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Monster Cock, fine

by Ron Oliver e Michael Rowe


21 Aprile 1889 Così stanco. In questi giorni, da quando ho dato un po’ di libertà limitata alla creatura, Esso ha ignorato qualsiasi mio tentativo di educarlo. Non ha dimostrato alcun interesse per i libri che io ho proposto; al contrario, li annusa, li lecca e poi li sfrega contro l’inguine. Non soddisfatto il bruto ha strappato in brandelli preziose prime edizioni per innaffiarne i resti con uno zampillo di piscio acido. Nella sua vita precedente sarà stato un critico letterario. Il solo riposo che riesco ad avere è quando la Cosa ha eiaculato. Quando sprofonda sul pavimento, con la sborra calda che ancora si versa dal suo organo massiccio, io gli rimetto le manette e lo imbavaglio. Solo allora posso tentare di dormire, mangiare o scrivere i miei rapporti. Ma nel giro di minuti il Satiro si sveglia nuovamente, il suo cazzo osceno si ingrossa, sbattendo in aria, pretendendo le mie attenzioni. Copro le mie orecchie con le mani tremanti ma i sui urli agonizzanti mi attraversano come lame e, a dispetto dei miei sforzi, sento che il mio uccello si indurisce per il desiderio. Dio mio, cosa ho mai fatto? [SENZA DATA] Non dormo. Non mangio. Il diavolaccio è insaz i a 11 Maggio 1889 Sono perduto. Attraverso la luce febbricitante di questa sola candela puzzolente, vedo che i muri sono imbrattati con sangue fresco, e il mobilio è frantumato in piccoli pezzi, buoni solo per accendere il fuoco. Quale mostruosità ho generato? Che cosa in nome di dio ho permesso che accadesse? Presi fra le braccia il corpo contorto e lacero di Willard. Il meschino piange e sragiona…è in delirio…e ripete di continuo il segno della croce. Il ragazzo è di sicuro ammattito per il dolore. Ha le labbra morse crudelmente, e il retto pende a brandelli, lacerti di tessuto umano. Ma sono gli occhi di Willard che mi raggelano il sangue per il terrore. Appaiono vuoti, senza fondo, come se avesse aperto la botola dell’inferno non avesse trovato in sé la forza per a richiuderla. Non sono quasi in grado io stesso di tenere questa penna in mano, a causa di un tremito violento, ma se è scritto che anch’io debba morire questa notte, devo adoperarmi almeno per una spiegazione; certamente l’insensatezza che sguinzagliato va ben oltre qualsiasi tentativo di apologia. Questo è quanto accadde: Una sera andai al Globe Theatre con tre amici, galantuomini dediti alle mie stesse piacevolezze della vita che io conoscevo sin dai tempi di Oxford. Temendo che qualche parola giungesse alla mia famiglia nello Wiltshire, spiegai ai miei compari che il mio tour dell’Africa era stato interrotto da un’improvvisa malattia di un mio amico (OH! Quale orribile ironia!) Durante lo spettacolo fui turbato da qualche presagio di rovina, un’ansia persistente che qualcosa stesse andando storto al mio appartamento. Avevo indotto la Creatura a ingoiare del laudano questo pomeriggio, ed era caduto in un sonno profondo quando lasciai l’alloggio. Willard mi teneva il broncio sin dalla notte della flagellazione, ma sembrava avere inteso tutte le mie istruzioni. Attribuii quelle premonizioni allo spossamento e in misura non inferiore al senso di colpa, e quindi continuai a godermi quello spettacolo mediocre e in seguito una cena eccellente. I miei amici federo dei commenti sul mio pallore. Io risi, adducendo come pretesto la “stagione della pioggia” in Kenya in questo periodo dell’anno. Dopo cena, presi una carrozza fermandomi a debita distanza dall’appartamento. Camminai attraverso la nebbia gelatinosa percorrendo il rimanente tratto di strada. Fasciato dentro il mio mantello, col capo chino, per grazia ricevuta non incontrai nessuno a parte due prostitute che cercavano di adescare all’opposto angolo della strada. Notai soddisfatto che erano tese al loro commercio per riuscire ad identificarmi. Mentre mi avvicinavo all’appartamento il sentore di disagio si intensificò fino a parermi quasi fisico. Salii le scale esterne, per quello che mi sembrò essere una nera macchia d’olio. Ad un più attento esame, constatai con orrore che sembrava più sangue. Mi scapicollai su per le tre rampe di scale. La porta del mio appartamento pendeva dai cardini ridotta ad un cumulo di assiciuole. La forza che aveva ridotto in pezzi la pesante quercia era erotta da dentro. La gialla luna enfia inondava l’appartamento con una luminosità spettrale. Le stanze erano state distrutte. Tutta l’attrezzatura del mio laboratorio era stata fracassata, ed un oceano di pezzi di vetro scricchiolava sotto i miei stivali. Il legno grezzo del mobilio era stato lacerato come fosse stato carta. Udii Willard che si lamentava in un angolo. Trovai una candela tra i frammenti, l’accessi per guardare da più vicino quel povero ragazzo. Vedendomi nella cornice luminescente della luce della candela, incominciò ad urlare, lanciando un grido dopo l’altro come se volesse svegliare i morti. Lo strinsi fra le braccia e si calmò immediatamente. Prega e piange nell’angolo mentre scrivo queste righe. Per miracolo, Monster (perché ora non c’era più dubbio alcuno nella mia mente sull’identità della Cosa che aveva agito così) aveva lasciato intatti i miei diari e la dozzina di volumi rilegati in pelle con miei appunti medici. Devo smettere di scrivere ora e curarmi di Willard. CORNOVAGLIA CAMPBELVILLE GATE, MILTON BY SEA, 26 MAGGIO1889 Queste