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Il servizio militare, Prima parte

by Alberto


Era sera, una di quelle sere d’inverno piene di freddo e nebbia, quando non riesci nemmeno a vedere chi ti sta camminando incontro dall’altro lato della via. In quella sera, il 10 di dicembre di 15 anni fa, tornavo a casa dopo aver salutato la compagnia: l’indomani sarei partito per il militare. Cento pensieri mi passavano nella testa ma uno era il più preoccupante ed assillante: a ventun anni non avevo ancora la ragazza e soprattutto ero ancora vergine! Il dubbio di essere gay mi era già venuto più volte ma non avevo mai avuto occasioni per sperimentare la mia eventuale diversità. Stavo bene con gli amici sia maschi che femmine ed il fatto di affezionarmi ora agli uni ora alle altre mi aveva sempre creato un sacco di dubbi tanto che non avevo mai provato seriamente con nessuno. Da alcuni anni avevo lasciato gli amici dell’infanzia, quelli che non si dimenticano mai. Loro erano partiti per il militare prima di me, che avevo più volte rimandato per lo studio, e al loro ritorno erano spariti regolarmente dalla circolazione; per loro la naia militare doveva essere stato un inferno anche se a me non sembrava poi la fine del mondo. Ma ora che toccava a me andare a servire la patria un sacco di paure mi prendevano e preoccupavano. Marco, il più entusiasta dell’esperienza con le stellette, mi raccontava di lunghe marce, di campi militari, di docce comuni dove inevitabilmente si confrontavano le lunghezze dei cazzi… e no questo no! Scoprire di essere gay in questa situazione sarebbe stato proprio imbarazzante. Pino non mi aveva mai detto niente: avevo capito che gli era successo qualcosa di terribile che lo aveva profondamente cambiato ma non sapevo cogliere cosa. Anche Enzo e Andrea mi nascondevano qualcosa, ma non erano stati stravolti più di tanto ed erano spensierati e scherzosi come sempre. Ma ora sarebbe toccato a me… Arrivato all’angolo della strada vidi una macchina con i fari accesi: un tipo stava appoggiato alla portiera con la testa dentro all’auto, parlando con chi stava alla guida. Non si vedeva molto e non li riconobbi: “Alberto! Sono Andrea non mi riconosci?” Già Andrea e Pino … non li avevo sentiti per salutarli. “Ciao Andrea, domani parto per il militare lo sai vero” e mi diressi verso l’auto. “Certo che lo so, c’è anche Pino qui. Volevamo farti una sorpresa!” “E già…” li raggiunsi. “Dai sali che facciamo un giro” “Si ma non facciamo tardi domani devo alzarmi all’alba!” Risero e mentre Pino accendeva l’auto Andrea mi fece salire davanti e lui si sistemò nel sedile posteriore. L’auto si diresse fuori dal paese, poi svoltò in una strada di campagna dove d’estate si appartano le copie di fidanzati. Si inoltrò per un poco nella campagna immersa in una nuvola di nebbia fitta e quindi si fermò sotto ad un albero secolare dove da ragazzini giocavamo a costruire la capanna. “Io torno dopo” disse Andrea appena fermi. Aprì lo sportello e scomparve fra la nebbia prima che potessi obiettare qualcosa. “Che succede Pino? Cosa avete in mente? Uno dei vostri scherzi?” “Si, rispose Pino, non ti preoccupare… volevamo farti un regalo prima della tua partenza” Mi guardai attorno incuriosito e poi iniziai a guardarlo mentre si toglieva il giaccone. “Mettiti comodo, tanto ho il riscaldamento acceso!” Lo assecondai e mi tolsi la giacca, seguendo con lo sguardo Pino che sceglieva una cassetta e la infilava nell’autoradio che avevamo istallato assieme. Quanto tempo era passato da allora, ma no era stato appena tre anni prima ma allora sembrava un’eternità. Le parole di Pino mi svegliarono dai ricordi. “Sai che il militare è duro e bisogna affrontarlo con coraggio. Ma una cosa è dura da mandare giù… così abbiamo pensato che è meglio se ci pensiamo noi … i tuoi amici d’infanzia … e poi a te magari piacerà! Non è vero?” “Cosa vuoi dirmi Pino, non capisco? A