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Nell'armadio - 1a parte

by Tiglash


Era appena arrivato a una festa a casa di Fabione, un suo amico francese che lavorava a Milano da qualche anno, amico a sua volta di un compagno di università francese che aveva studiato in Erasmus in Italia ( il nome in realtà sarebbe stato Fabian, ma molti lo chiamavano cosî per comodità e simpatia ), la prima serata dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, una settimana prima, e si sentiva abbastanza frastornato.

Nel giro di poco tempo era tornato da un lungo soggiorno in Belgio e prima della laurea si era lasciato con una ragazza che aveva conosciuto lî e con cui era stato per qualche anno, in poco tempo aveva finito con l’università; era vero che non ne poteva piû di studiare, ma adesso avvertiva una certa sottile inquietudine, il suo futuro prossimo sembrava piuttosto nebuloso, i cambiamenti si erano succeduti tutti in fretta, forse troppo ma almeno la confusione della cena da Fabione avrebbe potuto sommergere il rumore dei suoi pensieri, o avrebbe potuto tentare di affogarli nell’alcool!!!!!!!

“Ciao Filippo, come stai? Vieni dentro a bere, qua siamo già belli caldi, la cena ê quasi pronta e ci stiamo aperitivizzando nell’attesa. Spero tu sia pronto a festeggiare come si deve, c’ê anche una mia collega, Marie, che poi farà le crepes al cioccolato”

“Ciao ubriacone, ma quanti siete, c’ê un casino che si sente dalla strada. Dammi il tempo di spogliarmi e vi raggiungo in cucina”

“Si ma sbrigati, questi sono assatanati e tra un po’ si saranno scolati tutto” gli rispose con quell’accento cosî marcatamente transalpino.

Con Fabione c’era sempre la sicurezza di poter raggiungere stati di ebbrezza alcolica ragguardevole, al massimo non avrebbe guidato fino a casa e sarebbe rimasto a smaltire la sbornia sul divano di Fab, pensava mentre si toglieva il giaccone.

Si fermô davanti allo specchio nella penombra dell’ingresso a osservare come il freddo umido di Milano gli aveva screpolato le labbra ancora all’inizio di marzo, mentre dalla cucina gente entrava e usciva, arrivavano schiamazzi e la musica a volume piuttosto alto riempiva i pochi momenti di silenzio.

Si guardô per un attimo: i capelli scuri corti, tagliati dopo tanti anni per la laurea e perché si apprestava a diventare una persona seria, l’orecchino sul sopracciglio mantenuto ostinatamente per contrariare il padre e convincersi che in fondo non sarebbe diventato cosî serio, le labbra piene e morbide, il pizzetto leggermente e volutamente asimmetrico, uno sguardo appena velato dalla malinconia del futuro. Niente male per un giovane dottore di 27 anni si disse, mentre entrava in cucina.

Nel giro di un’oretta aveva tolto la pesante maglia di lana e si sentiva accaldato anche con una camicia di tela sottile, c’era tanta gente, il calore delle pentole, in cui Fabione e i suoi compagni di casa cucinavano, e soprattutto il vino surriscaldavano l’ambiente mentre lui discuteva animatamente con un paio di amiche di Fabione che non conosceva, una siciliana rotondetta e bruttina esperta di gastronomia e una collega, ed un ragazzo di Lione in Erasmus a Roma da qualche mese, Pierre, di 21 anni, studente anche lui di ingegneria. In breve parlando di esperienze comuni dell’Erasmus e di confronti tra la vita dello studente fuori sede tra Italia e Francia erano riusciti a escludere le due tipe che erano andate a molestare Fabione in cerca di qualcosa da mangiare.

“Mi sa che le abbiamo fatte scappare” disse Filippo.

“Poco male, bien, erano due rospi, come dicono a Roma”.

“Bê questo ê vero, facciamoci un bel brindisi alla loro” disse svuotando il bicchiere insieme al ragazzo francese. Erano brilli ed euforici, ma avevano anche mangiato da scoppiare e dunque non rischiavano di ubriacarsi.

“Perô lo hai imparato abbastanza presto l’italiano, io in Belgio i primi mesi sembravo un impedito, sono migliorato solo quando mi sono messo con un ragazza francese che studiava lî”.

