Stava lavorando in mezzo all’officina. Era in piedi e batteva il ferro sull’incudine con un grosso martello. Era a torso nudo, un uomo vigoroso, con le spalle larghe, il torace coperto da una leggera peluria scura, piû densa intorno ai capezzoli ed al centro del petto, un velo di sudore che faceva luccicare il corpo alla luce delle fiamme. Il braccio destro si sollevava ed abbassava con un movimento regolare. Non riuscii a dire niente, in preda ad una sensazione confusa. Attribuii il mio turbamento al fatto che quell’uomo era mio padre. Luca alzô lo sguardo e mi vide. Gli avevano comunicato il mio arrivo e mi riconobbe, anche se dall’ultima volta che mi aveva visto erano passati tre anni. - Tu sei Marco, vero? Annuii. Ero turbato, ma non riuscivo a capire il motivo per cui la vista di mio padre mi confondeva tanto. L’avevo già visto alcune altre volte. Luca mi presentô due apprendisti ed i garzoni che lavoravano nella bottega. Dal giorno successivo avrei lavorato con loro. Avrei dormito in casa di Luca, in uno stanza tutta per me. Non avevo mai avuto una sistemazione tanto comoda, ma quella notte la solitudine mi pesô moltissimo e ad un certo punto mi misi a piangere. Non so come Luca se ne accorse, ma ad un tratto scorsi una luce e lo vidi entrare in camera con una candela. Mi accarezzô la testa, parlandomi. Non ricordo le sue parole, ma il dolore si calmô ed io mi addormentai.
Negli anni successivi lavorai sempre nella bottega di Luca. Crebbi, acquistai forza ed imparai il mestiere. Ormai Luca mi affidava anche lavori complessi. Non avrei potuto desiderare un padrone migliore di Luca, che era esigente, ma mi insegnava il lavoro e mi trattava sempre con molta dolcezza. Non fece mai cenno al fatto di essere mio padre ed anch’io non ne parlai mai. La sua vicinanza perô mi turbava e man mano che crescevo le sensazioni diventavano piû precise. A sedici anni avevo ormai capito di desiderare Luca: avrei voluto stringere quel corpo, abbracciarlo. E non era certo amore filiale, il mio! Le sensazioni che provavo stando vicino a lui erano spesso tanto violente da stordirmi. Quando compii i diocotto anni, una serie di rapidi cambiamenti si succedettero. Il Comune di Asti era in preda a violenti contrasti interni, tra fazioni opposte. Luca partecipava a queste lotte ed era diventato uno dei capi del partito ghibellino. Una sera un esponente dei ghibellini venne sgozzato nel suo letto da un gruppo di uomini. Si parlô di una rapina, ma tutti sapevano che era stato un omicidio commesso dai sostenitori della fazione rivale. Luca decise che era piû prudente lasciare la casa per un certo periodo: saremmo andati a dormire in un’abitazione di campagna. Questo trasferimento sconvolse le nostre abitudini di vita. Il mattino ci alzavamo e raggiungevamo Asti per lavorare nell’officina, la sera tornavamo a casa. Giravamo armati e ci muovevamo per sentieri poco frequentati, cambiando spesso percorso. Non era l’ora di cammino che dovevamo affrontare a turbarmi, ma la nuova intimità che la sistemazione comportava. La casetta era appena una capanna e dormivamo entrambi sullo stesso pagliericcio. Era iniziata l’estate. Ci coricavamo nudi e la vista del corpo di Luca che si toglieva tranquillamente gli abiti e si metteva a letto mi faceva impazzire. Mi spogliavo dandogli le spalle, in modo che non vedesse che ce l’avevo duro, e mi stendevo sotto il lenzuolo cercando di nascondere la mia erezione, ma l’odore di Luca, steso accanto a me, aggiungeva legna al fuoco che mi divorava. Cercavo di calmarmi, dicendomi che era mio padre, che non potevo desiderare mio padre, ma questi pensieri non contribuivano in nessun modo a ridurre la mia eccitazione. Nessuno sapeva dove dormivamo, a parte alcuni uomini del suo partito, ma una sera ci accompagnô Ettore, un garzone che aveva due anni in piû di me. Si sarebbe fermato per la notte da noi, per aiutarci a portare ad Asti degli strumenti che Luca aveva acquistato ad un vicino mercato. Ci mettemmo a letto. Come al solito tardavo a prendere sonno, eccitato dalla vicinanza del corpo di Luca. Rimanevo perô immobile e dopo un po’ Luca pensô che io mi fossi addormentato. Si alzô e scivolô fuori dalla stanza. Entrô nell’unico altro locale, una piccola cucina dove Ettore dormiva su una stuoia. Io