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Sotto Banco

by Ganimede (a_far72@hotmail.com)


By Ganimede (a_far72@hotmail.com) Avevo voglia di fargliela pagare, ero veramente incazzato, e stufo di essere solo un oggetto del suo appetito sessuale, un giocattolo per i suoi giochi erotici, uno strumento con cui appagare le sue lussuriose fantasie omoerotiche. Volevo che questa situazione finisse, in un modo o nell'altro. Lui lavorava presso la cassa di un grosso parcheggio pubblico. Arrivai dove sapevo di trovarlo e gli feci cenno che dovevo parlargli. Lui mi disse che aveva molto da fare, che quel giorno era rimasto solo a lavorare, i suoi colleghi non c'erano e li' regnava una gran confusione, un continuo andare e venire di clienti che dovevano pagare la tariffa del parcheggio. Gli dissi che sarei entrato a parlare nel suo gabbiotto, separato dall'esterno da un bancone e da un vetro: "Anzi io devo parlare e tu mi stai a sentire.". Mi rispose che non mi poteva assolutamente dar ascolto, e che non poteva assolutamente far entrare nessuno nella cabina della cassa dove lui si trovava. Mi disse che ne potevamo parlare in seguito, quando ci saremmo visti, in clandestinita' come sempre, quella sera stessa, all'ora che lui aveva deciso. Dissi semplicemente di no, che non mi sarei calmato, che non avrei aspettato fino a quella sera, che era questo il momento giusto perche' io avevo deciso cosi'. Se cosi' non fosse stato mi sarei messo a fare il mio discorso li' fuori, davanti a tutta quella gente che andava e veniva. Io non sono un tipo che ama fare le cose platealmente, anzi sono sempre molto discreto, e lui lo sapeva, e proprio per questo, capi' che se gli stavo dicendo una cosa del genere, assolutamente contraria al mio carattere, la situazione era grave e poteva pure peggiorare. Mi fece entrare nel suo gabbiotto, quando non c'era nessuno la' fuori, e cominciai a parlargli. Lui esordi' cosi': "Che ci fai qui, che cazzo vuoi?". Ed io: "Tesoro, hai proprio indovinato quello che ti volevo dire. Continuando come stiamo facendo ora, il cazzo che voglio non potra' essere piu' il tuo." Lo feci rimanere a bocca aperta, e per come era il suo carattere, non succedeva molto spesso, neanche nei momenti piu' indicati. Continuai: "Io con te voglio un rapporto alla pari, io voglio vivere il nostro rapporto alla luce del sole, non come un clandestino. Per me incontrarci nei posti che scegli tu, quando fa' piu' comodo esclusivamente a te, e soddisfare esclusivamente i tuoi giochetti e le tue fantasie, beh, mi sa di veramente squallido. Io la fase della vita in cui fai fatica ad accettarti per quello che sei e quello che provi, mi sono sforzato di superarla, e forse ancora non del tutto e' passata, ma voglio andare avanti per questa via, cosi'...". "Abbassa la voce, non farti sentire dalla gente, ascoltami". "Non ho ancora finito, prima stammi a sentire, e quando avro' concluso potrai parlare tu". Stava per rispondermi qualcosa quando fu preso dallo spavento, avendo visto il suo principale venire, da fuori, verso la nostra parte. Istintivamente mi mise una mano sulla bocca e con l'altra mi prese per un polso e mi disse "adesso basta, sta' arrivando il mio capo, ficcati sotto il bancone, qui non ci potresti stare. Se ti vede, ci rimetto il culo e il posto. Fai come ti dico, cazzo!" e per non darmi modo di disobbedirgli mi strinse con forza facendomi quasi male. Fui costretto, ancora una volta, a fare come mi diceva lui. Lui si sedette sullo sgabello che aveva sotto il bancone, sistemandosi come se fosse impegnato nel suo lavoro. Ero incazzato