“Sarà che Roma mi piace troppo, ê cosî incasinata, anche all’università mi diverto un casino, infatto ho pensato di fermarmi anche piû del periodo che avevo deciso, anche Milano, n’est pas mal, mi avevano detto che ê una città triste e grigia, ma non mi pare proprio. Sarà che ci sono tanti francesi…”.

“Ma perché a Roma sono dei terroni, vabbê quella città ê un altro discorso, ê bellissima, ma i romani sono proprio del terroni”.

“Perô sono davvero simpatici, per niente freddi come capita dalle parti. L’unica cosa ê che sono lontano da casa, la mia ragazza vorrebbe che tornassi e in effetti mi manca, sai … vedersi una volta ogni tre mesi ê quasi come farsi i cazzi propri, no?”

“Be sî, ma non me ne parlare, la mia ragazza mi ha mollato per la distanza poco prima della laurea, e non che me ne fregasse molto, perô mi rode il culo che l’abbia fatto lei e in quel modo cosî distaccato”.

“Oh, mi dispiace mon ami, che vuoi farci, le donne sono tutte troie come dite voi in Italia … beviamoci su” gli disse, guardandolo dritto negli occhi con un sorriso beffardo. In poco tempo, complice una bottiglia di Johnny Walker che erano riusciti ad arraffare erano quasi amici d’infanzia. Nel frattempo la folla dopo aver sbafato l’incredibile si era divisa in gruppetti di persone sdraiate per terra e su stuoie e materassini tra posaceneri pieni e bottiglie semivuote, Fabione aveva tirato fuori un paio di chitarre e diverse persone strimpellavano melodie incerte accompagnate da canti ancor piû incerti e avvinazzati, che si sovrapponevano tra cucina ingresso e salotto.

In una pausa dei loro discorsi Pierre guardô Filippo con fare misterioso lo guardô fisso, poi a voce bassa gli disse: “Senti, io avrei proprio voglia di rilassarmi per bene – intanto aveva tirato fuori dalla tasca una bustina minuscola con del fumo – che ne dici se troviamo un posto tranquillo per una canna? Non credo che Fabione si arrabierebbe”.

“Ma certo che si incazzerebbe, se non gliela facciamo provare, ma che ce ne frega ê del tutto andato, tra il vino e la chitarra, non si accorge nemmeno se gli diamo fuoco”. “Si hai ragione – gli rispose Pierre ridacchiando – andiamo in camera da letto, ê buio e non c’ê nessuno”.

Si spostarono nella camera da letto lasciando socchiusa la porta a vetri per far filtrare un po’ di luce, dall’esterno la luce della luna penetrava attraverso le persiane accostate. Le voci e gli sghignazzi adesso arrivavano attutiti dall’alcool che li aveva messi in pace con il mondo e dall’intimità dell’ambiente. Si era creata una bella atmosfera di complicità tra loro due, pensava Filippo mentre rollava la canna e sentiva gli occhi di Pierre puntati su di lui senza che questo gli desse fastidio. Aveva fatto bene a venire stasera, gli era proprio servito a distrarsi.

“Ecco l’opera d’arte ê pronta – disse accendendola e passandola a Pierre – a te l’onore di iniziarla visto che sei in terra straniera”

“Merci, sei troppo gentile” rispose sorridendo con un inchino.

Alcuni momenti - sembravano infiniti, forse era già l’effetto dell’erba – passarono molto lentamente mentre osservavano in silenzio le evoluzioni del fumo alla luce della luna attraverso le imposte. Poi Filippo disse:

“Ma non vorrai mica finirla da solo, passala a me adesso”

“Ma certo, subito”. Pierre aspirô ancora e fissandolo con degli occhi ardenti, invece di passargli lo spinello, come si aspettava, si avvicinô a Filippo, gli prese il viso con un mano e lo baciô spingendogli in gola prima il fumo e poi una lingua bagnata e vibrante. La sua reazione lo stupî. Mentre pensava “che cazzo sta fac… ‘sto frocio francese”, beh, in quel preciso istante si rendeva conto che la sua lingua, volente, si intrecciava all’altra rispondendo al bacio con una passione per lui insolita, e che il suo uccello si gonfiava andando in direzione del tutto contraria al suo cervello.