cosa dovete pensare voi?” “Dai non fare finta di non saperlo sono anni che sbavi per me! Non è vero?” Fui preso dal panico, certo Pino mi era sempre piaciuto; non capivo se come amico o qualcosa di più ma in quella situazione mi venne d’istinto la fuga e iniziai a cercare freneticamente nel buio la maniglia della portiera per scendere dall’auto ed andarmene. Ma la manona di Pino mi afferrò il polso e mi fermò. “A Roma mi hanno rotto il culo; non immagini che male che ho provato. Dolore fisico ma soprattutto male all’anima. Alberto io non me l’aspettavo, mi hanno preso in cinque e mentre quattro mi tenevano l’altro mi ha sfondato il culo. Poi la cosa andò avanti per un po’ …un’umiliazione unica. Lo sai che io non sono frocio. Ma li ho dovuto fare l’amante del nonno: un napoletano che per giunta non si lavava.” Quella rivelazione mi lasciò di ghiaccio e rimasi immobile ad ascoltarlo. “Anche Andrea ha ricevuto la sua dose; sai per il suo problema… quando lo mandarono all’ospedale militare lo incularono per una settimana di fila, poi lo congedarono”. Ero sempre più sbigottito, tanto sorpreso che non ero nemmeno più preoccupato o per lo meno non mi ero ancora reso conto che nei giorni successivi sarebbe toccato a me. “Bene ora che ti ho svelato questi segreti capirai perché abbiamo deciso di essere noi, i tuoi amici, ad essere i primi. E’ vero che siamo noi i primi che…” Annuii mentre impietrito dalla situazione non riuscivo più a parlare. E senza accorgermene Pino mi fu sopra, sdraiato su di me mentre il sedile lentamente si ribaltava. La sua bocca si avvicinò sorridendo alla mia e in pochi istanti la sua lingua dischiuse le mie labbra e si intrufolò nella mia bocca a cercare la mia. Esitai un attimo poi lo succhiai, l’accarezzai con la mia e mi resi conto che davvero stavo realizzando un sogno che da tempo inconsciamente desideravo. Pino rimase appiccicato alla mia bocca mentre si slacciava i pantaloni e si abbassava i boxer; il suo cazzo enorme iniziò a premere sul mio addome mentre i suoi grossi coglioni mi massaggiavano l’inguine; il mio cazzo, che qualche anno prima era rimasto duro tutta la notte solo perché Pino mi dormiva accanto, ora era inspiegabilmente tranquillo. Anzi proprio non si muoveva, ma quando le mani del mio amico iniziarono a sbottonare i miei jeans iniziò ad indurirsi e quando me li abbassò era già eccitato al massimo. Con abili manovre mi tolse le scarpe e mi sfilò i pantaloni; quindi mi alzò la gamba destra appoggiandola sulla sua spalla. Sentii che mi stava lubrificando il culo: con della crema solleticò tutto il bordo del mio buchetto, poi ci infilò uno dei suoi indici ed iniziò a spingerlo pian piano. Lo girò lo estrasse e lo infilò ancora, sempre con la bocca appiccicata alla mia a succhiarci a vicenda, a morderci le labbra a strofinarci le guance come due fidanzatini. Ad un tratto mi accorsi che quello che premeva sul mio culo non era più il dito: stava per incularmi e lo fece con tanta maestria e delicatezza che non sentii alcun dolore, ma solo le sue grosse palle premere contro natiche. Non potevo credere di aver preso senza fiatare il grosso uccello di Pino; lo avevo sempre immaginato quel cazzo grosso e duro, a giudicare dal pacco che faceva sullo slip da bagno in spiaggia. Ma non lo avevo mai visto prima: ora lo stavo addirittura gustando nel pieno della sua erezione. Pino si fermò qualche istante dandomi sensazioni mai provate prima: il mio migliore amico era dentro di me. Mi possedeva completamente; ero il suo amante come la schiera di ragazzine che si era fatto che io, in fondo, avevo sempre invidiato. Poi iniziò ad estrarlo e fu a questo punto che incominciai a sentire un po’ di dolore; mi sentivo come svuotato, come se mi stesse tirando fuori le budella; ma quasi subito affondò nuovamente nella mia pancia ed iniziò una lenta ma potente scopata. Mi fotteva alla grande: sapevo che era un vero stallone