Gay Erotic Stories

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Dopo La Cena

by Canopus


Dal momento in cui sua moglie era mancata Giovanni sapeva di dover fare qualche tentativo per riorganizzare la propria vita, una cosa non facile a 55 anni, quando non sei più giovane ma non accetti di definirti anziano. Che fare? I vecchi amici erano scomparsi da tempo: era stata lei a prendersi cura di allontanarli fino dal momento del loro matrimonio; aveva tentato di sostituirli con pochi parenti di nessun interesse che poi avevano cessato di praticare. Al presente c'era comunque Luigi, l'unico loro figliolo che abitava non lontano, il quale ora si ostinava a pretendere che il padre, almeno nei giorni di festa, frequentasse la sua casa per pranzo. Ma Giovanni non aveva ancora vestito i panni del nonno, perciò arrivava regolarmente in ritardo e per le due del pomeriggio annunziava subito una serie di impegni mondani o di lavoro tratti da un repertorio poco credibile, che tuttavia l'aiutava a giustificare formalmente la sua imminente partenza. Anche se Luigi tratteneva a stento il proprio sconcerto per il comportamento paterno, per Giovanni defilarsi era un un fatto essenziale perchè il suo orgoglio smisurato non gli consentiva di gravare su alcuno. E così nei giorni di riposo la televisione lampeggiava per ore nella vecchia casa silenziosa, fino a quando lui non decideva di uscire per intraprendere qualcuna delle sue passeggiate interminabili e sempre solitarie. C'erano stati anche un paio di contatti con prostitute, minati dal terrore delle infezioni; quei rapporti vissuti senza un briciolo di calore umano lo facevano star male: no, non era questo lo sbocco che cercava. Per la verità non sapeva neppure cosa cercare. Il lavoro invece lo impegnava e lo costringeva a distrarsi dai pensieri più cocenti. L'azienda dove operava era popolata da una dozzina di giovani tecnici meno che trentenni ai quali avrebbe potuto fare da padre. Lui, unico anziano, aveva la stima e la deferenza dei colleghi che in questo doloroso frangente erano sempre in dubbio se fosse opportuno rispettare il suo isolamento o tentare di coinvolgerlo come prima nella loro sfrenata cagnara. Erano sempre agitati in caccia di ragazze, salvo qualcuno accasato che magari aspettava già il primo bambino: altre vite, altri scopi e problemi. Giovanni addestrava da quasi due anni un ragazzo ventiquattrenne che lo seguiva come un'ombra, assorbendo con occhi e cervello la sua proverbiale esperienza. Era così bravo che fin dall'inizio aveva nutrito per lui una viva simpatia, quasi un'attrazione che l'aveva un poco turbato. Poi si era sparsa la voce che Marco, era questo il suo nome, fosse omosessuale ed un tale sospetto era bastato perchè Giovanni si irrigidisse assumendo un atteggiamento formale e distaccato, spesso anche molto irritante, che gli impediva di pronunciare una frase o fare un gesto che non fosse strettamente necessario al compimento dell'attività lavorativa. Nessuno aveva potuto confermare quella dannata supposizione ma era un fatto reale che Marco non prendesse mai parte alle teatrali oscenità del branco e non si fosse mai fatto vedere in compagnia di una donna. Una sera, tuttavia, prese forma un differente scenario. Giovanni doveva completare una riparazione in cantiere, lavoro urgente e un poco pericoloso. Aveva portato con sé Marco che come sempre lo aiutava con silenziosa efficienza. Bisognava ammettere che era proprio bravo. Conclusero ch'era già l'ora di cena e la fine dell'impegno fece riaffiorare in Giovanni lo spettro della solitudine, una sorta di tetro pagliaccio che sembrava l'aspettasse di lì a poco, al suo rientro a casa. Questo lacerante pensiero e, in fondo, una certa gratitudine per l'aiuto che gli era stato prestato lo portò a fare uno strappo alla sua ferrea regola e si lasciò tentare dal desiderio di coinvolgere il ragazzo nella sua serata. "E' tardi. Perché non vieni a mangiare con me? Stasera abbiamo guadagnato quanto basta per concederci una cena di lusso". Marco lo guardava senza parlare, stupito da questo invito così insolito. Anzi, era la prima volta che accadeva. "Pago io", aggiunse Giovanni per incoraggiare, "è naturale". Marco telefonò avvisando la famiglia e i due si tolsero la tuta per indossare gli abiti. Il giovane vestiva in modo semplice, come uno che non desidera farsi notare, e per questo con una sobrietà quasi elegante. L'uomo per la prima volta si soffermava ad osservarlo in abiti civili e notò che si muoveva con armoniosa