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Gli Argonauti

by Merlino


Il mio nome è Orfeo e forse mi conoscete per fama, dato che ho cantato le gesta degli antichi eroi in tutto il mondo. Al suono della mia lira anche le fiere selvagge si ammansiscono e i cuori degli uomini più duri si fanno teneri come quello di un dolce fanciullo. Voglio narrarvi un episodio poco noto della mitica epopea che condusse Giasone e il fior fiore della gioventù greca a bordo della nave Argo, alla riconquista del vello d'oro attraversando mari perigliosi e avventure di ogni genere. Anch'io ero uno dei cinquanta imbarcatisi al comando di Giasone, figlio di Esone, re di Iolco, per riportare al padre Zeus il vello dorato che una volta aveva ricoperto l'effigie di montone rappresentante Zeus Ariete. Il vello che era stato rubato con l'inganno dalla grande sacerdotessa della Triplice Dea e spedito fin nella lontana Colchide. Dopo la guerra durata decenni, che aveva contrapposto il potere femminile delle sacerdotesse e della Grande Dea, al potere maschile degli invasori greci adoratori del padre Zeus; quando il potere dei maschi e degli dei olimpi si era ormai consolidato, pur senza diventare assoluto, il giovane Giasone fu incaricato da Apollo di riportare il Vello al suo legittimo proprietario, cioè Zeus. Ma la storia è nota, anzi, è una delle più note, e tutti conoscono i nomi dei cinquanta eroi che vi presero parte e non starò a ripeterveli. Eravamo partiti pieni di speranze e di ardore giovanile (ma io, ahimè, giovane non lo ero ormai più), sotto i buoni auspici di molti dei. Una sera ci colpì una burrasca e, a forza di remi, riuscimmo a portare la nave in prossimità di una caletta, al sicuro dalla tempesta. Si scorgevano, sulla costa, delle case e campi ben coltivati. Allora inviammo a terra Echione, l'araldo figlio del dio Ermes, rivestito delle sue insegne, sperando che gli abitanti del posto non fossero tanto selvaggi da non rispettare la sacralità dell'araldo. Echione tornò alla nave dopo alcune ore e riferì che aveva incontrato solo donne. Eravamo all'isola di Lemno, governata da una sacerdotessa in nome della Triplice Dea, ancora onorata e signora in quel posto. La sacerdotessa ci permetteva di sbarcare e ci invitava a banchetto. Eravamo perplessi, l'assoluta mancanza di uomini sull'isola ci impensieriva. Che era successo? Perché mai Lemno era abitata solo da donne? Decidemmo di invocare Apollo, perché ci consigliasse con la verità della sua parola. Era tra noi Idmone di Argo, figlio di Apollo e Giasone lo pregò di intercedere presso il dio. Idmone si purificò e versò del vino come offerta, poi ne bevve lui stesso. Io suonai e cantai una canzone solenne. A un tratto, Idmone parlò con la voce del dio "Guardatevi dalle donne di Lemno" disse. "Esse, seguendo l'ordine della loro antica e crudele dea, hanno uscciso tutti i maschi dell'isola, mariti e figli, e la stessa sorte vi aspetta, se sbarcherete". Ci sentimmo accapponare la pelle e, in fretta e furia, ritirammo l'ancora e ci allontanammo dalla riva. Non potevamo, però, riprendere il mare aperto, perché ancora infuriava la tempesta. Eravamo in ansia, infatti con delle barche, dato che ancora eravamo molto vicini alla costa, le donne avrebbero potuto tentare di abbordarci e per questo mettemmo di sentinella Linceo, la cui vista era tanto acuta che riusciva a scorgere anche gli spiriti. Cercammo di riposare ma, dopo un po', ci risvegliammo raccontandoci a vicenda lo stesso sogno. Tutti avevamo visto Poseidone, re dei flutti, che ci ordinava uno strano sacrificio, mai sentito prima. Se lo avessimo accontentato, lui, signore del mare, avrebbe calmato la tempesta portandoci lontano da quell'isola sinistra. Ci guardammo in faccia e qualcuno già ridacchiava. Giasone dalla lunga chioma color del grano