Gay Erotic Stories

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Bulli di Paese, Parte 1

by Ganimede (a_far72@hotmail.com)


Per una settimana mi ero messo d’accordo con mio cugino che l’avrei raggiunto in Toscana, nella casa che lui e i miei zii avevano di proprieta’ in un paesino sconosciuto e sperduto nella Maremma. Ero gia’ stato in quel posto e devo dire che non era un luogo esaltante, ma come si dice, per lo meno potevo trovare l’aria buona, e potevo fuggire dalla calura ferragostana della mia citta’. Il giorno che arrivai, dopo non troppe ore di treno, lo trascorsi un po’ a riposare e un po’ a fare visita a parenti o amici dei miei zii che risiedevano da quelle parti, la solita routine. Il giorno dopo andai al mare dalla mattina al tardo pomeriggio e, una volta rientrato, mio cugino, che e’ quasi mio coetaneo (io avevo 23 anni e lui 22), mi chiese se avessi voglia di andare insieme a lui al bar, l’unico bar del paese, a fare due chiacchiere con i suoi amici e magari a organizzare un’uscita in macchina verso uno dei paesi della costa toscana, che sono posti di villeggiatura e localita’ turistiche estive. Sarebbe stata una serata tranquilla. L’idea di andare fuori non mi dispiaceva, viceversa avere a che fare con la gente che abitava in quel paese mi faceva un po’ storcere il naso. Io in genere non sono uno con la puzza sotto il naso, e’ che non sopporto la vita chiusa e bigotta di paese, il fatto che ogni nuova faccia venga squadrata e fotografata da chi e’ del luogo, i pettegolezzi e le chiacchiere paesane da perfette comari. Comunque la prima ragione prevalse sulla seconda e ringraziandolo accettai l’invito. Dopo aver cenato insieme, io e mio cugino siamo usciti e ci siamo diretti al bar del paese, dove c’era un certo numero di persone, vecchi e adulti e alcuni ragazzi. Saluti di circostanza, quattro chiacchiere, e’ trascorso un po’ di tempo perche’ si decidesse dove andare; cosi’ alla fine, in cinque montammo nella macchina di uno di questi ragazzi. Eravamo io, mio cugino, e tre suoi amici, di cui due poco piu’ piccoli di noi e uno coetaneo nostro. Mi fecero salire nei posti dietro, prendendosi pero’ i posti ai lati dei finestrini, e lasciandomi quello centrale. Tutto il tragitto era stato un continuo susseguirsi di curve a S, curve a gomito, tornanti, salite e discese ripide, stradine di paese, non troppo illuminate e scorciatoie sterrate, tutte prese con molta leggerezza, alla velocita’ di 80 km/h; per cui quando arrivammo a destinazione, ero veramente stranito per il continuo sobbalzare a destra e a sinistra, e avendo fatto tutto il tragitto tenendomi saldamente ai sedili davanti per non rischiare di sbattere violentemente contro il ragazzo che sedeva alla mia destra e alla mia sinistra. L’unica cosa che c’era stata di bello e’ che con l’occasione, senza farmene accorgere, avevo potuto sfiorare e toccare le gambe lasciate scoperte dai pantaloncini che due che stavano ai miei lati indossavano. Trovato parcheggio, siamo scesi e questi ragazzi si sono messi d’accordo su come muoversi in cerca di rimorchiare le ragazze. Oddio, pensai, erano venuti per fare lo struscio, per puntare qualche tocco di fica e fare i molliconi. Formando una specie di sbarramento umano, procedettero a camminare verso una certa direzione. Tutti impomatati, molleggiati, ne dicevano di tutti i colori, si scambiavano battute e opinioni su questa e su quella. Ed io? Che potevo fare? Mi sono messo insieme a loro, li seguivo e guardavo quello che facevano, tanto a me non davano certo retta. Non potevo mica mettermi anch’io a rimorchiare, insieme a loro, bei ragazzi, visto che le mie preferenze in fatto di sesso sono di farmi lessare il culo e la bocca da lunghi e venosi pezzi di cazzo, anziche’ di lessare culi e fiche. E la serata continuo’ cosi’ per un po’ di tempo: devo dire che alcune ragazze che si erano fermate, alcune straniere e altre italiane, erano anche carine e piacevoli, ma sicuramente i nostri gusti sessuali non combaciavano. Inoltre, con qualcuna di loro ho anche fatto colpo, o comunque ho attirato l’attenzione, abbiamo parlato un po’ e scherzato. Ma tu guarda, e’ proprio vero che spesso chi ha il pane non ha i denti, e viceversa. Comunque la serata e’ finita un cosi’, senza nulla di fatto: quelle ragazze che avevano avvicinato avevano lasciato questi poveri ragazzi con un pugno di mosche, a bocca asciutta. Sara’ stato per la frustrazione di non aver potuto inzuppare il biscottino, che al ritorno, quei ragazzi erano piu’ pazzi e scellerati dell’andata. Il viaggio di ritorno fu infatti piu’ spericolato dell’andata e faticai non poco a rimanere seduto al mio posto. Comunque, in un modo o nell’altro siamo ritornati al paese che gia’ era notte alta e c’era molta meno gente ancora sveglia, seduta