a morte, come sempre ero nella condizione di soccombere alle condizioni che lui stabiliva, e questa volta mi ero ripromesso che non sarebbe piu' dovuto succedere, ero li' per quello, e invece... Ero infilato sotto il bancone, ficcato in mezzo alle sue gambe, cosi' da essere il piu' possibile nascosto. Proprio per questo lui cercava di tenerle chiuse, come per tenermi prigioniero. Non potevo fare nulla, ero di nuovo stato sopraffatto dagli eventi e da lui. Ma non volevo mollare, avrei aspettato per vedere come sarebbe evoluta la situazione. Per cui mi sistemai come meglio possibile, poggiando le mie braccia sopra le sue gambe. Mi sarei preso comunque una soddisfazione, fosse stata la prima e l'ultima con lui; avvicinai il viso e presi ad annusare il suo pacco. Sentivo un certo calore che proveniva da quello che aveva tra le gambe e in piu' un inebriante odore muschiato di maschio. Attraverso il tessuto leggero dei suoi pantaloni potevo visibilmente distinguere la sagoma del suo cazzo e il sacco delle sue palle. Avevo deciso, sarei stato io questa volta a condurre i giochi: alla fine di tutto quello che gli avrei combinato la' sotto, sicuramente gli sarebbero andate in fiamme le palle. Ma non avevo intenzione di buttarmi subito e a capo fitto, era proprio il caso di dirlo, su quello che avevo davanti. Avevo intenzione di prendermela comoda. Quando con la faccia cominciai a strofinarmi sul suo pacco, lo sentii sussultare, quasi spaventarsi, traballo' dal suo sgabello. Con una mano cerco' di allontanarmi dal suo corpo, ma al tempo stesso non voleva farsi accorgere dalla gente e soprattutto dal suo capo che circolava li' intorno, di quello che stava succedendo li' sotto i suoi occhi... e le sue palle. Lo stavo veramente mettendo in difficolta', era assolutamente imbarazzato, e impacciato. Ripresi a strofinarlo attraverso i pantaloni: lo lisciavo a piene mani, lo carezzavo, lo stuzzicavo, lo massaggiavo, con la bocca baciavo i contorni delle sue palle, e del suo cazzo. Lui non riusciva a divincolarsi dalle mie attenzioni, non aveva molta liberta' di movimento, era impegnato nel suo lavoro, e io per conto mio non avevo nessuna voglia di fermarmi. Era sceso dal suo sgabello, e con le gambe, soprattutto con le ginocchia, cercava di allontanarmi, di farmi smettere, di liberarsi da quelle cure che lui in altri momenti invece esigeva in modo quasi violento. Sciolsi la cinta, aprii la chiusura-lampo dei suoi calzoni e glieli abbassai fino alle caviglie. Sembrava veramente sull'orlo di una crisi di nervi, sudava freddo. Il lavoro di mani e bocca che gli stavo dando, sortiva i giusti effetti. Sentivo sotto le mie mani e i miei baci che il suo cazzo aveva preso ad indurirsi ed allungarsi e le sue palle a infuocarsi sempre piu'. Gli slip bianchi che indossava erano adesso leggermente chiazzati di un alone piu' scuro e umido perche' il liquido prespermatico aveva preso a gocciolare dal suo cazzo. Come se non bastasse, io mi eccito da morire alla vista di un bel paio di slip bianchi, specie se abbondantemente riempiti, e questo era uno di questi casi. Nonostante l'imbarazzo che questa situazione gli dava, devo dire che lui stava cominciando ad apprezzare: il suo cazzo era talmente in tiro che la sua cappella, non completamente scappucciata, fuoriusciva dalle sue mutande, per trovare un minimo di sfogo dalla gabbia in cui era compresso. Facendo capolino, la cappella emanava un eccitante odore muschiato di stallone. Lo liberai completamente anche delle mutande e presi a leccarlo, a baciarlo, mi misi in bocca tutto il suo equipaggiamento: il