annotazioni sono frutto di memoria, e dovrete perdonarmi anche quando sembrino sparse. Talvolta, nei giorni passati, sentii che la mente mi sarebbe di sicuro esplosa. Forse accadde, forse i miei ricordi, poiché suonano come fantastici, sono semplicemente romanzeschi. Ma di sicuro nulla di così orribile può esistere, se non nella realtà. Per colmo di ironia, io che cercavo di non coinvolgere la mia famiglia in tutta questa faccenda, ho dovuto utilizzare proprio il mio nome per fare ricoverare immediatamente Willard dalle Sorelle del Perpetuo Dolore. Esile e fragile come sembrava calamitò su di sé le sorelle fluttuanti come bianche colombe; gli levarono quei pochi semplici abiti che gli erano rimasti indosso, lo assicurarono al letto con cinghie di cuoio e poi spinsero fino al suo letto un carrello carico di strazianti strumenti medici. Mi ritrovai al suo capezzale per tenergli la mano; egli moveva le labbra come per proferire verbo, ma le parole gli rimanevano strozzate in gola. Poté solo sorridere prima di chiudere gli occhi. Rimisi la mano moscia sul suo torace e chiesi alle pie donne di prendersi cura di lui. Viaggiando in carrozza la mia mente correva. Il frutto di quello che era stata una volta la mia personale follia, ora circolava libero, in preda alla furia. Le luci di Londra brillavano, un banchetto per l’orribile appetito di Monster, la mia mostruosa creazione. Credei di impazzire per il senso di colpa. Appena girato un angolo, vidi una folla che si era radunata di fronte alla stazione ferroviaria di St. Pancreas. Il veicolo della polizia aspettava lì accanto, con i cavalli che battevano con forza gli zoccoli sul terreno e indietreggiavano impauriti. Qualcosa di quella scena mi raggelò e ordinai al cocchiere di fermarsi. Mi feci largo fra quegli sciocchi curiosi, adducendo pretenziose credenziali mediche, e arrivai ai poliziotti, là, nel mezzo del crocchio, mi inginocchiai. La vittima era un ferroviere nerboruto, con la barba, non ancora trentenne, con un corpo fermo e naturalmente muscoloso, coperto per la maggior parte di sangue. Tolsi il manto steso su di lui e la folla indietreggiò all’unisono, mentre un collettivo singulto d’orrore levava il respiro alla gente. Accadde quel che avevo temuto: il sangue, l’orribile mutilazione, la spessa crema d’avorio che merlettava le ferite, il familiare odore di polvere da sparo del sesso della Creatura, che si levava da quel corpo. Il ferroviere aprì gli occhi e, per un secondo di perfetta chiarezza, sembrò guardare verso di me, oltre me, e sussurrò:” Monster…cock…” E spirò. Indietreggiai mentre la polizia ricoprì di nuovo quella figura. La folla fece silenzio e dietro a me sentii il pesante strascicarsi di un treno che lasciava la stazione. Oltre me. Lo sguardo del ferroviere… Il treno di mezzanotte stava lasciando la stazione di St. Pancras, lanciando un fischio e sollevando vapore. Nel finestrino posteriore, una faccia, orribilmente contorta, ghignò versò me. La faccia del mio demonio. Saltai su e corsi attraverso la folla, pestando i piedi in direzione del treno. Ma le mie grida non furono udite dal conduttore, annegate dal fischio scoppiato fuori della caldaia. La faccia della Creatura sfolgorò con quello che di sicuro era dileggio e poi scomparve nell’oscurità della vettura. La rabbia soppiantò la paura e con un potente balzo mi catapultai verso il treno in partenza. Riuscii appena ad attaccarmi al bordo della piattaforma. Il treno acquistò velocità e ci vollero tutte le mie forze per non capitombolare fuori, e rimanere sulle rotaie tutto fracassato. Con quelle che pensai essere le mie ultime energie, mi tirai dentro la piattaforma. Pigliai fiato e guardai le luci della stazione sparire in lontananza. Un grido improvviso mi galvanizzò e caricai attraverso la porta. Mi affrettai ad entrare nell’ultima vettura, e poi prosegui attraverso il treno, seguendo le espressioni terrificate dei passeggeri rimasti a bocca aperta per quello che era passato, pochi istanti prima. Una porta chiusa mi fermò nel vagone del carbone. Battei con forza contro il pannello di acciaio, dando calci alla catena con i miei stivali pesanti, ma non feci neanche un graffio. Strappai un’accetta per il fuoco dalla parete, la sollevai in un ampio arco, pronto a spaccare questa ultima barricata fra me e il demone assassino, quando mi accorsi che qualche liquido insozzava la mia fronte. Sollevai il braccio per toccarlo. Appiccicoso. Caldo. Una macchia rossa sulla punta delle mie dita. E sopra di me, una botola spanta con sangue. Spalancai con forza il portello con l’accetta e mi arrampicai su, ritrovandomi in cima al treno in corsa. Il vento mi stracciava le vesti e mi fustigava gli occhi con i capelli. La Bestia non era in visibile da nessuna parte. D’improvviso sentii un forte colpo alla schiena, che mi fece cadere a braccia aperte sul tetto. La mia arma risuonò fuori del bordo del tetto e poi nel buio. Mi rivoltai sulla schiena e vidi, in silhouette contro il cielo vellutato, la nuda bellezza del Diavolo che io avevo sguinzagliato. Mi turbò vedere la Sua faccia e il corpo macchiato con la vita del ferroviere e il sangue del povero Willard. Anche nell’oscurità la Bestia percepì il mio disgusto. Si agitò sopra di me, e da dentro il suo petto venne un brontolio di aria mentre cercava di formare delle parole, risultando la sua voce come il grattare sul cemento di una porta da mausoleo