Le sue mani si alzarono ma invece di colpirlo lo strinsero artigliandogli le spalle e le chiappe, piccole e sode. Poi Pierre si staccô da lui e con gli occhi bassi e a vece tremante mormorô:

“Scusami, non mi era mai successo prima, dev’essere tutto quel vino e il fumo, e poi stasera mi mancava la mia ragazza… ti prego non dirlo a Fabione…”

“Ma che cazzo ti viene in mente… dirlo a Fabione… io non sono gay … non mi era mai passato per la testa di baciare un ragazzo”.

“Neanche a me, lo giuro. Non ci riproverô. Prometto”.

Filippo lo guardô, sembrava che stesse per piangere, certo per via dell’erba, e sembrava anche piû piccolo dei suoi 21 anni, alto poco meno di lui, con i capelli biondo cenere e gli occhi chiari, un accenno di barbetta non rasata, un fisico magrolino ma, come aveva sentito nell’abbraccio, solido e asciutto. Era combattuto, non sapeva che fare, non aveva mai pensato a una situazione del genere. Ma mentre si fermava a pensare questo, la sua mente disinibita anche grazie all’alcool e allo spinello, che adesso Pierre torturava con la mano, non riusciva a trattenerlo dall’abbracciarlo baciandolo con tutta la sua lingua, toccando e sentendo, ricambiato, quel corpo flessuoso sotto gli abiti, stringendolo con forza quasi bestiale.

Si fermarono qualche minuto dopo per prendere fiato, adesso potevano guardarsi negli occhi con desiderio mutuo e consapevole. Filippo si girô verso la porta accostata, poi si guardô intorno come in cerca di qualcosa.

Su una parete, di fronte al letto, c’era un armadio molto ampio, grande quanto tutta la lunghezza della camera, del tipo a guardaroba, con le ante centrali aperte e una chiave appesa. Era semivuoto. In un attimo si guardarono negli occhi e senza dire parole vi entrarono dentro, Filippo prese la chiave e chiuse dall’interno per essere del tutto sicuro. Si trovarono al buio, prima che gli occhi si adattassero alla luce che filtrava solo dalle giunture dell’armadio, in uno spazio angusto, ascoltando solo il ritmo del loro respiro leggermente affannato. Filippo sentî le mani incerte e gentili di Pierre che gli sbottonavano la camicia incespicando nelle asole per il timore, poi lo accarezzarono sul petto liscio e cesellato, con un po’ di peluria solo al centro, soffermandosi sui capezzoli, quindi scesero verso l’ombelico e ancora tremanti gli sciolsero la cintura lasciando cadere i jeans, fermandosi sulla sagoma del cazzo, ora dritto come un bastone, e tenendolo fermo attraverso il cotone degli slip, quasi temessero che potesse sfuggire.

Approfittando dell’estasi tattile di Pierre Filippo gli prese il maglione dalla vita e glielo sfilô rivoltandolo dal collo, poi in un colpo solo gli strappô la camicia, si avventô sul petto glabro ma definito baciandolo con foga, mordendo i capezzoli e strappando gemiti strozzati al suo amico, scese piû giû sul ventre liscio come seta e stretto come un giunco, in un attimo, inginocchiatosi, gli tirô giû i pantaloni ed estrasse dai boxer un pisello duro come marmo, con un piccolo cespuglio, lungo circa sedici centimetri e senza la minima esitazione lo prese in bocca scappellandolo con la mano e leccando la cappella turgida come se in vita sua non avesse fatto altro che succhiare cazzi.

Poi cercô di infilarlo tutto in bocca, riusciva a inghiottirne diversi centimetri, muovendo la lingua come un serpente intorno alla mazza, ma solo dopo alcuni minuti di tentativi arrivô a immergere il naso nella soffice peluria della base. Pierre non poteva smettere di gemere.