sacco gonfio delle sue palle, l'asta del suo cazzo, la cappella, e poi proseguii a baciare, annusare e stuzzicare anche sotto le sue palle, fino al buco del suo culo. Lo vedevo che se avesse potuto chissa' cosa mi avrebbe fatto. Era in corso una battaglia psicologica struggente in lui: 1) lasciare tutto quello che aveva da fare e prendere a fottermi la faccia nel modo selvaggio che a lui piaceva tanto, ficcandomi la sua mazza tutta giu' in gola, chiudere entrambe le sue mani dietro la mia nuca e dirigere i movimenti della mia testa in modo da dargli il massimo dell'appagamento e dell'eccitazione. 2) Oppure fare finta di nulla, cercare in tutti i modi di farmi smettere, e continuare a fare il suo dovere, visto che oltretutto era anche sorvegliato dal suo capoccia. Se questo duello psicologico-emotivo per lui era disarmante, a me eccitava all'inverosimile. Quando sembrava che mi lasciasse fare, lo vedevo che nei momenti in cui non c'era nessuno e le sensazioni che gli stavo dando diventavano insopportabili, lui si reggeva saldamente sul bancone, o mi carezzava i capelli o muoveva i fianchi e il bacino per avere piu' godimento. Ma a questi momenti seguivano strattonate, ginocchiate, spinte quasi mai andati a segno, per farmi finire quel martirio. Con entrambe le mani gli stavo aprendo le chiappe, e avvicinando il viso, con la lingua avevo preso a leccare ogni piegolina del suo buco. Con la lingua riuscivo a entrare sempre piu' in profondita' in quella caverna pelosa e vergine. Una volta completato il lavaggio anale, passai alle palle che gli penzolavano pesanti tra le gambe. Le volevo prendere tutte e due in bocca, ma non ci riuscivo, nonostante fosse trascorso appena un giorno dall'ultima volta che gliele avevo svuotate. Dovetti prendermi cura di una palla per volta. Intanto mi strofinavo il suo cazzo sulla faccia, per sentirne l'odore, il calore, il contatto. Con la bocca chiusa su un testicolo alla volta, lo massaggiavo con la lingua, lo soppesavo, lo solleticavo, lo schiacciavo delicatamente sul palato e sulle pareti della bocca, e poi, prima di ritornare all'altro, lo succhiavo e glielo verso il basso. Ho sempre amato fare le cose metodicamente e con tutto il tempo che il lavoro richiedeva. Lo obbligavo, quando cercava di chiudere le gambe, a spalancarle e quindi gli massaggiavo l'interno delle sue cosce, strofinando le mani sui peli della coscia, oppure sulla striscia di peli che dall'ombelico puntano in direzione del cazzo. Beh, era giunto il momento di prendermi cura di questo; l'oggetto del mio desiderio era proprio quella verga di carne e sangue che mi dominava dall'alto e che da un pezzo aveva vinto la forza di gravita'. Con una mano afferrai la mazza palpitante alla sua base, e con l'altra serrai l'asta e la tirai giu' verso di me. La pelle del prepuzio non era del tutto ritirata e solo in parte la cappella era scoperta, ma era gia' bella lubrificata. Volendo afferrare per intero il bastone che gli spuntava dritto dal ventre, non sarebbero bastate entrambe le mie mani. Con le dita della mano con cui impugnavo l'asta, gli liberai completamente la cappella, e la strinsi nel vellutato abbraccio delle mie labbra palpitanti. Introdussi il suo cazzo in bocca piano piano, facendolo scivolare sulla mia lingua, come un tappeto rosso, spugnoso e caldo, sempre piu' giu', fino a sentirlo in gola, nonostante ancora un bel pezzo di carne ne rimaneva fuori. Poi approntavo la ritirata, sempre con calma. E di nuovo dentro, e quindi tutto fuori. Quando arrivavo ad avere solo la cappella tra le labbra, prendevo a ruotare la bocca e con