e capivo perché le ragazzine cadevano ai suoi piedi. Andò avanti così per qualche minuto poi non resistetti più e sparai un carico di sborra mai visto nemmeno nelle mie magnifiche seghe da sbarbato quindicenne quando innaffiavo il letto di caldo e bianco sperma. Lui mi guardò e sorrise: “Ti piace allora?” Farfugliai qualcosa di incomprensibile. “Ora allora tocca a me” e intensificò la velocità della chiavata. Il piacere mi stava dando alla testa e mi faceva tremare; lui era prossimo all’orgasmo e quando lo sentii prossimo a sborrare, raccolsi le forze e gli gridai: “Dentro, dentro, ti prego” Lui allora diede un colpo secco, lo infilò ancora fino alle palle e sparò nel profondo del mio intestino un bollente carico di sborra. Sembrava una fontana, una colata di lava, un compressore. Poi ricadde esausto sul mio torace; riprese a baciarmi, mi succhiò la lingua, mi morse le labbra. Il suo cazzo intanto si ammosciava pian piano allentando la pressione sulle pareti dell’ intestino e sui muscoli dell’ano; a poco a poco uscì dal culo e sentii che anche la sua sborra mi stava colando fra le gambe. Ne raccolse un poco con la mano e la spalmò sulle mie palle. “Perché abbiamo aspettato fino ad oggi. Avremmo potuto divertirci un poco anche prima, sei d’accordo?” Non risposi e anche lui rimase senza parlare. Si pulì con un fazzolettino e mi ripulì il buchetto ormai rotto e slabbrato. Poi uscì. Mi toccai il buco e provai ad infilarci un dito: normalmente facevo fatica ad infilarcelo, adesso entrava senza problemi ed addirittura non lo sentivo neanche! Mi stava cogliendo lo sconforto di aver fatto qualcosa di irreparabile per la mia salute quando entrò Andrea. Lui era sicuramente meno romantico di Pino; aveva già il cazzo in tiro fuori dalla braghetta dei pantaloni. Mi sorprese vedere un bel cazzo, non grosso come quello dell’amico, ma di discrete dimensioni; il suo pacco era infatti sempre stato piuttosto scarso ma questo era certamente dovuto alla sua malattia: Andrea non ha le palle, o meglio le ha ma sono grosse come fagioli; per questo è stato congedato e per questo è imbranatissimo con le ragazze. “Mi fai da fighetta questa sera” “Così avete deciso non è vero” Fece una smorfia e si fermò sopra di me sollevato sulle braccia. “Se non vuoi non si fa niente Alberto” “Vai procedi, chissà da quanto non chiavi Andrea” “Sempre meno dall’ultima volta che l’hai fatto tu” “Beh allora non ti va molto bene!” Non capì e si preparò ad incularmi. “Cazzo ti è venuto dentro! Ti stà colando la sborra dal culo! Ma forse scivolerò meglio.” Puntò il cazzo scappellato al mio buco ormai abituato e con un colpo di reni mi fu dentro. Iniziò a stantuffare come un coniglio; sembrava un treno. Non arrivava in profondità come Pino ma la sua cappella finiva la sua corsa proprio alla base del mio cazzo, sulla mia prostata e con pochi affondi mi fece venire per la seconda volta con un getto che gli colpì la camicia. Lui raccolse un po’ di sborra e la osservò: “Sai la mia è trasparente, non bianca come la tua; ho pochissimi spermatozoi e non so per quanto tempo!”. E mentre parlava continuava a pomparmi il culo stuzzicandomi la prostata. La misura del suo cazzo era proprio giusta per farmi godere: dopo una decina di colpi sentii che stavo ancora per venire. Gridai quando sparai fuori ancora un getto di sborra calda che risalì il cazzo facendomi un male cane. Questa volta Andrea la raccolse e se la portò davanti alla bocca. Mi guardò negli occhi ed iniziò a leccarla assaporandone ogni goccia: “Non male! L’hai mai provata?” Ma non aspettò la risposta, stava per venire anche lui, accelerò gli affondi poi iniziò a tremare. La sua sborra non mi inondò l’intestino ma il suo cazzo rimase duro come prima pronto a riprendere la chiavata. “Complimenti, gli dissi, subito pronto per il bis” Lui mi guardò ed io annuii… L’indomani alle otto ero già in caserma: la mia avventura in grigioverde