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Di Schiavetti e Padroni: Notte Piccante

by Gattino


Notte Piccante

Le nostre serate in doppia coppia erano perfette. Non c’era motivo perché non lo fossero, visto che eravamo assortiti in maniera azzeccatissima. C’ero io, il timido e birichino D.: snello e femminile ventunenne con la vita sottile e splendide gambe lunghe, piû a mio agio con la minigonna, gli autoreggenti e le scarpe con i tacchi che con i grigi abiti maschili da impiegato di tutti i giorni. Poi, c’era il mio amato Claudio, giornalista e scrittore, di quindici anni piû vecchio di me. Era alto, spalle larghe, con un primo accenno di pancia, occhi castani e capelli neri con qualche filo bianco che cominciava a spuntare. Ironico, premuroso, imprevedibile, capace di capirmi meglio di quanto non mi capissi io stesso. Appassionatissimo. Nessuno poteva incularmi meglio di lui. Ero il suo felice schiavetto già da diversi mesi, e sentivo che non lo avrei mai tradito. Insieme formavamo la prima delle due coppie. Poi c’era Giuliano, l’amico di Claudio. Piccolo imprenditore di successo nel ramo edilizio, quarantacinquenne, era quasi del tutto calvo, un po’ piû basso di Claudio e un po’ meno atletico. Aveva sopracciglia folte, occhi neri e penetranti, un modo di fare rude e a volte sgradevole e un umorismo piû cattivo, piû pestifero di quello di Claudio. Tuttavia, a suo modo, era un uomo ricco di fascino. La sua scuola era stata il mondo degli affari, e lui aveva imparato quello che chiamava “la concretezza, il buon senso e il dire pane al pane e vino al vino”. Il quarto della compagnia, infine, era Luca, che da tempo era l’amante di Giuliano, cosî come io lo ero di Claudio. Diciannove anni, capelli neri pettinati alla paggetto, viso fragile e delicato, mio temibile rivale in quanto a bellezza e femminilità, era sempre silenzioso e tendeva a parlare solo se interpellato. Era molto piû sottomesso con il suo padrone di quanto non lo fossi io con il mio. Con me era sempre stato amichevole… ma in alcune occasioni avevo intercettato certe sue pungenti frecciatine nei miei confronti e certe occhiate ironiche di superiorità che mi avevano reso un po’ diffidente. Tra noi quattro c’era un’ottima intesa. Quando cenavamo tutti assieme, di solito da Giuliano, nella sua villetta nel Torinese, sapevamo fin dal principio che sarebbe stata una serata deliziosa. Non mi riferisco solo al sesso e alle nostre pazze orgette a quattro: non ê che facessimo sesso continuamente. Spesso si parlava a lungo dei piû disparati argomenti, come in un qualsiasi salotto. A volte si guardava la televisione. E, quando erano in serata particolarmente buona, Claudio e Giuliano riuscivano a inanellare una serie di spiritosaggini piû pazze l’una dell’altra e a creare accessi di risa irrefrenabili in me e in Luca. Certe volte (raramente, per fortuna) poteva capitarci di passare una serata tutta intera senza andar oltre qualche carezza, qualche bacio, qualche piccola sega o bocchino praticato da noi femminucce ai nostri rispettivi maschioni, impegnati tra loro in conversazioni serie con un bicchiere di whisky in mano.