disinvoltura. "Certo", pensò, "anche da qui si capisce che è proprio un gay". Poi cercò di punirsi mentalmente per questo pensiero ostile. Raggiunsero in auto una zona vicina al centro della città e proseguirono a piedi verso una trattoria molto ospitale. Gruppetti di stranieri del nord, abituati a cenare piuttosto nel pomeriggio che di notte, già sfollavano il locale, che rimase frequentato da una clientela rarefatta e abbastanza sommessa. Merntre mangiavano il discorso cadde sul lavoro fatto, sul programma per l'indomani e Marco era sempre lo stesso: ricettivo e serenamente riservato. Ad un certo punto Giovanni disse: "Ti ho fatto sprecare una serata per far compagnia ad un vecchio rompiscatole" e mentendo aggiunse "farai le mie scuse a tutte le ragazze che stasera hai dovuto trascurare". "Non ho ragazze", rispose l'altro, "sono omosessuale, non lo sa? Lo dicono anche i colleghi". Giovanni provò a mentire di nuovo: "Si, lo dicono, ma io non ci ho mai creduto". "Fa male, perché invece è vero". Sui due commensali cadde una cappa di gelo e rimasero a lungo in silenzio. Poi Marco riprese fiato e precisò: "Sono un omosessuale che ha sempre represso i propri desideri; in pratica non sono mai stato con un uomo". A Giovanni questa ammissione inaspettata non era sembrata opportuna; avrebbe preferito una rassicurante bugia, tanto che ora provava stupore e fastidio davanti al candore del giovane; forse si sentiva assediato. "E perché me lo dici proprio stasera?" Marco sopportò come al solito il tono fastidioso della domanda e cercò di spiegare: "Perche lei, per la prima volta stasera, dopo due anni che l'ammiro nel suo lavoro ma al tempo stesso subisco la sua ostilità, si è degnato di manifestare un briciolo di calore, di trattarmi come un essere umano". Con poche parole Marco era andato al nocciolo del problema ed ora Giovanni capiva che la situazione era proprio quella. L'atmosfera si era fatta tesa e appena fu possibile pagò il conto ed uscirono, camminando in silenzio per raggiungere l'auto. Lui cominciava a rendersi conto davvero che con Marco aveva sbagliato tutto. "Mi lamento per la mia sorte, io che la vita l'ho vissuta, e non ho mai riflettuto su quanto un uomo così giovane possa soffrire per la propria condizione". Di tutt'altra specie erano i pensieri di Marco: "Cosa pretende quest'uomo da me? Sono due anni che lo sopporto e l'adoro, che percepisco ogni sua disperazione nascosta; due anni che lo spio non visto nello spogliatoio della ditta, che lo svesto nelle mie masturbazioni notturne, che indago sotto i suoi panni, lo accarezzo in cerca di qualità straordinarie che forse neppure possiede. E non l'ho mai potuto toccare; mi ha tenuto a distanza senza neppure concedermi una stretta di mano. Perché ora si accorge di me?" Fu Giovanni a rompere il silenzio improvvisando un tentativo disperato, forse un poco frettoloso, di ricomporre il loro rapporto e fu così che gli propose: "Vuoi venire un momento a casa mia per concludere un po'meglio questa strana serata? si prende un caffè e si passano ancora due parole, poi ti lascio andare. Mi sembra di conoscerti solo ora. Ti prego, dammi tempo per capire". "Non voglio approfittare di lei, si sta facendo tardi. Mi lasci pure qua vicino, mi farà bene camminare fino a casa mia" "Marco...vuoi proprio che ti chieda scusa? Va bene, lo faccio anche se mi costa, perché non ci sono abituato. Però non mi lasciare solo, stasera, in compagnia dei miei brutti pensieri; per una volta fammi un regalo: la tua simpatia, un poca di solidarietà; non vedi che te lo chiedo con umiltà? Certo se penso a quante volte ti ho costretto a fare di testa mia sul lavoro trovo naturale che tu voglia rifiutare...". Non ostante che il tentativo di superare a piè pari mesi e mesi di ostilità apparisse inadeguato e un po' goffo Giovanni non sapeva di cadere bene. Infatti Marco non rifiutò affatto; tremava come una foglia all'idea che il suo idolo potesse desiderare di passare del tempo con lui. Di lì a poco erano a casa di Giovanni. C'era un ordine freddo nelle stanze. Le cose, riassestate da un essere pignolo ma del tutto ignaro riguardo al modo di condurre una casa, si presentavano in un assetto perverso che già distruggeva le tracce di vita vera che la calda umanità della padrona di casa aveva a suo tempo lasciato. Marco si offrì di preparare lui stesso il caffe, che servì sul tavolo disponendosi con pazienza a soddisfare l'ansiosa curiosità di Giovanni riguardo a quanto poc'anzi gli aveva rivelato di sé. "Ma sei davvero