dorato, gridò rivolto a tutto l'quipaggio: "Dobbiamo obbedire a Poseidone e, pertanto, mettetevi di fianco l'un con l'altro, rivolti verso il mare, e toglietevi le vesti". Uno strano spettacolo si sarebbe offerto a chi avesse potuto osservare quei giovani che orlavano tutta la bella nave, completamente nudi, mentre, osservandosi l'un l'altro, si masturbavano cercando di restare seri. Solo io, in grazia della mia età, fui esentato, così potevo suonare cercando di estrarre dalla mia lira gli accordi più lascivi che potevo. Oh, dei! Anche ora dovrei poter cantare per farvi vedere ciò che vidi! Tutti quegli splendidi giovani, dai corpi ben formati, allineati lungo il basso parapetto della nave, che si masturbavano gomito a gomito. Riuscite a immaginare la scena? C'era il grande Ercole, alto più di due metri, con un fallo poderoso che stringeva con due delle sue manone, a gambe leggermente divaricate e con il bacino spinto in fuori, che grugniva soddisfatto lanciando occhiate all'adolescente al suo fianco, il giovane Ila. Niente potrebbe produrre un contrasto più deciso del corpo enorme, ricoperto di peli, di Ercole, accanto alle membra slanciate ed agili di Ila, figlio adottivo di Ercole. Ila era nel fiore della gioventù ed il suo corpo appariva liscio come quello di una fanciulla. Era bello, Ila, nella sua giovanile baldanza, con i capelli a caschetto e la faccia imberbe assorta, mentre la sua mano destra accarezzava veloce il pene incappucciato. C'erano i due famosi gemelli, Castore il lottatore e Polluce il pugile. Erano identici e avresti potuto credere di guardare un robusto giovane che si guardava, a sua volta, in uno specchio. I due gemelli si masturbavano rivolti leggermente l'uno verso l'altro, anziché verso il mare. Man mano che andavano avanti nell'impresa e che si avvicinavano al momento dell'estasi, inconsapevolmente si giravano sempre più finché, alla fine, stavano masturbando i loro peni poderosi guardandosi negli occhi, come se offrissero l'uno all'altro il loro seme e non al dio delle acque. C'erano i fratelli traci Zete e Calais, anch'essi l'uno accanto all'altro, che si masturbavano usando la mano sinistra mentre, con la destra,si accarezzavano l'un l'altro i glutei sodi. C'era il bellissimo Giasone, dal corpo agile e poderoso nello stesso tempo, con la lunga chioma bionda di solito acconciata al modo degli uomini-cavallo, ma ora sciolta alla leggera brezza della sera. Giasone era alto e con due gambe lunghe e dalle cosce tornite, appena coperte di peli biondi che si infittivano salendo verso l'inguine, per addensarsi ricciuti e folti al di sopra del pene lungo e solido. Giasone era serio, tutto preso nella sua opera, come deve esserlo un sacerdote che officia. Accanto a lui si agitava il costruttore della nave, Argo, che era più basso del compagno, ma dalle membra solide e ben costrutte. Argo aveva un pene straordinariamente lungo e, volendo, avrebbe potuto baciarlo senza sforzo, piegandosi appena un po'. E c'erano tutti gli altri, fiore della grecia, eroi famosi, che i poeti ormai hanno fatto conoscere in tutte le corti. Il primo a raggiungere l'orgasmo fu Ercole, primo in tutto, che con l'attrito prodotto dalle sue mani avrebbe potuto incendiare un bosco. Lanciò un muggito e dalla sua grande cappella uscì un vero fiotto di sperma, che colpì le acque del mare. Allora, certo per intervento divino, tutti i giovani giunsero al culmine e getti di seme si riversarono nelle acque da ogni parte della nave. Solo Castore e Polluce erano venuti l'uno sul ventre dell'altro e, per questo, in seguito furono perseguitati dall'ira del geloso Poseidone. Le onde che attorniavano la nave, al contatto dell'offerta, si appiattirono completamente, e l'Argo si trovò a galleggiare su una superficie perfettamente liscia mentre, in lontananza, fuori