la lingua stuzzicavo il buchino per pisciare, per gustare il sapore del liquido trasparente che ne usciva. Nonostante quella fosse una tipica posizione da passivo, ero io ad essere attivo in quella situazione e in quel momento. Ero io a decidere come procedere e quando, ero io che stabilivo i tempi e le posizioni, ero io che gestivo le azioni. E avevo gli strumenti per farmi rispettare. In quei momenti lo scettro del comando ce l'avevo io in mano, o per meglio dire in bocca. Sebbene non l'avrei mai fatto, potevo benissimo trasformare quella seduta orgasmica di lussurioso piacere nell'incontro piu' sadico e brutale che è negli incubi di ciascun maschio: non ci avrei messo nulla a serrare i denti e a mordere quello che lui aveva di piu' caro al mondo. E immagino che lui se ne fosse reso conto. Non ero ancora sazio di tutto quello, che lo vidi allungarsi e tirare giu' la tendina veneziana che oscurava il vetro divisore del bancone della cassa. Era arrivato quasi al limite dell'esplosione, e aveva deciso di chiudere la cassa. Evidentemente il principale se ne era andato e i clienti potevano servirsi delle casse automatiche. Adesso dal di fuori non si poteva vedere piu' l'interno dove noi eravamo. Chiuse le dita della sua mano tra i miei capelli e con un movimento rapido mi fece allontanare dal suo corpo e mi forzo' ad alzare la testa, fino ad incrociare i suoi occhi. Erano rossi e dilatati, sembravano iniettati di sangue, non capivo se per l'eccitazione che aveva o per la rabbia di quello che aveva dovuto passare in quei minuti, poveretto. Si tiro' su mutande e pantaloni e disse: "adesso si' che possiamo discutere la cosa, nel modo che dico io". Nulla da fare, avevo fallito, non solo anche questa volta era lui che avrebbe concluso i giochi e a suo modo, ma molto probabilmente avrei dovuto subire di peggio. Mi fece alzare e mi condusse nel retro della cabina, uno squallore, dove si trovava una sorta di poltroncina. Si sedette li', io in piedi, davanti a lui. "Avvicinati", mi disse. Io mi avvicinai, oramai avevo perso ogni minima briciola di autodeterminazione che poco prima avevo avuto, e ripensandoci non immaginavo come avessi fatto a trovarla. Ero alla portata di mano e cosi', con uno strattone violento e deciso, con entrambe le mani mi tiro' giu' fino alle caviglie i pantaloni della tuta che indossavo, e insieme pure le mutande. Quindi, sollevandomi un piede per volta, mi fece uscire dai pantaloni e dalle mutande. Dopodiche' si apri' la patta dei pantaloni e scostandosi semplicemente le sue mutande, libero' il toro imbestialito che aveva tra le gambe. Mi disse: " Salta su, spalanca bene le gambe e allargati piu' che puoi il buco". Mi misi carponi sopra la poltroncina, faccia a faccia con lui, con i piedi ai lati dei suoi fianchi, poggiando le mie braccia sulle sue spalle. Lui intanto si era avvicinato una mano alla bocca e deposito' un grumo di saliva sulle dita del suo palmo aperto; quindi avvicino' al buco del mio culo da sotto le mie chiappe e mi spalmo' la sua saliva attorno all'entrata del culo e con prima uno, poi due, poi tre dita, dentro il buco. Finito questo mi mise una mano sulle spalle, mi spinse giu', mentre con l'altra teneva stretto il suo cazzo lungo, duro e palpitante, scostandolo dal ventre al quale sembrava quasi attaccato per quanto era in tiro, bello scappucciato, con la cappella purpurea, lubrificata dal suo liquido pre-orgasmo. Senza troppe difficolta' mi schiaccio' giu' e mi impalo' sul suo cazzo, tutto insieme, tutto dentro, fino ad urtare le mie palle sul suo ventre. E quindi disse: "ora prendi a