che si chiuda. “Me. In. Te.” Udii ma non compresi in un primo momento. Fu soltanto quando le orripilanti possibilità di quelle tre parole penetrarono l’obnubilamento di terrore intorno a me che iniziai a tremare di furia. “No!” Mi lanciai contro Monster e capitombolammo assieme fuori del tetto del treno. I nostri corpi precipitarono nell’oscurità, in un amplesso di lotta. Il treno corse via nella notte mentre ci schiantammo contro il terreno solido lungo i binari, rotolando giù per la massicciata verso il buio. Quando atterrai, nell’acqua bassa di uno stagno, sbattei il capo contro una roccia. Confuso, con il sangue che mi colava in un occhio, potei solo guardare mentre la Cosa si sollevò dall’acqua a pochi metri da me. Rallentò solo un po’ mentre annusava l’aria, prima che mi vedesse. Camminò con passo strascicato verso me; il Suo enorme fallo perverso danzava al ritmo di una smodata lussuria. In qualche modo sembrava che fosse cresciuto ancora, come se si fosse nutrito di ogni intercorso delittuoso. Vapore saliva dal manico, la testa grossa come un pugno brillava, il taglietto si apriva come la bocca di un amante ad ogni battito di cuore della Bestia. Si avvicinò. Feci scivolare le dita in tasca, avvolgendole intorno al solido manico dello scalpello che avevo preso dal carrello accanto al letto di Willard. Ma non appena il suo profilo mi sovrastò, quando la luna incise all’acquaforte la Sua forma perfetta, oscenamente tesa in chiaro rilievo, io vacillai. Non sapevo se uccidere la Belva o se scoparla. Dio m’aiuti, feci entrambe le cose! QUALCHE ORA DOPO Ora siedo qui nella casa estiva dei miei genitori, deserta, e guardo le onde del mare. L’aria è molto umida qui. Non importa quanto io sia vestito pesantemente; continuo a tremare, quasi costantemente. Ho notato dei capelli grigi per la prima volta questa mattina. Che cosa voleva dirmi Monster quando mi chiese “Me. In. Te.” ? All’inizio credei che fosse una richiesta per soddisfare i Suoi bisogni, per ficcarmi il cazzo in culo. Ma riflettendo, un’ idea più terrificante mi venne alla mente. Che Esso in qualche modo pensasse di invertire gli equilibri di potere? Assurdo, ovviamente. Io ero il Suo dio. Esso era, semplicemente, la mia Creazione. Naturalmente, disposi per il Suo corpo. Lo tagliai in piccoli pezzi avvolgendolo in carta da macelleria e seppellii le varie parti per tutta la città. Le gambe al Convent Garden, la testa a South Kensington, il culo a Piccadilly. Ma non potevo sopportare l’idea di sbarazzarmi di tutto. Tenni un souvenir. E’ in una scatola di legno sotto il letto. Ne ho facoltà: io lo creai. PIù TARDI DI NOTTE Sveglio per un rumore. Probabilmente un ramo d’albero batteva contro la finestra. Lo controllerò domattina. ESTRATTO DAL DIARIO PERSONALE DEL DR. JAMES ABERCROMBE 29 MAGGIO, 1889 ST.ANNA’S HOSPITAL, MILTON BY SEA, CORNOVAGLIA “…mi fa soffrire ricordare che giunsi qui in questo piccolo villaggio costiero quindici anni fa con la sincera speranza che l’aria salmastra avrebbe avuto un’azione ristoratrice sulle delicate condizioni di salute della mia cara moglie. Quanto mi manca la mia cara Amanda. Non posso fare a meno di pensare che mi sarebbe stata di conforto nel ginepraio in cui mi sono cacciato, e che mi rende piuttosto perplesso. Ho ricevuto istruzioni da parte del mio superiore al St. Anna Hospital, che il rapporto ufficiale, pertinente alla morte di The Hon. Barnard Whycroft-Jones, il figlio maggiore di Lord e Lady Campbelville, debba essere falsificato. Quando obiettai su problemi di deontologia professionale o di morale, ci tennero ad informarmi che questo fu l’espresso desiderio di Lord Campbelville, e che i molti anni trascorsi al St.Anna Hospital avevano un valore troppo grande per essere gettati via per una questione così trascurabile come questa. Così il giovanotto morì per “attacco di cuore”, ed io ho firmato questa menzogna con il mio nome. Anche ora, mi si rivolta lo stomaco, e confesso a questo diario cosa mi è toccato di tenere per me sempre. Avrei potuto vivere al di fuori del bilancio degli anni a me assegnati senza avere mai preso parte a questo indicibile orrore. Che Whycroft-Jones sia stato assassinato, per me non è in questione; ma il modo in cui è morto è materia di incubi. Non posso fare a meno di ricordare quella espressione terrificata del volto. Non fosse stato per l’agghiacciante membro conficcato così in profondità nella gola, sarei portato a ritenere che sia morto di paura. Rabbrividisco al pensiero di cosa il tizio vide o udì nei suoi ultimi istanti. Non comprendo il rifiuto della famiglia Campbelville di ottenere giustizia per il loro figliuolo assassinato. Ma, come continuamente quella testa di cazzo di Harcourt mi ricordava, non è più un affare che mi riguardi. Forse è tempo che io rassegni le mie dimissioni da St. Anna e ritorni a Londra con uno studio privato. Il villaggio mi offre un paesaggio di memorie penose, ed io sono perso senza la mia preziosa moglie…” DAGLI APPUNTI DI WILLARD GREER 4 GIUGNO 1889 Ià metù sotatera Wicroft Gions ancöi Mi gai badà dré. Sero giù. Tüti vestidi de negro, anca i siori i plangea. Quan che lé venjü scür, son nà al camposanto col badil, a tor su el sior Wicroft Gions e mettel en te la ca’ vegia. Voleo toccal ma gai da spetà. Ai troà el groso bigol de fer con tüti i fili tacadi. Ai da fan pressa a mete tüti i fili su per el palo. Stanot ghe en gran temporal.