dall'insenatura, delle onde enormi facevano sentire i loro scrosci e la loro spuma brillava alla luce del tramonto. "Guardate", urlò a un tratto Linceo dalla vista acuta. "E' Poseidone in persona, che è uscito dalle acque". Ma, naturalmente, nessuno di noi lo vedeva. Non lo potevamo vedere, ma tacemmo immediatamente, attenti e ansiosi. Qualcuno di noi stava ancora scrollando le ultime gocce dal pene semieretto, ma tutti alzammo la testa in attesa degli eventi. Una voce cavernosa si fece udire: "Bravi, figli miei, continuate pure prendendo piacere l'un l'altro. Io vi starò ad osservare". Cominciammo a sbirciare i nostri vicini, qualcuno fece sentire una risatina e già il membro dei più audaci cominciava a rialzarsi. Al solito, fu Ercole, il più coraggioso in ogni circostanza, che diede l'esempio. Con una specie di muggito afferrò Ila, suo scudiero e figlio adottivo, e lo sollevò di peso. "Abbracciami, bambino, obbediamo a Poseidone". Ila fece del suo meglio per abbracciarlo, ma non riuscì a circondare il torace dell'eroe. Il ragazzo se ne stava appeso, con i piedi che non toccavano terra, sostenuto dalle manone di Ercole e, visto che le sue braccia non erano sufficientemente lunghe, usò le lunghe gambe per afferrarsi alla vita del compagno. "Ecco, bravo, sta' così" muggì Ercole, il cui fallo stava paurosamente ingrossando. Gli argonauti attorno ai due osservavano perplessi il tentativo del gigante di far penetrare il suo enorme membro nel giovinetto. Ila resisteva coraggiosamente, ma era evidente una smorfia di dolore sul suo volto. Ercole teneva le natiche di Ila tra le mani sostenendolo, mentre il suo pene turgido spingeva verso l'alto con affondi possenti. Ila gridò e Ercole cominciò a penetrare. Pian piano abbassò il ragazzo, finché gran parte del suo membro virile non fu ingoiata dall'ano violato. Ila gemeva, ma resisteva bellamente, mentre il gigante cominciava un lento va e vieni. Sembrava impossibile che l'enorme affare di Ercole fosse stato ingoiato senza squartare le delicate membra di Ila. Gli argonauti che circondavano la coppia, applaudirono. Ormai erano anch'essi in piena erezione e cominciarono a darsi da fare tra loro. Del resto, su tutta la nave si erano allacciati a coppie, in terzetti o in quartetti, e tutti gli eroi erano intenti al loro piacere. Il bel Giasone stava succhiando con piacere il lunghissimo pene di Argo, ma poteva inghiottirne solo una parte, così usava entrambe le mani, una su l'altra, per masturbarlo e Argo sembrava gradire molto il trattamento. A un certo punto Argo fermò il compagno tirandolo indietro per i capelli: "Fermati, amico mio, o me ne verrò subito. Lasciami, invece, accarezzare il tuo splendido corpo". Giasone si alzò in piedi accondiscendente e si lasciò abbracciare. Argo gli morsicchiò un capezzolo, facendo gemere il compagno, poi gli passò una mano sui testicoli ben formati, stringendoli, e si chinò a sua volta prendendo in bocca il sesso di Giasone che si inarcò spingendolo in avanti. Intanto le mani del costruttore della nave non stavano ferme ed erano passate a carezzare le natiche rotonde, per poi impegnarsi a titillare la cavità che queste nascondevano. Giasone, ora, gemeva apertamente e il suo fallo produceva gocce prespermatiche in continuazione, tanto che Argo fermò l'opera della sua bocca per non provocare l'estasi finale. Ma non fermò le sue dita, tre delle quali, ormai, erano penetrate nell'orifizio che a lungo avevano esplorato. Argo passò dietro a Giasone e lo invitò a chinarsi; poi, con mosse esperte, cominciò a penetrarlo e, in breve, il suo lunghissimo pene fu inghiottito. Come un ariete infoiato monta la pecora sottomessa, così, Argo il costruttore stava dando e prendendo piacere dal corpo di Giasone il condottiero. Anche questo era un quadro degno di essere osservato