“Oui, Fili, si cosî … succhialo tutto, ê bellissimo … Aaaaaaaaa … Ancora”. Gli prese con le mani i folti capelli e iniziô a dare il ritmo al movimento di suzione dell’uccello spingendolo sempre piû rapidamente. Filippo si accorse che stava per raggiungere l’orgasmo e rallentô la sua corsa, poi si fermô.

“Girati, voglio leccarti la porta di servizio”.

Pierre esitô un attimo, poi spinto anche dalle mani di Filippo si voltô offrendogli la schiena e il suo culetto piccolo e tondo. Filippo lo massaggiô a lungo baciando i glutei lisci e morbidi, poi li separô con le mani esponendo lo sfintere stretto e fremente, sul quale appoggiô con lenti cerchi la lingua.

Per fortuna Pierre sembrava apprezzare la tradizione italiana del bidet ( si era sempre chiesto come facessero in Belgio e altrove in genere a farne senza ), il suo buchetto sapeva di muschio e leggermente di sudore, un gusto acre che gli piaceva molto. Allargandolo al massimo con le sue mani iniziô a infilarvi la lingua inzuppandolo di saliva, bagnando il buco del culo e tutta l’area intorno.

“Aaaaaaaa, cosî, fottimi il culo con la lingua, sei bellissimo, siiii, non resisto”. Mentre con le mani gli massaggiava le palle, continuava a slinguarlo per bene, poi iniziô a sostituire la lingua prima con un dito, quindi non appena il buco di Pierre si adattô perdendo l’iniziale resistenza, con due e infine con tre dita, finchê lui iniziô a muoversi con tutto il torso intorno alle dita nel suo culo, quasi risucchiandole dentro di sé. Allora Filippo, che nel frattempo si era gi sfilato gli slip, iniziô ad alzarsi lasciando con la lingua una scia di saliva dal culo fino al collo di Pierre, che aveva la pelle d’oca su tutto il corpo, in modo da venirsi a trovare dietro di lui con la sua verga da diciotto centimetri adagiata tra le chiappe del ragazzo, abbracciandolo sul petto e accarezzandogli lo sfintere con la cappella, con lenti movimenti del bacino.

Pierre si irrigidî capendo ciô che stava per succedere e serrô il culo sul cazzo di Filippo. “No, ti prego, mi farai male … ho paura che mi sfondi”.

“Non ti preoccupare, ho sverginato dal culo la mia ragazza, so come fare, non sentirai che un po’ di dolore all’inizio ma ne varrà la pena”.

“Nnnno, davvero, non ce la faccio” mentre cercava di liberarsi dall’amorevole stretta di Filippo.

Poi nella stanza si accese la luce. I due nell’armadio si immobilizzarono atterriti. Il sudore sui loro corpi si fece di ghiaccio. Dai lati delle ante entrava un po’ di luce. Alcuni ragazzi e ragazze cercavano delle giacche e si preparavano ad andarsene. Nessun accenno alla loro sparizione, il pericolo di essere scoperti non c'era.

Ma Filippo decise di approfittare delle presenze esterne per vincere le resistenze di Pierre e cominciô a penetrarlo lentamente, mentre ancora c’era gente nella camera e il ragazzo non poteva fare rumore né liberarsi dalla sua stretta correndo il rischio di farsi sentire: a forza di spinte la cappella di Filippo forzô l’ingresso posteriore di Pierre, poi i sussulti di quest’ultimo nel tentativo di respingere l’invasore non fecero che facilitare la penetrazione della sbarra nel condotto anale.

Quando le luci si spensero di nuovo fuori dall’armadio ormai il cazzo di Filippo era saldamente conficcato nel culo del povero ragazzo fin quasi alla base, ancora qualche leggero colpetto e sentî sul suo ventre il tocco liscio delle chiappe di Pierre. Allora si fermô a godersi al sensazione di quel buco non piû vergine, deliziosamente stretto e morbido, accarezzando con la mano destra i capezzoli del ragazzo, che singhiozzava sommessamente dal dolore.

Con una tenerezza di cui non avrebbe sospettato di essere capace lo baciô sul collo e sulla spalla e cercô di rassicurarlo.