iniziava con un formicolio insopportabile al culo. Per i due giorni che seguirono fui sottoposto, con i miei compagni, ad una tortura psicologica intensiva; numerosi caporali “si occupavano del nostro addestramento” gridandoci in faccia insulti e improperi del tipo: “Brutto frocio, dillo che ti piace prenderlo nel culo!” “Se vi piace prenderlo in culo dovete dirlo subito altrimenti al corpo farete la troia della compagnia” Immaginate la mia reazione a queste parole; avevo voglia di gridare, di rispondere ma mi mordevo la lingua e cercavo di reggere lo sguardo di quei ragazzi che ci facevano pagare la loro rabbia. Poi iniziammo l’addestramento vero e proprio e tutto si normalizzò. I caporali si stancarono di venire a gridare prima di andare a letto. Noi reclute iniziammo ad abituarci alla vita di caserma. Io mi tranquillizzai: se ero gay non ero certo una checca che sbava dietro ad ogni cazzo. Nelle docce stavo tranquillamente con gli altri ragazzi nudi, non che mi facessero schifo, anzi ogni tanto qualcuno lo guardavo per bene, ma riuscivo a tenere per me le mie pulsioni e mi controllavo senza dare alcun sospetto. Ogni tanto mi capitava di vedere un soldato che si faceva una sega sotto la doccia; usciva con il cazzo semieretto e rosso: qualcuno se ne accorgeva e lo prendeva in giro, ma tutto finiva li. Di atti di nonnismo e tentativi di violenza, come mi avevano prospettato gli amici, nessuna traccia! Il formicolio al culo era scomparso ed il buchetto si era richiuso per bene. Devo dire che incominciavo a farmi l’idea che Pino ed Andrea mi avessero fatto un bello scherzo; ora probabilmente stavano ridendo alle mie spalle contenti di avermi fatto pagare qualche mio comportamento che non avevano apprezzato. Ma per quanto ci pensassi non trovavo niente che potesse giustificare uno scherzo del genere. E poi era vero che ero sempre stato attratto da Pino: per un periodo eravamo stati inseparabili ed alcune volte ero stato tentato di proporgli qualche “gioco” che mi permettesse di toccarlo: non ne avevo mai avuto il coraggio. Nemmeno quella volta che dormimmo assieme per una settimana. Nel letto matrimoniale ogni tanto ci sfioravamo; io ero costantemente in tiro ma non osavo rivelarmi. Pino non sembrava accorgersene tranne una volta che si girò proprio vicino a me e per un attimo sentii il suo grosso cazzo sfiorarmi la coscia. Non mi spostati e sperai che ci riprovasse… ma non successe. A naia si ha molto tempo per pensare ed io mi ritrovavo spesso a riflettere su cos’ero: etero o gay? Si ero stato attratto da Pino per un bel po’ ma poi ho cambiato compagnia e le ragazze sono entrate nella mia vita con prepotenza. Non ho avuto storie particolari, solo qualche approccio che però mi era piaciuto quanto guardare i miei compagni di naia farsi la doccia… che casino, come sono mai complicato! Poi una sera mi capitò una cosa. Ero di servizio come piantone; durante il giorno avevo pulito e ripulito i gabinetti e le camerate, di notte dovevo rimanere sveglio e controllare che tutti dormissero e stessero ai loro posti. Il mio turno di due ore andava dalle due alle quattro; chi mi aveva preceduto mi svegliò e io iniziai ad aggirarmi per le camerate a controllare che tutto fosse a posto. Avevo già fatto un giro completo quando, in una piccola cameretta, utilizzata dagli allievi istruttori vidi uno dei caporali dormire completamente nudo. Se ne stava sdraiato sulla schiena, leggermente piegato a destra; le gambe erano leggermente divaricate e il cazzo semieretto era appoggiato sulla coscia destra. Il braccio sinistro era appoggiato al fianco e la mano sfiorava lo scroto; il destro era disteso sul letto, di fianco alla coscia. Era un bel ragazzo, alto almeno un metro e ottanta, castano chiaro. Il suo corpo lasciava capire che svolgeva sicuramente uno sport, forse il calcio a giudicare dai muscoli delle gambe; ma anche l’addome e il petto erano ben sagomati. Mi