Una sera (ancora una volta, come dicevo, a casa di Giuliano), dopo mangiato, mentre io e Luca lavavamo i piatti, i nostri uomini cominciarono a giocare a scacchi in salotto. Non era la prima volta che li vedevo giocare. Per quel che ne potevo capire – io, povera ochetta che non conosce bene le regole del gioco – erano bravi giocatori, e l’impegno e la concentrazione che solitamente mettevano nelle loro partite erano affascinanti. Quella sera perô giocavano svogliatamente, con aria annoiata. Parlavano quasi solo a monosillabi, con brevi mugugni. Il mio padroncino Claudio, distratto, girava spesso la testa verso la televisione accesa. Proprio lui, che di solito era il piû assorto. Ogni tanto sulla scacchiera un pezzo veniva mangiato, ma la cosa avveniva in mezzo a una letargica indifferenza. Perfetto esempio di quell’atmosfera di routine, di abitudine, che secondo me da te tempo ci aveva come impantofolato un po’ tutti. La partita continuô cosî per qualche tempo. Poi, fu Giuliano, quello che evidentemente avvertiva la mia stessa sensazione, e che tra noi quattro era il piû propenso a parlare francamente, a rivolgersi al mio uomo: “Senti,” propose, “qui bisogna ravvivare un po’ la partita. Metterci un po’ di pepe. Un po’ di eccitazione. Mettiamo in palio qualcosa.” Proprio in quel momento io e Luca stavano rientrando dal cucinino, dopo aver finito di lavare i piatti. Cosî potemmo assistere alla conversazione. Il mio uomo parve interessato. “Ottima idea!,” commentô, alzando la testa dalla mano alla quale l’aveva appoggiata. “Potremmo giocare a soldi, per esempio.” “A soldi?” L’entusiasmo di Giuliano parve sbiadire. “E’ meglio di no, lo sai che devo disintossicarmi da questo tipo di gioco. Con tutti gli euro che ho speso al casinô… Mettiamo in palio qualcos’altro. Che ne so, qualcosa di personale che non abbia solo valore economico... Che ne dici per esempio, del trofeo che hai vinto due anni fa in quel concorso letterario?” “Il mio trofeo?” Si riferivano al premio che Claudio aveva vinto con grande soddisfazione prima di conoscermi grazie a un racconto di fantascienza. Trattenni il respiro. Sapevo bene quanto teneva a quell’oggetto, e mi sarebbe dispiaciuto enormemente se fosse stato costretto a privarsene. “Certo, sarebbe parecchio eccitante,” rispose lui. “Per non perdere quello mi batterei come un leone. Ma… se io metto in palio quello, tu cosa potresti offrirmi in contropartita?” “Uhm…” Giuliano si mise a riflettere. In effetti, la cosa non era facile. Per come lo conoscevamo, non c’era niente per cui avesse un attaccamento personale come Claudio per il premio. Tutto quello che gli piaceva erano semplicemente beni costosi, ai quali perô non era affezionato in modo particolare. Non sarebbe stata la stessa cosa. I due rimasero per qualche istante in silenzio, riflettendo. Poi: “Ho trovato,” disse di nuovo Claudio, illuminatosi in volto, interrompendo le riflessioni di Giuliano.. “Cosa? Cosa?” domandô l’altro. Ciô che disse Claudio subito dopo mi sorprese un po’. Sono convinto che il vino che avevamo bevuto a cena e il liquore mandato giû nel seguito della serata abbiano giocato un certo ruolo, rendendolo un po’ meno riflessivo del solito. “Lasciamo stare il discorso degli oggetti. Non il trofeo, né niente del genere. E’ ben altro quello che metteremo in palio. Qualcosa di ben piû prezioso.” Indicô me e Luca. “Giochiamoci le nostre due puttanelle. Guarda che bei gioielli che sono stasera. Chi vincerà la partita avrà diritto a passare una notte intera fottendole tutte e due. L’altro invece dovrà andare a dormire tutto da solo. …Dopo una bella doccia fredda, naturalmente. Che ne dici?” Giuliano guardô noi due porcelline con un mezzo sorriso. Vedeva un bel panorama. Io avevo indosso una sottile camicetta bianca, una minuscola minigonna nera e scarpe femminili coi tacchi, con una quantità di lacci e laccetti che salivano in su e si legavano intorno alla caviglia. La snellezza delle mie gambe nude e lisce, messa in risalto da quelle calzature, era fantastica. Al polso, indossavo dei braccialetti d’oro regalatimi da Claudio. Sul viso, trucco leggero. Una bella giovane fighetta – lo dico senza falsa modestia, ê la verità – che non avrebbe sfigurato come velina a Striscia la notizia. L’efebico Luca dal corpo sottile invece indossava un corsetto nero di seta e pizzo, uno slippino nero e calze a rete incredibilmente sexy, con le giarrettiere. Ai piedi scarpe con vertiginosi tacchi a spillo alti dieci centimetri, che riusciva a usare con una facilità che gli invidiavo moltissimo (aveva molta pratica). Orecchini discreti, di ottimo gusto. Il suo viso perfetto, da elfo, non aveva bisogno di trucco. I suoi occhi erano grandi e luminosi come quelli di un personaggio dei cartoni giapponesi. “Cazzo, ci sto!” disse Giuliano. “Affare fatto! Ma alzo la posta. Non per una notte sola, ma per quindici interi giorni le nostre due stelline sexy saranno del vincitore”. “Andata!” disse impulsivamente Claudio. “Ehi!,” feci io avvicinandomi con finta indignazione, “e noi non possiamo dire niente in proposito?” “Certo che no,” rispose il mio uomo. “Dovete tacere, e come bravi schiavi ubbidienti, mettere a nostra disposizione le vostre belle boccucce e il deretano ed eseguire i nostri ordini!” E, detto questo, Claudio mi attirô sulle sue ginocchia afferrandomi per la vita, e per ammorbidire le sue parole mi accarezzô il viso e mi baciô dolcemente.