“Ssssssc, non fare cosî, il peggio ê passato, adesso viene il bello, vedrai” e intanto aspirava la fragranza del sudore dei loro corpi che si mescolava trasformando quasi l’armadio in una sauna. Ricominciô a muovere lentamente il suo membro estraendo e rimettendolo dentro per la lunghezza di qualche centimetro, finchê dai movimenti di risposta e dal rilassamento dei muscoli anali capî come stimolare la prostata della sua vittima e allora partî acquistando in velocità e alternando spinte lunghe e lente ad altre brevi e rapide. Ora Pierre gemeva di piacere, inequivocabilmente, e alzô una gamba appoggiando il ginocchio su una cassettiera che c’era da un lato dell’armadio e permettendogli di scoparlo il piû a fondo possibile.

“Allora ti piace? Eh, troietta, ti piace sentirtelo tutto nel culo, il mio cazzone, eh?”. “Si, Filippo, ê stupendo, non femarti, ooooooooouuuuui, scopami fino in fondo, sfondami il culo, ssssssiiiiiii, cosî, ancora”.

“Dimmelo, dimmi quanto ti piace, dimmi che non vuoi che smetta, che devo continuare a scoparti”.

“Ooooouuui Filippo, mi piaaaaaaaceeeee – con il respiro affannato – non smettere, ti prego”.

Appoggiava le mani alla parete dell’armadio inarcando la schiena in modo da andare incontro al bastone di Filippo quasi impalandovicisi su, mentre lui accarezzava i suoi addominali tesi nello sforzo e infilava alcune dita nella sua bocca lasciandogliele succhiare.

Dopo quasi mezz’ora che andava avanti a incularlo con cura Filippo sentî avvicinarsi l’orgasmo, aumentô il ritmo delle spinte e cominciô a respirare forte in un orecchio di Pierre. Sussurravano l’un l’altro:

“Non resisto, sto per sborrare, ti vengo in culo”.

“Si, dai Filippo, riempimi, siiiiiii, cosî ... sborrami nel culo, siiiii”.

E dopo cinque o sei spinte possenti Filippo si irrigidî intorno al corpo di Pierre e il suo cazzo eruttô con violenza diversi getti di sperma bollente nelle budella del ragazzo, che ora aveva rivolto indietro le mani afferrando le chiappe di Filippo e spingendole verso di sé il piû possibile.

Rimasero immobili per un paio di minuti, cercando di recuperare il respiro, poi Filippo estrasse l’uccello semi duro dal culo di Pierre con un suono come di una bottiglia stappata, continuando ad accarezzarlo e a massaggiargli i pettorali, dandogli dei piccoli baci sulle labbra. Gli mise la mano sinistra su una coscia, liscia e tornita, raccogliendo con due dita il miscuglio di sborra e sudore che colava copioso dal culo ancora fremente. Portô le due dita intinte nel seme alla bocca di Pierre che le ripulî golosamente, come se da quel gesto dipendesse la sua vita.

“Ora tocca a me farti godere” gli disse Filippo.

Lo fece girare e sedere sulla piccola cassettiera appoggiandovi i gomiti e tenendo il collo sulla parete, gli divaricô le gambe e prendendogli la mazza prese a masturbarlo lentamente. Lo fissava negli occhi, al buio si scorgevano solo il luccichio di desiderio delle pupille.

“Vuoi che te lo succhi fino a farti scoppiare le palle?”

“Oui” rispose con lo sguardo annebbiato, ancora perso nel piacere dell’orgasmo prostatico.

Prese a succhiarlo con lentezza, percorrendo tutta la forma con la lingua e anche le palle e la zona fino al buco del culo ancora dilatato, con ritmo sempre piû vigoroso ma senza perdere il contatto visivo con i suoi occhi, tenendo le mani sul suo addome e accompagnando il movimento dei suo fianchi esili e flessuosi come giunchi.

Lui muoveva debolmente il bacino incontro alla sua bocca strusciando la cappella sulla sua gola, intanto aveva appoggiato le gambe sulla schiena di lui stringendolo sempre di piû a sé man mano che sentiva avvicinarsi il punto di non ritorno. Ansimava riuscendo a fatica a trattenersi dall’urlare il nome del padrone di quella lingua che lo stava straziando in modo cosî piacevole.