bloccai ad ammirarlo, quasi ipnotizzato, e lentamente, attratto come una calamita, mi avvicinai fino a sentire il suo respiro tranquillo ed il suo buon odore. Senza farmi tante domande mi inginocchiai e mi avvicinai ad annusare quel cazzo quasi scappellato che dormiva sulla coscia: aveva un odore davvero eccitante che fece sobbalzare il mio cazzo. Con un occhio alla faccia del caporale ed uno al suo cazzo lo sfiorai con un dito sentendo una prima reazione. Il cazzo stava crescendo, ma il ragazzo dormiva tranquillo. Ripassai il dito sull’asta ormai dura per una, due, tre volte; poi mi decisi e lo afferrai nel palmo della mano per fargli una sega. Iniziai a menarlo con delicatezza: se il caporale si fosse svegliato sarebbe successo un bel casino! Ma di svegliarsi il mio bel ragazzo non ne aveva nessuna intenzione; ogni tanto gemeva per il piacere che gli stavo provocando ma poi tirava un bel sospiro e continuava a dormire. Lo menavo da ormai dieci minuti quando mi accorsi che stava per venire: come potevo fare? La soluzione la trovai subito: continuai a menarlo lasciandolo proprio un attimo prima che sborrasse, se si fosse svegliato avrei potuto fare un passo indietro ed attaccarlo lasciandogli credere che la sega se la stava facendo lui nel sonno. Ma il caporale non si svegliò, o per lo meno aprì gli occhi solo quando io ero già nascosto dietro un armadietto qualche metro più in là. Si guardò la mano destra sulla quale era la maggior parte del suo seme ed esclamò: “Merda, ho sborrato” Si ripulì contro l’addome e si alzò cercando le ciabatte ed i boxer che aveva dietro al cuscino. Barcollò addormentato verso i bagni e quando fu dentro mi riavvicinai al letto. Vidi uno spuzzo di sborra sul lenzuolo e lo raccolsi con il dito: lo annusai e lo assaggiai. Aveva davvero un buon sapore salato; chissà se la mia ha lo stesso sapore? Se era così buona potevo rimpiangere i litri che avevo sprecato in quasi dieci anni di seghe. Ritornai al mio rifugio e quando il caporale uscì dal bagno con addosso i boxer feci finta di arrivare per il giro di controllo. “Da quanto sei qui” disse “Sono appena arrivato! C’è qualcosa che non va?” “Niente, niente ho fatto solo un sogno… brutto.” “Ah, ora va tutto bene?” “E no che non va bene, dopo certi sogni, se ti svegli in caserma è davvero un dramma. Stavo sognando che la mia ragazza mi faceva una sega ma quando mi sono svegliato… ero qui!” “Allora era un bel sogno!” “Si si bello ma qui certi sogni diventano degli incubi, Beh ora cerco di dormire. Buona guardia spina!” “Buona notte caporale ed occhio ai sogni!” Finii il mio turno annusando l’odore che il caporale aveva lasciato sulla mia mano. Decisi persino di non lavarmela e nelle due ore che mi rimanevano da dormire sognai anch’io: questa volta il caporale si svegliava ma invece di gridare e denunciarmi se ne stava tranquillo a guardarmi mentre gli menavo il cazzo; poi quando era venuto mi accarezzava la nuca e mi abbassava la faccia facendosi ripulire tutta la sborra…poi suonò la sveglia.


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Me la metió

Nos conocíamos desde niños, nuestros padres aamigos y socios del mismo negocio,vivíamos en el mismo rumbo y asistimos a las mismas escuelas. Yo era dos años mayor que él.Crecimos juntos con los mismos amigos. De niños jugabamos todos los días, beisbol, patinar y esas cosas propias de los vecinos. Nunca nos imaginamos lo que iba a suceder. Crecimos y yo era muy popular, las muchachas

RAUL

A RAUL,UN CHICO DE 22 AÑOS YA TENIA TIEMPO DE CONOCERLO,COINCIDIAMOS EN VARIAS FIESTAS BUGAS Y EL SIEMPRE SE ME INSINUABA QUE ME QUERIA COGER,CLARO QUE LOS DEMAS NO SE DABAN CUENTA DE ELLO. FRECUENTEMENTE ME LLAMABA EN LA NOCHE PARA DECIRME QUE ESTABA CALIENTE Y QUE ME QUERIA COGER,PERO CUANDO YO ME DISPONGO A DORMIR NO ME GUSTA SALIR POR NADIE. UNA TARDE ENTRE A UN

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