Dopo questo, i due padroni continuarono la loro partita a scacchi, con molta piû concentrazione e combattività di prima. Io e Luca, intanto, con quell’improvvisa complicità che sempre piû raramente riusciva a crearsi tra noi, decidemmo di giocare a stuzzicarli. Seduti sul divano l’uno accanto all’altro, provocanti come non mai, ci accarezzavamo come due lesbiche, sfioravamo con le mani l’uno le cosce dell’altro, ci davamo bacetti con la lingua. A un certo punto usammo uno dei bicchierini cilindrici usati per la vodka, quelli dall’aspetto fallico, per mimare un doppio pompino. Mentre io ne succhiavo la sommità, Luca ne leccava l’asta. Ci scambiavamo occhiate di divertita intesa. Eravamo certo una visione arrapante, con le nostre quattro lunghe gambe intrecciate e i nostri movimenti scherzosamente languidi. Giuliano deglutî vistosamente quando ci vide cosî impegnati. La partita durô a lungo. Non so se avete mai assistito a una partita di scacchi… ma sono lunghissime! Questa in particolare durô una vita. Per descriverla, potrei mettermi a raccontarvi del batticuore provato mentre cercavo di indovinare, guardando l’incomprensibile scacchiera, chi stesse vincendo e chi no. Oppure potrei parlare dell’espressione di estrema concentrazione e… sî, anche di angoscia, che traspariva dal viso di Claudio (tesoro mio, si era pentito della sua pazza proposta, e si vedeva lontano un miglio!), o della dura determinazione del sogghignante Giuliano, che evidentemente, abituato a giocare d’azzardo, sapeva prendere tutto come un gioco. Potrei raccontarvi questo, e altro ancora. Ma non vorrei farla troppo lunga. Quindi passo alla conclusione: fu Giuliano a vincere. Spinse in avanti un pezzo (una torre) e poi si rilassô sullo schienale della sua poltrona, fissando gongolante il suo avversario. “Scacco matto!”, disse. Claudio fissô stranito la scacchiera, come se stesse cercando una via d’uscita che non c’era, poi alzô gli occhi verso di me. Come un cane bastonato, sembrava chiedermi scusa con lo sguardo. Non so con che espressione lo fissai io, ricordo solo che ero confuso e un po’ incredulo. Mi sembrava tutto buffo e vagamente assurdo, come se non stesse accadendo a me ma a qualcun altro, e io stessi osservando a distanza.