“Je vien, Filippo, non ce la faccio piû, non resisto, sborrooooooo …”.

Poi il piacere ruppe gli argini mentre Filippo era intento a passare la lingua sotto la sua cappella, Pierre rovesciô indietro la testa e lanciô il primo schizzo di sborra sulla faccia del suo torturatore, mentre gli altri atterrarono sul suo viso, poi man mano spegnendosi sul petto e sul suo ombelico. Ora gemeva piano disteso sulla cassettiera, coperto di sudore e di sperma, immerso nell’appagamento piû totale dei sensi. Il suo amico, insaziabile, prese a ripulirgli dal seme il cazzo, quasi dolorosamente sensibile per la forza dell’eiaculazione, poi immerse la lingua nel suo ombelico aspirando tutta la sborra come una pompa idrovora, e cosî via risalendo sul petto fino al viso, con la massima attenzione, senza lasciare la minima traccia di sperma su di lui, fino a terminare con un bacio appassionato dal sapore agrodolce e un reciproco abbraccio.

Si trovavano adesso Pierre sdraiato supino e Filippo su di lui, si accarezzavano i fianchi e la schiena, con dolcezza, riposandosi dalla faticosa cavalcata. Ma a quel contatto, il cazzo di Filippo che si era venuto a poggiare proprio all’altezza del buco del culo di Pierre ritornô duro come una sbarra di ferro.

Pierre se ne accorse e cominciô a stuzzicarlo stringendo e allargando lo sfintere, quasi una carezza e un invito per il glande setoso di Filippo. Lui lo guardô con un ghigno sinistro e gli chiese:

“Ma non ti ê bastata la prima? Ne vuoi ancora di salame milanese? perchê se ti va sono pronto a farti ancora una bella iniezione di carne calda…”

“Siii – quasi sospirando, in sottofondo si sentivano dall’altra parte del muro delle canzoni incerte e schiamazzi da ubriachi in soggiorno – ho voglia di sentirmelo tutto dentro fino allo stomaco, encule moi Filippo, ancora…”.

Quasi una preghiera piû che una domanda.

Stavolta il cazzo era già puntato in posizione di partenza, bastô una sola botta secca e la spada di Filippo fu inghiottita fino all’elsa nelle oscure profondità dell’intestino di Pierre, facilmente stavolta, lubrificata anche dalla sborra rimasta dalla precedente scopata. Si fermarono un attimo per prendere fiato, Pierre lo stringeva palpandogli i fianchi e sentendo i contorni del culo fino allo spacco appena velato di sudore, mentre il suo cazzo, tornato in vita quando la cavità anale era stata nuovamente riempita, pulsava eretto tra i loro addomi, masturbato dolcemente dal movimento ondulatorio.

Sentiva il suo sfintere allargarsi, stavolta piû rapidamente, per accogliere l’intruso che frugava allo stesso tempo rude e gentile nel profondo del suo corpo, adattarsi a quella presenza e anzi cercarla andando incontro ai sussulti del suo desiderabile carnefice, invitarla con gesti inconsapevoli dei muscoli del suo buco del culo.

“Encule moi, piû forte, ssssssiiiii, cosîîîî”

“Hai un buco fantastico, voglio sfondarti, voglio ficcartelo fino al cuore, sssssiiii, prendilo tutto nel culo”

Eccitato da queste parole Pierre circondô i suoi fianchi allacciandovi intorno le gambe, fece scorrere le mani sul dorso di lui e le fermô tenendolo saldamente dai glutei, spingendoseli dentro, quasi volesse ingoiarlo tutto, poi prese a sfiorare la tenera rosetta di Filippo, saggiandola.

“Infilami un dito dentro mentre ti inculo” mormorô lui.

“Speravo che me lo chiedessi” e in un attimo immerse prima un dito e poi due nel culo di Filippo cominciando a fotterlo a ritmo delle inculate che riceveva.

“SSSSSSSSSSSSSiiiiiii, ê bellissimo, continua a scoparmi con le dita, non smettere, ti sto aprendo come una mela, aaaaaaaahhhhhhhh”

“Bouge ton cul, muoviti, siiiii, cosîîîîî”.

