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A Letto Senza Carosello! Parte 1

by Duilio


Ho quarant'anni, toscano, di origini contadine. Non so quando i miei hanno smesso di essere contadini, anche perché quello è un lavoro che non si smette mai di fare. Comunque fino a 15 anni abbiamo abitato in campagna, 18 persone in famiglia, 8 ragazzi. Poi la famiglia si è divisa nei vari ceppi: lo zio con il nonno, l'altra zia con il marito, noi da soli. Negli anni 60 la televisione conquistò anche i più sperduti casolari e così, mi pare nel 67, anche la nostra famiglia acquistò il televisore. Naturalmente Carosello era la nostra medaglia quotidiana, escluso quando si faceva qualche diavoleria. E a me, uno dei più grandini, spesse volte mi toccava pagare per tutti. Mi ero abituato ad andare a letto senza Carosello! Avevo, talmente era l'abitudine, tutto un mio mondo in quella occasione: non stavo in camera, uscivo dalla finestra (era abbastanza pericoloso) e giravo per la fattoria che di sera, soprattutto d'estate, era una vera nuova esperienza. Nessuno mi veniva a vedere in camera (ero grande e poi avevo la fama di grande dormiglione), le donne facevano le faccende, gli uomini andavano a veglia o a controllare qualche lavoro. Mio padre usciva tutte le sere: o andava alla "mescita" o a veglia da qualcuno del vicinato, spesso era in compagnia del nostro vicino Loris, un giovanotto attempato della famiglia che abitava vicino a noi. Con Loris mio padre aveva in comune alcuni compiti delle due famiglie: la cantina, la stalla ed è per questo che erano amici e si frequentavano spesso. Una sera di giugno, primi giorni di vacanza (io facevo la terza media), mi toccò andare a letto senza carosello. "Bene, così stasera vado a giro per la fattoria", pensai per nulla impaurito della punizione. E infatti fu la solita tiritera: 10 minuti zitto in camera e poi via dalla finestra. Scendevo aggrappandomi ad un vecchio muro di pietra ed ero libero. Girai un po' per l'aia, mi avvicinai al campo: c'erano le lucciole, ma ormai ero grande e non credevo più alla magia che voleva che cacassero quattrini. Tornando verso casa vidi la luce di una candela accesa in cantina: mio padre e Loris stavano certo controllando le botti o qualcos'altro. Non mi avvicinai molto per paura di essere visto, ma sapevo che presto sarebbero andati via, a meno che si trattasse di un lavoro particolare, ma non era stagione questa. Infatti di lì a poco Loris e mio padre si affacciarono alla grande porta di legno della cantina e sulla soglia esitarono un attimo, (si diranno le ultime cose, pensai) guardando di qua e di là. Rimasi un po' per curiosità e un po' per dovere (se loro non andavano via io non potevo passare!) e invece che chiudere la porta e andare via rientrarono dentro, chiusero i battenti e smorzarono la candela. Questa mi parve davvero strana. In tutte le sere che ero andato a letto senza Carosello non mi era mai capitata. Sapevo tutto delle sere nella cascina, ma questa mi era nuova! Mi avvicinai quatto quatto verso la porta della cantina con la paura che se fossero usciti mi avrebbero potuto scoprire. Sentivo qualcuno parlare vicino alla finestra della cantina da cui si vedeva tutto il piazzale. Nonostante quella presenza mi avvicinai sempre di più. Parlavano a voce bassa, non capivo le loro parole, ma era certo che erano vicino alla finestra: per questo dovevo usare molta cautela. Capivo che stavano preparando qualcosa e pensai subito alla grappa che facevano di nascosto perché era vietato. Dalla porta lasciata appena appena socchiusa riuscii ad intravedere solo Loris che frugava in un armadietto, prese qualcosa e poi scomparve dalla mia visuale dirigendosi versa la finestra dove era mio padre. "E' quasi finita", riuscii a capire di quello che disse Loris, e mio padre "Si ritroverà!". "Bisogna che ce la metti tutta, quella che ci vuole" disse Loris. "Si si, sennò non scivola bene". Poi un po' di silenzio. "Aspetta" disse mio padre. Un attimo di silenzio e poi ancora mio padre "Ecco, così posso vedere meglio fuori". Poi silenzio, sentivo solo dei grossi respironi o qualcosa di simile che mi sembrava venissero da Loris. Ogni tanto qualche rumore di oggetti urtati, struscii. Non riuscivo proprio a capire cosa stessero facendo, ma ero ancora convinto che facessero la grappa. Mi dissi, fra me e me, che potevo benissimo entrare e che ormai ero grande e che, fare la grappa, non era una cosa da nascondermi, anzi sono sicuro che avrebbero avuto piacere che io partecipassi. Mi feci coraggio