Mentre Giuliano accompagnava Claudio sulla porta d’ingresso e gli dava appuntamento all’indomani (con l’ovvio, tacito scopo di restare al piû presto solo con noi due femminucce), e mentre Luca si assentava sussurrandomi qualcosa che non capii bene, rimasi solo nel salone. Andai davanti al grande specchio sopra il mobile bar e mi ci guardai. Mi stavo preparando a una notte di scopate in cui, per la prima volta nella mia vita, Claudio non sarebbe stato presente. Che cosa provavo veramente? Sapevo che lui ne avrebbe sofferto. Avrebbe passato tutta la notte insonne a rigirarsi nel letto, chiedendosi cosa io stessi facendo e quanto e come e Giuliano mi stesse penetrando. Mi avrebbe immaginato felice con la faccia gocciolante sborra, o mugolante con l’uccello di Giuliano affondato tra le chiappe. Povero Claudio, mi sentivo quasi in colpa… ma al tempo stesso proprio questi stessi pensieri mi eccitavano malignamente, dandomi un piacere sottile e… sî, un po’ crudele. Tutto sommato, ero proprio una stronzetta perversa. Mentre ancora stavo guardando la mia immagine riflessa, Giuliano giunse alle mie spalle. Mi accarezzô delicatamente le spalle attraverso il tessuto della camicetta, guardandomi negli occhi attraverso il riflesso. “Questa sera finalmente, puttanella, sarai tutta per me. Una volta tanto, senza il tuo maschione tra le palle!”. Nonostante la mia sorpresa nel sentirlo parlare in questi termini di quello che dopotutto era il mio uomo, ero lusingato. La mia espressione divenne quella di un gatto sornione e soddisfatto. “Non chiedo altro...” risposi. Senza dire altro, Giuliano allargô il colletto della mia camicia e, lieve come una piuma, mi baciô sul collo. Sospirai. Lasciai cadere la testa indietro e lateralmente, offrendo quanto piû collo potevo a quell’uomo magnifico… che ne approfittô senza pudore. Le sue labbra e la sua lingua presero a scorrere senza pietà sulla mia pelle, dall’attaccatura del collo con le spalle al lobo dell’orecchio, con bacetti, leccate e piccoli morsi, lasciando copiose tracce di saliva e suscitandomi brividi fantastici lungo la schiena. Le sue mani si spostarono sul davanti e cominciarono a sbottonarmi la camicetta. Lo lasciai fare, accarezzando le sue braccia all’opera, e mettendomi anche ad aiutarlo nel lavoro quando una delle sue mani lasciô perdere la camicetta per afferrare la mia testa. Sempre restando alle mie spalle, Giuliano usô questa mano per spingere la mia faccia verso la sua, per un lungo bacio. Le nostre due lingue si toccarono, si baciarono, si leccarono freneticamente. Tutt’e due ansimavamo eccitati come animali. Inarcai la schiena all’indietro spingendo il mio culetto contro la patta dei suoi pantaloni e cominciai a strusciarmici contro. Attraverso il tessuto, riuscivo a sentire il suo uccello, duro come il marmo. Giuliano finî di sfilarmi la camicetta, io aprii la cerniera del mio gonnellino e lo lasciai cadere. Ero praticamente nudo davanti all’uomo, eccezion fatta per le scarpe con i mille laccetti che vestivano le mie caviglie e per i braccialetti al polso. Mi afferrô rudemente per il polso sottile e mi girô di prepotenza verso di lui. Mi afferrô il viso e mi baciô con foga, premendo la sua bocca contro la mia e ficcandomi la lingua fino in gola. Gliela succhiai con passione. Poi, staccandosi da me, mi guardô negli occhi e disse: “E adesso…” Posô le mani sulle mie spalle e prese a spingere verso il basso. Il messaggio era chiaro. Mi inginocchiai davanti a lui. Solo a questo punto mi accorsi che Luca era rientrato nel salone, e che con una videocamera stava filmando tutto quanto. Mi sorrise, malizioso e insinuante. Giuliano richiamô la mia attenzione mettendomi una mano sulla nuca. “Non interromperti, mia bella pompinara,” disse. “Voglio che questo filmato sia il piû grande capolavoro della mia collezione privata. E lo sarà senz’altro, con una regina delle troie come te a far da prim’attrice.” Luca si avvicinô senza smettere di riprendere tutto con attenzione. A questo punto, come ho visto in seguito, stava riprendendo un primo piano della mia faccia sorpresa con, accanto a una guancia, il cazzo duro che emergeva dai pantaloni di Giuliano. “Dai, stronzetta,” mi sussurrô la piccola vipera, “cosa aspetti a prenderglielo in bocca?”. Giuliano prese questo invito rivolto a me come un segnale: mi afferrô la testa per i capelli e, tenendosi il cazzo con una mano, me lo spinse verso le labbra. All’inizio diedi solo una leccatina alla cappella e gliela baciai mugolando piano… poi chiusi le labbra sopra il ben di Dio che mi era offerto e iniziai a succhiare amorevolmente. Era grosso, lungo, durissimo e stupendo. Ne facevo scivolare dentro piû che potevo, poi lo facevo uscire tutto. Dapprima piano, poi ritmicamente sempre piû forte, mentre iniziavo a scaldarmi. “Oohhhhhhh, sî,” faceva Giuliano. Continuai cosî per qualche minuto mentre quel magnifico gladiatore romano pilotava delicatamente la mia testa con la mano. A un certo punto, infoiato, mi feci entrare in bocca tutto quanto il cazzo, fino in fondo, e ce lo tenni. Sentivo i suoi coglioni che mi toccavano il mento. I suoi peli pubici che mi solleticavano il naso. Il suo odore di maschio. Da quella posizione sottomessa, mentre la mia bocca era posseduta come un oggetto, e le mie ginocchia unite toccavano terra davanti a lui, e le mani accarezzavano quelle cosce muscolose attraverso i pantaloni, guardai negli occhi il mio padrone, e lui mi guardô. A lungo. In quell’istante, ci scambiammo un meraviglioso, intenso messaggio muto. Di amore, sesso, violento desiderio e sottomissione mozzafiato. Tenni la banana dentro ancora per qualche secondo, poi la feci uscire tutta, ansimando. Un filo di bava brillô per un secondo tra le mie labbra e il membro. “Dio, che bocca meravigliosa!” disse Giuliano tenendomi ancora una mano sulla testa. “Sei la troia piû TROIA che ci sia al mondo.”