cavalcarmi, come piace a me, che sono il tuo unico e solo stallone. Voglio sborrarti in bocca, ma la mia sborra ti dovra' arrivera' dal fondo". Sapevo come piaceva a lui fottermi il culo. Mi mise tutte e due le mani sotto le chiappe, per allargarmele di piu' e per aiutare ad alzarmi dalla posizione in cui ero, accovacciato sopra a lui e con la sua verga tutta dentro, per arrivare al punto in cui invece mi rimaneva dentro solo la cappella. In questo modo presi a cavalcarlo, a stantuffare, in modo accelerato e violento da subito. Tutto giu' e tutto su', come un martello pneumatico. Tutto dentro e quasi tutto fuori. Piu' di una volta mi disse di accelerare il ritmo, di muovermi piu' veloce, di roteare il culo in modo da appagarlo meglio, e piu' di una volta per questo la sua nerchia dura mi usci' completamente dal culo, cosi' che con le successive ficcate il suo uccello me lo ritrovavo spazzolato tra le chiappe o strofinato sotto le mie palle. Allora svelto dovevo riprenderlo e rificcarmelo in culo. Seguitai cosi' finche' non mi accorsi che lui si era irrigidiva tutto e che mi stringeva le chiappe piu' forte del solito, e capii che stava esplodendo, che era arrivato al punto del non ritorno, cosicche' rallentai il ritmo, prolungai l'affondo e proprio quando sentii i suoi schizzi di sperma inondarmi il culo, mi sedetti su di lui per prendere il suo succo tutto in profondita' e schizzare a mia volta abbondantemente sulla mia maglietta, arrivando al collo, sotto al mento, senza aver minimamente messo mano al mio di uccello. Eravamo esausti, tutti e due, e fradici come dopo un bagno: lui si affloscio' sulla poltrona e io, ancora riempito del suo cazzo e del suo succo, sopra di lui. Rimanemmo cosi' per qualche minuto, senza parlare ne' muoverci. Quando dopo ci riprendemmo, tutta la sua arroganza che prima aveva mostrato sembrava svanita: mi liscio' i capelli, mi accarezzo' le labbra, mi passo' le dita della mano sul mento, sul collo e sulla maglietta e si riempi' la mano della sborra che avevo schizzato. Quindi si porto' le dita alla bocca e comincio' a ripulirsele leccandole e succhiandole in modo molto sensuale provocante. Finito di leccare, avvicino' la sua bocca alla mia, ci baciammo in modo appassionato, lui tiro' fuori la lingua e me la infilo' tutta in bocca, esplorando ogni angolo della mia bocca, intrecciandola con la mia, e dividendo con me il sapore agrodolce della mia sborra, che aveva raccolto senza ingoiare. Era il primo gesto di gentilezza che aveva fatto da quando lo conoscevo. Disse: "ora parliamo per davvero".

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2 Gay Erotic Stories from Ganimede (a_far72@hotmail.com)

Bulli di Paese, Parte 1

Per una settimana mi ero messo d’accordo con mio cugino che l’avrei raggiunto in Toscana, nella casa che lui e i miei zii avevano di proprieta’ in un paesino sconosciuto e sperduto nella Maremma. Ero gia’ stato in quel posto e devo dire che non era un luogo esaltante, ma come si dice, per lo meno potevo trovare l’aria buona, e potevo fuggire dalla calura ferragostana della mia

Sotto Banco

By Ganimede (a_far72@hotmail.com) Avevo voglia di fargliela pagare, ero veramente incazzato, e stufo di essere solo un oggetto del suo appetito sessuale, un giocattolo per i suoi giochi erotici, uno strumento con cui appagare le sue lussuriose fantasie omoerotiche. Volevo che questa situazione finisse, in un modo o nell'altro. Lui lavorava presso la cassa di un

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Web-01: vampire_2.0.3.07
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