stomaco, ed iniziô a slacciarmi la cintura e quindi i pantaloni, lasciandomi nei mie slip ormai gonfi a dismisura.

Mi fece sedere sopra il tavolo della sala relax e quindi mi invitô ad appoggiare la schiena contro il muro, mentre la sua lingua iniziava a leccare la stoffa della mia biancheria sopra la mia erezione.

Era talmente eccitante la scena che sentii l’orgasmo farsi strada dentro di me. Il mio sperma inzuppô i miei slip, mentre la sua lingua continuava a massaggiare la mia asta prolungando l’orgasmo a dismisura. Il prematuro piacere mi mise in imbarazzo, e cercai quasi di dire qualcosa, ma Ricky intuendo le mie intenzioni si precipitô a baciarmi per rassicurarmi.

Dopo una serie di baci furtivi, la mano di Ricky scese a liberare il mio pene nuovamente eretto, e subito la sua lingua si precipitô a leccare le tracce di sperma rimaste sulla mia asta e sui miei testicoli. Mi sentivo nuovamente in fiamme, e solo allora Ricky fece qualcosa che mi portô dove non immaginavo neppure di poter giungere. Sollevô le mie gambe e mi fece distendere completamente sulla schiena, quindi iniziô a leccare avidamente il mio ano. Iniziai a rabbrividire per il piacere, mentre sentivo la sua lingua farsi strada in quell’antro inesplorato.

Continuô il massaggio per qualche minuto, infilando alternativamente un dito insalivato, salvo poi tornare all’iniziale gioco di lingua. Ero in estasi, e sapevo che se avessi anche solo sfiorato il mio pene sarei venuto nuovamente. Ricky si allontanô improvvisamente da me, ed io tornai alla realtà con una crescente delusione. Mi accorsi che raggiungeva il cinturone adagiato su una sedia, e che estraeva da una delle tasche un piccolo oggetto di forma quadrata. Solo quando tornô sopra di me compresi che si trattava di un preservativo.

Solo allora, nella mia ingenuità, capii quale sarebbe stato il livello successivo della nostra “amicizia”. Infilô l’indumento sul suo pene eretto, quindi sputô sulla sua mano e inumidî con la saliva il membro incappucciato. Si avvicinô al mio sfintere e mentre io stringevo i denti nell’attesa dell’imminente dolore, Ricky mi invitô a rilassarmi il piû possibile ed a dirgli di fermarsi non appena avessi sentito il dolore insopportabile.

Deciso a non deludere Ricky, mi ripromisi di non farlo. Mi sentii lacerare, nonostante la lentezza dei movimenti, e per quanto il dolore iniziasse a diminuire poi, non scomparve mai abbastanza da permettermi di godere dell’esperienza. Ma per quanto il tutto fosse doloroso, il solo pensiero di avere Ricky dentro di me, di riuscire a donargli piacere con il mio corpo mi permetteva di sopportare il dolore e quasi di goderne.

Sentii i suoi movimenti farsi piû irregolari e frenetici con il passare del tempo, fin quando fu evidente che l’avvicinarsi dell’orgasmo. Ricky uscî da me e si levô il preservativo, quindi mi guardô negli occhi. Non disse nulla per paura di rovinare il momento, o almeno credo.

Ad ogni modo, senza che dicesse nulla mi alzai dal tavolo e mi abbassai sulle ginocchia. Presi il suo cazzo in bocca e continuai a succhiare come se ne andasse della mia stessa vita. Dopo pochi movimenti sentii l’orgasmo in arrivo, e vidi che Ricky tentava di uscire dalla mia bocca, ma io mi opposi e lo trattenni finchê la forza dell’orgasmo non gli impedî di ribellarsi.

Sentii il suo sperma schizzarmi in gola e innondarmi il palato, tra spasmi e gemiti. Sfiorai appena il mio membro con la mano destra e sentii il mio orgasmo fondersi con il suo, mentre il mio seme schizzava sulle sue gambe muscolose. Ripresosi dall’orgasmo, Ricky mi guardô negli occhi e finalmente disse qualcosa.

“Non dovevi…”

Lo fermai prima che aggiungesse altro.

“Avanzavo un giro, no?”

Scoppiammo entrambi a ridere, e ci stringemmo in un lungo abbraccio, interrotto da brevi e leggeri baci appassionati.

Quando tornammo alla realtà, ci ripulimmo e ci rivestimmo, quindi lasciammo il centro con un po’ d’anticipo, decisi ad andare a bere qualcosa.

Nella foga del momento non pensammo al fatto che la telecamera a circuito chiuso del centro avesse ripreso il nostro personale relax…

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