mi alzai, cercando di non fare rumore, e lo seguii. Lo sentii sussurrare: - Ettore. - Sono qui, padrone. Dalla finestra entrava una fioca luce lunare e potevo distinguere le figure. Luca si inginocchiô di fianco al giaciglio di Ettore, che si alzô a sedere. Si dissero qualche cosa, ma a voce talmente bassa che non riuscii a capire. Poi risero entrambi. Infine Luca disse: - Voltati, dai. Ettore si distese a pancia in giû. Luca si mise sopra di lui. Incominciô a muovere ritmicamente il corpo, avanti e indietro. Sapevo che cosa stava facendo ed il mio corpo ardeva. Ci fu un buon momento di silenzio, poi sentii Ettore gemere, piano. Mi accarezzai l’uccello, che era teso allo spasimo. La mia mano scese fin sotto le palle, poi risalî, mentre fissavo l’ombra di Luca che si muoveva su quella di Ettore. Le dita strinsero il sesso e lo accarezzarono piano: ero talmente eccitato che rischiavo di venire subito. I gemiti di Ettore divennero piû forti. Luca gli sussurrô qualche cosa all’orecchio ed Ettore tacque. Sentivo solo piû un respirare affannoso. Io lasciavo che la mia mano mi portasse lentamente al piacere. Le spinte di Luca divennero piû vigorose, Ettore gemette nuovamente e la mia mano si mosse con maggiore decisione, finché venni. Per un momento il fiato mi mancô e tutto divenne buio. Poi riemersi dal mio stordimento e guardai nella stanza. Anche Luca era venuto, perché vedevo il suo corpo afflosciato su quello di Ettore. A fatica mi staccai dalla porta e ritornai a letto. Luca arrivô una mezz’ora dopo.
Per tutto il giorno seguente lavorai in uno stato di grande confusione e Luca mi dovette richiamare tre volte. Era preoccupato e mi chiese se non stessi bene. In città c’erano molte malattie, come ogni estate, e parecchie persone erano morte. Io dissi che ero solo un po’ stanco, che avevo dormito male. La sera tornammo a casa. Quando arrivammo eravamo sudati fradici. La giornata era stata particolarmente calda, noi eravamo rimasti piû a lungo al lavoro e ci eravamo affrettati a tornare a casa prima che fosse completamente buio. Luca decise di scaldare un po’ d’acqua per lavarci. Non era la prima volta che lo facevamo. Di solito io uscivo, prima che Luca si spogliasse, e rientravo solo quando lui mi chiamava. Sapevo benissimo che se fossi rimasto a guardarlo mentre si bagnava, mi sarebbe venuto duro. Luca si era un po’ stupito del mio comportamento, ma probabilmente lo aveva attribuito ad un certo pudore. Luca non aveva nessun ritegno a farsi vedere nudo davanti a me, ma aveva certamente notato che sia quando ci lavavamo, sia quando ci mettevamo a letto, io non mi mostravo. Rispettava la mia riserva, senza dire nulla. Quella sera perô non uscii. Osservai Luca che si spogliava. Ammirai ancora una volta quel corpo possente, i muscoli ben disegnati, il pelame sul torace, la macchia piû fitta e densa sopra il sesso. Guardavo ammaliato, incapace di distogliere gli occhi, l’uccello poderoso e pensavo alla sera prima, a quel gioco di ombre. Non avevo visto, ma lo immaginavo benissimo, imponente e duro, aprirsi la strada nelle carni di Ettore. Pensavo alla notte in cui Luca mi aveva generato, diciotto anni prima, quando quell’uccello possente si era introdotto in un altro corpo. Poi smisi di pensare, in preda ad una vertigine. Stavo leggermente chinato in avanti per nascondere la mia erezione, ma di certo Luca si accorse del mio turbamento. Mi chiese ancora una volta se non stavo bene, poi, al mio diniego, entrô nella tinozza ed incominciô a strofinarsi energicamente. Osservano ogni gesto, le gocce d’acqua che dal viso gli colavano sulla barba, i rivoli sul torace, la schiena ben tornita. Mi sembrava di impazzire. Luca si alzô. L’acqua scorreva lungo il suo corpo. L’uccello era piû grande di prima, leggermente sollevato: il bagno o forse il pensiero di Ettore doveva averlo solleticato. Luca sorrise, mentre prendeva il telo per asciugarsi, e disse: - Tocca a te. Scappai via come se fossi stato inseguito da tutto l’esercito di Francia. Corsi al fiume e mi gettai per terra. Nella testa rivedevo l’immagine di Luca che usciva dall’acqua. Mi spogliai e, disteso in riva al fiume, lasciai che la mia mano mettesse fine a quel tormento atroce. Mentre venivo l’immagine di Luca si moltiplicava nella mia testa.