e alcuni argonauti, peraltro anch'essi occupati, credettoro opportuno lanciare le loro grida d'incitamento alla coppia. Giasone, il bel corpo piegato, la lunga chioma bionda che gli ricadeva ai lati del volto, era squassato dai colpi di Argo che pareva impazzito e che si agitava con sempre maggiore rapidità, estraendo ed affondando il suo lungo arnese nell'accogliente ricettacolo offerto dal posteriore di Giasone. Poco più in là i due gemelli, Castore e Polluce, erano intenti alla reciproca esplorazione dei rispettivi corpi. Erano corpi d'atleti, robusti e ben formati, e le loro mani accarezzavano i bicipiti, i larghi pettorali, gli addominali di ferro, le natiche marmoree. I loro corpi erano depilati, salvo la macchia scura dei ricci che ricopriva l'inguine. Alfine, le mani dei gemelli si arrestarono sui sessi eretti e, per un po', parvero intenti a masturbarsi ma, ben presto, accostarono i loro corpi e le mani tornarono ad occuparsi delle splendide natiche. Sfregavano i loro sessi eretti l'uno sul ventre dell'altro e si abbracciavano con libidine, finché anche le loro bocche si congiunsero e non si staccarono più, almeno fino al momento in cui, con un rumore sommesso, come di un panno che venga stracciato, dai loro peni non eruttò il seme che andò ad impiastrare i ventri accostati. Gli argonauti continuarono a lungo a darsi piacere e sembrava che ci provassero davvero gusto, tanto che, alla fine, non potendone più, dopo che anch'io avevo approfittato della mia mano per alleviare il noioso turgore provocato da tante immagini eccitanti, presi a suonare una musica calmante e, ben presto, i giovani eroi giacquero addormentati. Ila giaceva sulcorpo di Ercole, che lo teneva saldo con uno dei suoi bracci; Castore era ancora attaccato a Polluce e dormivano su un fianco, così che si potevano ammirare due paia identiche di splendide natiche; Giasone era riverso sulla schiena e si era addormentato con le membra scomposte, a braccia allargate e gambe divaricate, il bel volto che mostrava il profilo, mentre Argo giaceva con la testa poggiata sul ventre di Giasone, con una mano che teneva ancora stretto il proprio pene, ormai afflosciato. Ovunque, sulla nave, era calato il sonno ristoratore e anch'io, finalmente, posai la lira e mi addormentai. L'alba doveva essersi affacciata da poco, quando le grida di Linceo dall'acuta vista, ci svegliarono. "Fratelli", gridava ancora una volta "Guardate là, è Poseidone in persona, che emerge dalle acque". Stavolta, tutti lo vedemmo. Il dio, gigantesco, azzurro come le acque più profonde, era emerso dal mare e permetteva che lo vedessimo. Dalle cosce in sù era fuori dall'acqua e potevamo ammirare il suo poderoso membro in erezione. Un "Ooooh" ci uscì dalle bocche e ci parve che Poseidone ci sorridesse compiaciuto. Restammo in silenzio ad ammirare il dio che si masturbava e notai che diversi dei nostri giovani avevano portato, per emulazione, la mano al loro attrezzo. Ercole, invece, carezzava i teneri glutei di Ila. Quando Poseidone giunse all'orgasmo, un lieve terremoto scosse la terra e le acque del mare, ma non ci spaventò più di tanto, perché eravamo certi di essere nelle grazie del dio scuotitore. Poseidone, con il suo enorme membro, stava innaffiando le acque di getti di sperma, che giungevano fino in mare aperto. Al loro tocco le onde si acquietavano e, ben presto, una magica calma si sostituì alla furia del mare. Il dio si immerse agitando una mano in segno di saluto e una dolce brezza ci portò per più giorni verso la nostra destinazione. E' da allora, che ho capito quali sono i sacrifici che Poseidone preferisce e, prima di intraprendere un viaggio per mare, ho sempre convinto i marinai ad ingraziarsi il dio. Se vuoi scrivermi: merlino88@hotmail.com

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