Continuava a sentire il suo culo percorso dalla sagoma del cazzo di Filippo, le pareti anali si avvolgevano calde e morbide attorno all’asta con naturalezza, un leggero dolore era sempre piû ricacciato indietro dai brividi del piacere di sentirsi pieno.

Il contatto tra i due corpi era quasi completo, Pierre sentiva i loro capezzoli turgidi sfiorarsi, il volto gemebondo di Filippo immerso nell’incavo tra la nuca e la spalla, intento e mordere con forza il suo collo, avvertiva il ritmico suono delle palle di Filippo che ad ogni spinta finivano a sbattere contro il suo culo solleticandolo, il suo uccello era stimolato dalla morsa dei loro addominali in tensione.

Fiumi di liquido prespermatico colavano dal suo uccello facendo scivolare il torso di Filippo sul suo, ogni colpo del cazzo nelle sue budella lo spingeva piû a fondo in un oblio carico di sensazioni del tutto nuove, un delirio di percezioni tattili e olfattive, i muscoli del suo buco sembravano aver preso vita propria e si stringevano quasi volessero succhiare dal corpo di Filippo la sua essenza piû intima.

Godeva sprofondando in un piacere di cui era oggetto volontario, si sentiva quasi cullato dal moto ondoso delle anche del suo impalatore, perso a galleggiare in un vuoto amniotico di pensieri.

In lontananza ascoltava crescere come una marea, in un silenzioso boato, il ritmo affannato dei gemiti del suo amante, salire in alto sulla cresta spumeggiante del piacere, fino alla discesa verticale nella voragine buia del proprio ano.

Il pizzetto gli raschiava piacevolmente lo sterno e il collo, i sussulti si fecero scomposti e rapidissimi, sentiva i glutei come schiaffeggiati dal bacino di Filippo, poi d’improvviso si irrigidî.

“Vengo … vengo… vengo… aaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaaahhhhhhhhhh”.

Fiotti di sborra si riversarono nel suo ano spegnendo l’incendio che bruciava sommessamente e gradevolmente le sue viscere, la stretta delle braccia intorno al suo corpo gli toglieva il fiato, gli pareva di vibrare all’unisono con l’orgasmo del compagno come i pezzi di uno strumento musicale.

Per la seconda volta, qualche attimo dopo, ancora ansimante Filippo cominciô la sua discesa verso la minchia di Pierre, che attendeva impaziente di raggiungere l’apice del piacere, tracciando un percorso di saliva con la lingua calda, ruvida come una raspa sulla pelle madida di sudore e di presperma, palpitante di desiderio del suo compagno.

Per la seconda il suo uccello si liberô dalla strettoia della caverna anale, che lo lasciô andare a malincuore, con un suono dolce, facendo posto al fresco dell’aria esterna sulle pareti dello sfintere, ancora avide della sensazione di pienezza.

Per la seconda volta ingoiô quel membro turgido, la sua cappella spugnosa, ricevendola negli anfratti della sua bocca e della gola, muovendosi al ritmo dei fianchi che scopavano la sua bocca come la piû slabbrata delle fiche, aprendo le labbra fino a sentirle tirare dal dolore( la verga che stava succhiando era, sî, appena piû corta della sua, ma compensava in larghezz ), con le mani di lui sui lati della testa come a dirigere la sua lingua intorno alla propria asta.

Per la seconda volta Pierre, con l’uccello immerso nella gola fino all’impugnatura e graffiato dall’ispida barbetta del mento, avvertî un fremito nel profondo del suo corpo, un brivido che volô attraverso la spina dorsale fino all’anello del culo strizzandolo come una spugna, ed esplose in un vortice di piacere orgasmico, mormorando appena con un soffio: “J’arrive Filippo ……aaaaaaah … sbooooorroooooo”.

Per la seconda volta versô la sua colata di succo d’uomo, tanta quanta non si aspettava, in cinque, sei spruzzi, piano piano piû deboli e copiosi, in quella bocca che li ingoiava golosa, sentendoli scendere fino allo stomaco con un muto ululato di godimento.