sui tavolini del bar. Volevo sicuramente congedarmi da quella compagnia per nulla amichevole, ma mio cugino insistette per rimanere ancora un po’ a chiacchierare; con la promessa che saremmo rimasti li’ per poco, decisi di rimanere e non tornare subito a casa. Piano piano le persone piu’ grandi se ne andarono tutte a casa, abbandonando il bar, e rimanemmo solo io, mio cugino, i tre della passeggiata in auto, un altro ragazzo del posto e il barista, un tipo spaccone sui 35 anni. I discorsi che questi facevano si riducevano essenzialmente a sfottimenti vari, riguardanti gente del posto e noi “forestieri”, che venivamo dalla citta’; anzi, piu’ di una volta questi ragazzotti se ne uscirono dicendo che quelli della citta’ dove io vivevo erano buoni solo a far lavorare gli altri, a godersi i frutti e le fatiche degli altri, naturalmente loro inclusi, e che fossero tutti indiscriminatamente nullafacenti. Era chiaro che a quel punto non si trattava piu’ di scherzi e di sfottimenti amichevoli, ma c’erano di mezzo offese pesanti. Quello che mi dava piu’ fastidio era che questa gente non mi conosceva affatto, e non mi sembrava giusto che di fronte a estranei si permettessero di sollevare critiche e invettive assolutamente irrispettose, senza tenere da conto delle reazioni dei diretti interessati, quali eravamo io e mio cugino. Se mio cugino era per loro un amico o comunque un buon conoscente, io per loro ero un perfetto sconosciuto, e questo atteggiamento mancava veramente di rispetto nei miei confronti. Comunque decisi di non mettere bocca a questi discorsi, anche se coinvolto direttamente, ma feci l’indifferente. Poi passarono a parlare di sesso, guarda caso, e di come fosse molto piu’ facile trovare culi e bocche disponibili in citta’ piuttosto che fuori delle citta’, nei paesi, dove il movimento e’ piu’ limitato e la scelta ristretta. Parlavano di una tizia che da quelle parti faceva a tutti i pompini, o di quell’altra che invece poteva ficcarsi un frigorifero nel culo per come ce l’aveva spanato, tanto era l’uso che ne faceva. O anche di quell’altra che era rimasta incinta e non si sapeva di chi, visto che il tipo con cui scopava era sterile. Oppure di quell’altro tipo che si diceva essere finocchio e stava sempre a guardare gli altri uomini. Ero abbastanza stufo di tutto, odio le chiacchiere da comari, e cosi’, intorno alle 2:30 di notte convinsi con non poche difficolta’ mio cugino a tornare a casa. Stavamo sulla strada del ritorno a casa quando mi accorsi di aver lasciato la mia giacca su una delle sedie del bar, e dissi a mio cugino che dovevo tornare a riprenderla, senza che lui venisse con me o mi aspettasse. Lui prosegui’ mentre io feci ritorno al bar. I ragazzotti e il barista che avevamo lasciato erano ancora li’, tranne uno che se ne era andato subito dopo di noi; dissi loro della giacca e salutai di nuovo, forse un po’ troppo freddamente, tanto che loro mi risposero in tono canzonatorio: “Buona notte a te, e riposa bene perche’ fra qualche giorno devi tornare a sudare al lavoro, romano buono a nulla e sfruttatore”. A queste parole, dello stesso genere di quelle che prima avevo sentito ma ignorato, invece questa volta non ci ho visto piu’. Non sono un tipo che si infiamma facilmente, o a cui piace fare a cazzotti, ma ero arrivato al limite della sopportazione, per le ragioni che ho detto prima. Ho risposto: “Se venite laggiu’ tra le macchine, pezzi di merda, vi faccio vedere io se noi romani siamo buoni a nulla”. Credo che non si aspettassero una risposta del genere, tanto che rimasero in silenzio, guardandosi a vicenda, poi il barista rispose: “senti senti che dice il bel romano, faccia d’angelo e bel vestito. Che dite ragazzi, lo seguiamo?”. E insieme si mossero con me verso una piazzetta usata per parcheggiare le auto, piuttosto isolata. Sentivo che parlavano a voce bassa tra loro e che si scambiavano risatine ironiche e gomitate d’intesa. Mi sono fermato vicino a un auto e loro, in quattro, si fecero in cerchio attorno a me. Mi lanciai sul barista, che piu’ di tutti detestavo e che piu’ di tutti era stato veramente offensivo. Lo afferrai stretto alla vita e lo spinsi sul cofano di un auto: lui batte’ il suo tronco sul cofano e io rimasi stretto ai suoi fianchi. Mi feci forse piu’ male io che lui, il quale si ritrovo’ seduto sul cofano dell’auto, mentre io lasciai la stretta rimanendo rintronato per l’urto. Mi aspettavo che gli altri ragazzi si sarebbero fatti sotto per aiutare l’amico, e mi girai intorno per vedere come potevo difendermi ed evitare di finire subito all’ospedale. Invece, stranamente, nessuno di loro si mosse e tutti continuavano a ridacchiare come fossero ubriachi davanti ad uno spettacolo divertente.

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