Si abbassô verso di me e, inaspettatamente, mi prese in braccio, strappandomi uno strilletto di sorpresa. Mi sollevô senza nessuno sforzo. I miei cinquantacinque chili di peso non sembravano essere un problema per lui. Poi, con la stessa cura che un marito userebbe con la propria moglie, mi portô in camera da letto. Un’emozione nuova, per me, questo viaggio in prima classe. Ma dopo un primo (un po’ buffo, a ripensarci) istante di spavento, capii che ero al sicuro, e che potevo rilassarmi. D’un tratto, mi sentivo come una bambina. Protetta, guidata, tra le braccia di un uomo adulto che sa ciô che vuole e che sa cosa fare per ottenerlo. Credo di essere arrossita. Luca, ancora piû silenzioso del solito, ci seguiva con la videocamera. Unico suono proveniente da lui, quello che i suoi altissimi tacchi a spillo producevano ad ogni passo. Nel video, a questo punto, si vede solo la sagoma di Giuliano, ripreso di spalle, che si dirige verso la porta. Di me si vedono soltanto due scorci: da una parte le mie due belle gambe che ondeggiano sensualmente mentre lui cammina, e dall’altra il mio sguardo adorante diretto verso di lui. Una volta nell’altra stanza, Giuliano mi gettô letteralmente sul grande letto a tre piazze, poi finî di spogliarsi e vi salî anche lui, ginocchioni. “Mettiti a quattro zampe,” mi ordinô. Mi girai obbediente, offrendogli il culo morbido e liscio. Il sedere in alto, i gomiti appoggiati al letto, le mani a stringere le lenzuola, e la testa in basso che quasi toccava le coperte. Aspettavo, con impazienza. Il cuore mi batteva come un tamburo. Quasi senza pensarci, d’istinto, feci ondeggiare i fianchi a mo’ di invito. Dopo un istante, un dito dal tocco fresco mi invase il buchetto, facendomi sussultare lievemente. Giuliano mi stava mettendo della vaselina, per lubrificarmi e facilitare le cose. Luca filmô accuratamente l’operazione l’operazione. Poi, girando lentamente intorno al letto e riprendendo come in un documentario ogni millimetro del mio corpo, si piazzô davanti a me. Adesso aveva messo il mio visetto in primo piano. Si poteva vedere chiaramente la mia espressione pazza di eccitazione ma anche spaventata. In secondo piano, il resto del mio corpo a quattro zampe, e piû indietro le cosce, le braccia, il torace di Giuliano. Vidi Luca sorridere e fare un’espressione divertita. Ci fu una comunicazione silenziosa tra lui e Giuliano? Un cenno? Non lo so. Un istante dopo, sentii la cappella del maschio che mi veniva appoggiata tra le chiappe… e poi le sue mani, che mi afferravano per i fianchi. Nel momento in cui venivo dolorosamente penetrato, la mia bocca si allargô in una O perfetta, e le mie mani artigliarono le coperte. Intendiamoci… Non che quella fosse la prima volta che mi facevo scopare da lui: durante le nostre orge a quattro mi era già capitato diverse volte… ma stavolta era diverso. Tutto molto piû… forte. Coinvolgente. Magnifico. Non so come spiegarlo, ma era una sensazione magica. Come se per me ci fosse solo lui al mondo, e tutto il resto fosse sparito. Il pensiero di Claudio – come mi resi conto solo piû tardi – già non sfiorava piû la mia mente. Luca poi, che pure era lî presente, era irrilevante. Stava lî intorno a sgambettare con la videocamera e a ostentare sicurezza, con i suoi tacchi e le sue calze nere e i suoi capelli a caschetto, mentre io sotto i suoi occhi gli portavo via l’uomo. Ridicolo. Per me era come se non ci fosse nemmeno. Il mio stallone continuô ad affondarmi dentro senza pietà, centimetro per centimetro. Una volta penetrato