Giacquero spenti e ansimanti l’uno sull’altro, sudati, respirando l’aroma del sesso appena consumato nel chiuso dell’armadio, ormai saturo del calore dei loro corpi. Dopo qualche minuto Filippo frugando in un cassetto ne tirô fuori una specie di asciugamani e lo diede a Pierre.

“Tieni. Sarà il caso di pulirci e di rivestirci. È piû di un’ora che stiamo qua dentro”

“Si, lo penso anch’io. Di là potrebbero pensar male” rispose ridacchiando.

“Chissà che ne dirà Fabione quando troverà ‘sto straccio zuppo di sborra nel cassetto”.

“Non potrebbe certo immaginare quello che ê successo stasera nel suo armadio”.

“No, certo. Non l’avrei immaginato neppure io fino a tre ore fa…”.

Si rivestirono in fretta, senza riuscire perô a trattenersi da qualche fugace palpata e da baci languidi e profondi. Tornati nell’altra stanza si sistemarono confondendosi con non chalance tra i vari gruppetti di ragazzi tutti piû o meno in preda ai postumi dell’alcool. In breve anche loro caddero in un sonno da stanchezza post coitum. Al mattino dopo quando si svegliarono insieme a quattro o cinque amici tutti troppo fuori per tornarsene a casa erano doloranti per aver dormito piû o meno tutti per terra, per quanto sul parquet. Ma non solo per quello; o perlomeno non nel caso di due di loro…

Fabione, il primo ad alzarsi, ma erano comunque le tre del pomeriggio, armeggiava in cucina, da dove arrivô in breve il profumo di caffê da colazione. In qualche minuto erano tutti raccolti in cucina e sorseggiavano svogliatamente un caffê velenoso, degno dei peggiori intrugli di Lucrezia Borgia.

“Bella festa, no, ragazzi … cazzo sono distrutto!!! Il mio fegato ê a pezzi. Quando la rifacciamo?”

“Quando vuoi Fabione! – rispose per tutti Filippo dirigendo lo sguardo verso Pierre, seduto su un mobile anche lui assonnato e annebbiato – tu sai che io sono sempre pronto…”.

“Eppoi mi dicevano che Milano era pallosa rispetto a Roma. Beh, si sbagliavano. N’est pas vrai, Fabian?” sorrise Pierre con aria furba “anzi credo proprio che ci tornerô appena possibile”.

Dopo un paio d’ore Filippo decise di tornare a casa. Pierre lo accompagnô per un pezzo fino alla metro con la scusa di comprare le sigarette per sé e Fab. Che gentile! Dopo qualche minuto di silenzio si rivolse a lui:

“Io starô a Milano ancora qualche giorno, da Fab, e … beh, ecco mi chiedevo se … insomma mi piacerebbe rivederti”.

“Speravo anch’io. Non so bene come né perché ma solo a pensare a quell’armadio mi torna duro come legno massello”.

“Cosa?”

“Nulla, scherzavo. Dammi il tuo numero che ci sentiamo. Prima possibile”.

“Okay. Enfin non abbiamo ancora detto tutto, mi pare …”.

Filippo rispose con un sorriso malizioso. Presero nota del numero di cellulare e si salutarono con uno sguardo di reciproca intesa.

continua...? commenti e suggerimenti sarebbero ben accetti!

NELL’ARMADIO

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Nell'armadio - 1a parte

Era appena arrivato a una festa a casa di Fabione, un suo amico francese che lavorava a Milano da qualche anno, amico a sua volta di un compagno di università francese che aveva studiato in Erasmus in Italia ( il nome in realtà sarebbe stato Fabian, ma molti lo chiamavano cosî per comodità e simpatia ), la prima serata dopo la laurea in ingegneria al Politecnico di Milano, una settimana prima, e

Parigi, oh Cara!

se avete commenti o voglia di contattarmi il mio indirizzo email ê tiglash85@libero.it spero piaccia a qualcuno Facevo la terza liceo in una scuola di Milano, e anche se allora avevo già 17 anni quella che sto per raccontare ê stata la mia prima esperienza sessuale completa, una vera e propria iniziazione. Quell’anno la nostra prof di latino e greco era in permesso per maternità, tutta

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