sicuro di essere gay? Davvero non hai mai avuto esperienze con uomini? La tua non potrebbe essere una deformazione della psiche? in tal caso si potrebbe curare". Marco lo ascoltava con attenzione; stavolta però un malinconico sorriso gli increspava le labbra. "Non si preoccupi per me, Giovanni. Ho fatto accertamenti medici di ogni tipo e sono perfino entrato in analisi: creda, è proprio un fatto di struttura della mia persona. Una cosa però voglio chiederle: non dica ai colleghi che ho confermato i loro sospetti. So che lei è molto riservato ma ho sempre il timore di esser lasciato fuori dal gruppo. Questo è il reale pericolo, amaro e concreto". Giovanni era commosso; nel suo fondo di brava persona, ora che aveva saputo in modo diretto le cose essenziali, si sentiva disposto a capire tutto. "Ma allora perchè non segui la tua strada e ti cerchi un amore adatto alla tua condizione? Una cosa che ti scaldi la vita perché non puoi continuare così. Non dovrebbe essere difficile, sei un uomo attraente!" Marco continuava a sorridere. Avrebbe voluto dirgli, ma gli mancava il coraggio, che al centro dei suoi sogni c'era proprio lui, Giovanni. Invece seguitò a spiegargli il suo punto di vista. "Vede, io mi sono tenuto la mia verginità, una cosa ridicola alla mia età, in omaggio ai canoni di una società spietata pronta a collocarmi ai margini in ogni ambito, dalla famiglia all'ambiente dove lavoro. Del resto anche lei come si è comportato verso di me? Si sa che queste situazioni esistono; la gente per bene pensa che l'omosessuale debba praticare l'astinenza, e detto questo rimuove il problema, non vuole sapere più nulla perché non è interessata e non sarebbe in grado di formulare alcun apprezzamento per il sacrificio che l'astinenza comporta". Per la prima volta Marco parlava del suo problema e Giovanni lo guardava affascinato e stupito mentre in un attimo passavano sullo sfondo dei suoi pensieri gli episodi amari del suo trascorso comportamento, arrogante ed ingiusto. Rifletteva: "Quanto dolore nella vita;le persone care scompaiono, i figli si perdono assorbiti nella loro crescita, gli amici... dimenticati senza speranza di recupero. Eppoi questo ragazzo in crisi, che si meraviglia perfino di essere riuscito a confidarsi!" Un pensiero lo trafiggeva: nessuno nel suo piccolo mondo era realmente interessato a lui, disposto a fare qualcosa per lui, ma soprattutto a farlo nel modo che a lui serviva. E fu qui che, alla fine, si rese conto: l'unica persona che poteva farlo, che voleva farlo, anzi, che l'aveva sempre fatto...era Marco! Durante l'agonia di sua moglie aveva pianto più volte, senza mai farsi vedere. Quella sera ritrovò la strada silenziosa che conduce al pianto liberatore, anche se ora era un pianto diverso, ma stavolta lo fece senza nascondersi, al cospetto del ragazzo. A quelle lacrime Marco protese d'istinto una mano, quasi volesse toccarle, un gesto che forse stava per diventare una carezza. Appena se ne accorse si ritirò bruscamente ma Giovanni trattenne quella mano e l'avvicinò alle labbra. Si alzò trascinando in piedi il suo giovane amico e lo abbracciò teneramente. Fu un contatto lungo e carezzevole. Gli schiuse la bocca con le labbra: tutto si stava trasformando ed assumeva una forte intensità. Era certo che non sarebbe stato respinto ma le sue mani si muovevano cercando questo consenso. E lo trovavano. Faceva tutto ciò per la prima volta nella vita ma non voleva capire, non voleva pensare: era felice, si, finalmente era felice. Basta! Marco respirava forte; anche lui, per la prima volta nella vita sentiva un gran vuoto in mezzo allo stomaco. "Sarà vero", pensò, stentando a concentrarsi sul quesito. Non riusciva a trattenere un sommesso mugolio mentre pian piano le sue braccia, rimaste giù lungo i fianchi si sollevavano per cingere il collo dell'uomo, del suo idolo che ora lo stringeva con passione. Chi li avesse visti così, perduti, spiazzati, magari un po' goffi nell'inesperienza di un simile approccio, avrebbe comunque pensato che questi due esseri erano riusciti finalemente a fondersi, a penetrare l'uno nell'altro. Sarà stata la solidarietà nel dolore, il senso di perdono per i torti fatti e per quelli subiti, l'astinenza di entrambi, le pulsioni del sesso, si, tutto questo ed altro ancora, certo... Certo però, sopra quel pantano greve di sentimenti e d'istinto, galleggiava qualcosa di molto leggero e sempre nuovo. Qualcosa che, chissà, potrebbe anche chiamarsi amore.

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