fino all’elsa, al punto che sentivo i suoi coglioni toccarmi le natiche, restô fermo per un momento, sospirando, come per godersi il possesso del mio corpo da puttanella... e poi cominciô a pompare con violenza. Il rumore ritmico delle sue cosce che colpivano il mio sedere divenne il suono dominante delle stanza da letto, accompagnato dai suoi grugniti. E dai miei sommessi lamenti e sospiri. Luca, intanto, forse resosi conto che rischiava di non divertirsi per nulla, aveva posato la videocamera su un mobile (piazzandola in modo che continuasse a riprendere la scena) e ci aveva raggiunto. Accarezzava Giuliano… che perô, tutto impegnato com’era a fottermi, quasi non lo vedeva. Una guancia premuta contro la sua schiena, Luca gli accarezzava goffamente le spalle e tutto il corpo, dando bacetti a caso sulla pelle sudata, e ansimando. Si protese in avanti e cercô di baciare le sue labbra, ma Giuliano non se ne accorse neppure. Il deluso amante, nel tentativo di nascondere lo smacco, si limitô allora a baciargli una guancia. Poi, Piero si sistemô meglio, e prese a cavalcarmi in maniera diversa. Il suo ritmo accelerô in modo incredibile, mozzandomi letteralmente il fiato. Con ogni tremendo affondo e “impatto” mi spingeva un po’ in avanti, e verso il basso. Alla fine, dalla posizione a quattro zampe che avevo all’inizio, mi ritrovai praticamente sdraiato, e schiacciato sotto di lui. Le mie ginocchia erano ancora piegate a novanta gradi, i miei piedi erano finiti puntati verso l’alto. Il suo cazzo, ben piantato dentro fino alla radice. Ero violato, posseduto e completamente impotente, ma lui continuava a muovere i fianchi e a spingere come se questo ancora non gli bastasse. A questo punto, la sua cieca frenesia cominciô a farmi quasi paura. I lamenti che mi sfuggivano ad ogni colpo diventarono strilletti, piagnucolii miagolati. Una lacrima prese a scorrermi sul volto. E un’altra. Ma lui non smise di sfottermi ancora per un tempo interminabile. Poi, rallentô un momento. Avvicinô il viso al mio, schiacciato sulle coperte e girato di lato. Mi leccô una guancia, appiattendoci la lingua sopra. Mi guardô. “Mi piace vederti piangere, troia,” ansimô. “Ti faccio male, vero? Vero?” “Sî,” singhiozzai, “mi fai male. Mi fai tanto male!” E cercai di girare la testa verso di lui (quel poco che riuscivo a fare, immobilizzato com’ero). Le sue meravigliose labbra toccarono le mie una, due, cinque, dieci volte di fila. Per qualche lungo momento, sembrammo incapaci di staccare le nostre bocche. Poi il suo volto si allontanô e lui ricominciô a martellare con animalesca e folle violenza. Ancora piû di prima. Gridai. In quel momento, con alcuni ultimi, definitivi, possenti colpi, Giuliano sborrô, riempiendomi il culo del suo liquido unico al mondo. Io intanto ero venuto già due volte. Al termine dell’orgasmo, si staccô da me e si lasciô cadere sul letto al mio fianco. Immediatamente, come se avesse aspettato ansiosamente quel momento (e di sicuro era proprio cosî), Luca si fece avanti. Gli baciô il petto sudato, gli leccô i peli del torace, scese pian piano con la testa a spompinare accuratamente il maschio spossato. Ma ormai era tutto inutile. Omai lo aveva già perso. Giuliano era mio, cosî come io ero suo. Eravamo destinati a stare insieme, e sia Claudio che Luca sarebbero presto spariti dalla scena. Era inevitabile.

[Ciao. Se il racconto vi ê piaciuto (o se volete fare conoscenza), fatemelo sapere scrivendo a gattinotrav@katamail.com. Vi aspetto].

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