e aprii con titubanza l'anta della porta della cantina. Fu un attimo, un flash. Richiusi subito la porta, per fortuna senza essere visto. Scappai da lì e andai lontano per cercare di connettere e riflettere bene ciò che avevo visto in quel flash: nel buio avevo subito notato ai piedi dei due il bianco delle loro mutande abbassate, mio padre appoggiato alla finestra, Loris dietro di lui che si muoveva mettendo in mostra il suo culo bianco. Non so quanto sono rimasto lì a rivedermi mentalmente la scena. Non so se ero impaurito, eccitato o incuriosito. Andai a letto ma non dormii, chiaramente. Sentii mio padre che tornò da veglia, sentii quando si alzarono i grandi per andare a lavorare. Dormii fino a mezzogiorno, tanto avevo la fama di grande dormiglione. Era chiaro che la mia curiosità non mi permetteva di lasciare tutto lì, anche perché si faceva strada nella mia mente che avessi sognato tutto, che la scena fosse solo frutto della mia fantasia. E' per questo che dovevo sapere e vedere di più. Quando mio padre e Loris si ritrovarono la volta dopo non mi fu difficile ritrovarmi ben nascosto nella cantina, tra botti e damigiane, Entrarono insieme chiacchierando dei loro affari, ma già Loris (un omone di qualche anno più giovane di mio padre) cominciava a toccarsi tra le gambe. Chiusero la porta e portarono la candela a terra in modo che spandesse meno luce possibile. Si tirarono giù i pantaloni: Loris aveva un uccello grosso e lungo come nemmeno potevo pensare che esistessero. Mio padre lo prese subito in mano e Loris si lasciò smanettare per un po’; poi Loris agguantò per le natiche mio padre e lo tirò a sè continuando a palpare il fondoschiena di mio padre. Parlavano piano, riuscii a capire Loris che diceva a mio padre "Più lo faccio e più lo rifarei" e mio padre che gli dava ragione. Poi Loris si staccò e andò verso un armadietto, camminando a trampelloni con i pantaloni ai piedi, mentre mio padre si avvicinò alla finestra appoggiandosi al muro con una mano e toccandosi l'uccello con l'altra. Loris si avvicinò a lui, da dietro, gli frugò tra le mele del culo e lo unse bene bene con la crema che aveva preso dall'armadietto. Posò la crema e si smanettò un po' guardando e toccando le natiche a mio padre, anzi si abbassò e le baciò mordicchiandole. Non si dicevano tante cose, solo mezze frasi a volte incomprensibili. Mio padre reagì con un fremito ai morsetti di Loris; poi il giovanotto si alzò, puntò il suo uccello tra le natiche e armeggiò cercando di trovare il punto giusto; non riuscendoci si staccò da lui e posizionò la candela sul pavimento della cantina per poter vedere meglio (e così anche io vedevo molto meglio!). "Dai, disse mio padre, che aspetti?". "Ora arrivo" disse sottovoce Loris. E infatti, puntato l'uccello nel posto giusto, lo afferrò per le spalle e iniziò lentamente a spingere, ogni tanto tornando indietro. Loris che inculava il babbo! Era una scena insieme meravigliosa e sconvolgente per me, che è rimasta integra nella mia mente e forse mi ha condizionato in tante cose. Dapprima la loro azione era molto lenta, delicata quasi. Io, inutile dirlo ero molto eccitato, non credevo nemmeno di assistere ad una scena reale, ma mi faceva piacere vedere mio padre in questo ruolo. Man mano, senza dirsi tante parole, i due cominciarono a prendere velocità, Loris tirava fuori quasi tutto il suo cazzo e lo ributtava dentro con una precisione che pareva impossibile, sempre più velocemente. Lo alzò da terra, mio padre si appoggiava alla soglia della finestra e lo inculava come un toro, con la sua stessa foga. Improvvisamente si staccarono, si dissero qualcosa che non capii, mio padre andò a chiudere la porta col chiavistello e tornò da Loris. Si mise a pecorina davanti a lui e subito ricominciarono. Fu uno spettacolo che non mi scorderò mai. Loris sembrava davvero un toro, bello e muscoloso, mentre inculava a tutta randa mio padre; lo sbatteva sulle sue palle facendo quasi rumore. Era lui che guidava tutto, che faceva il ritmo con colpi tremendi che quasi quasi pensavo avessero fatto male a mio padre, che invece godeva come un maiale. Poi vennero tutti e due e Loris stette un po' adagiato sulla schiena di mio padre. Si rialzarono, si rivestirono (io sempre lì fermo e zitto), si dissero con dolcezza qualcosa sottovoce e e andarono via. Ma qui inizia il dramma per me: infatti, non so perché, quella sera chiusero la porta della cantina da fuori e io rimasi chiuso lì dentro. (fine della prima parte)

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