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Monster Cock, fine

21 Aprile 1889 Così stanco. In questi giorni, da quando ho dato un po’ di libertà limitata alla creatura, Esso ha ignorato qualsiasi mio tentativo di educarlo. Non ha dimostrato alcun interesse per i libri che io ho proposto; al contrario, li annusa, li lecca e poi li sfrega contro l’inguine. Non soddisfatto il bruto ha strappato in brandelli preziose prime edizioni per innaffiarne

Monster Cock, Part 1

Fu con qualche timore che entrai al Bull’s Head Tavern quella sera. Primo, certamente, perché se qualcheduno fra quell’accozzaglia di gentaglia e reietti sociali avesse guardato su dal boccale di birra da quattro soldi smettendo per un attimo di lamentarsi della propria vita disgraziata, avrebbe potuto riconoscere il mio volto ( è uno degli inconvenienti inevitabili quando uno

Monster Cock, Part 2

20 marzo 1889 Per tutta la notte fui torturato da sogni di terrificanti voci spettrali che invocavano sangue, e mi risvegliai la mattina seguente tremando per il freddo e l'umidità. Ritornando dai suoi vili baccanali notturni di bevute e mignottate Willard non si era occupato del fuoco, e il carbone dietro la grata si era spento. Imprecando, scossi quello stupido ragazzo e mentre

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Web-02: vampire_2.0.3.07
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