Tornai a casa parecchio tempo dopo. Non sapevo che cosa avrei raccontato per giustificare il mio comportamento. Luca doveva già essersi messo a dormire. Speravo di poter entrare e mettermi a letto senza dover spiegare. Quando ero quasi arrivato, vidi un chiarore. Non capii subito, poi compresi: un incendio. Corsi verso la casa, ma mi fermai sentendo delle voci. C’erano parecchi uomini, alle luci delle fiamme potevo vederne alcuni. Erano disposti intorno alla casa. In un gruppo di uomini potei distinguere Ettore. Mi avvicinai con cautela, cercando di non farmi scorgere. - O non si ê svegliato ed il fumo lo ha stordito o ha preferito crepare bruciato vivo piuttosto che affrontarci. Capii che stavano parlando di Luca e mi mancô il fiato. Un altro uomo si rivolse ad Ettore. - Hai mantenuto la tua parola. Questo ê il tuo compenso. E gli diede una borsa, che senza dubbio conteneva denaro. Ettore aveva tradito Luca, portando i suoi assassini fino alla casa. Avrei voluto piangere. Strinsi i pugni, giurai a me stesso che avrei ucciso quel traditore, vendicando Luca. Le fiamme si stavano spegnendo. Gli uomini si avvicinarono alla casa. Ettore rimase solo nella radura. Avevo ancora al fianco il coltello che portavo sempre con me come difesa. Lo presi in mano. Agii d’impulso, senza riflettere. Mi alzai, uscii nella radura alle spalle di Ettore, gli chiusi la bocca con la mano e gli tagliai la gola con il coltello. Lasciai che il corpo cadesse al suolo e scappai via. Corsi disperatamente, senza badare a dove andavo. Non correvo per salvarmi, non mi importava nulla di sopravvivere. Correvo per lasciarmi alle spalle la sofferenza atroce che cresceva ad ogni minuto, al pensiero che Luca era morto, che non l’avrei mai piû rivisto. Corsi per non so quanto tempo, fino a che mi mancô il fiato. Inciampavo, cadevo, mi rialzavo e riprendevo a correre. Infine mi abbattei, stremato, piangente, ed in qualche modo dalle lacrime passai al sonno.
Mi svegliai che il sole era alto in cielo. Mi tornô in mente tutto e mi alzai di scatto. Non sapevo dov’ero, non volevo saperlo, volevo solo andarmene. Camminai tutto il giorno, evitando ogni villaggio, ogni persona che vedevo in lontananza. Bevvi a qualche ruscello e non mangiai nulla. La notte mi gettai a terra e dormii. Il giorno successivo avevo la febbre, ma continuai a camminare, fino a che crollai al suolo, senza forze. Mi addormentai, ma qualcuno mi destô, scuotendomi il braccio e chiamandomi. Aprii gli occhi. Era un uomo alto e massiccio, un vero gigante, con un’ascia in spalle, chinato su di me. Il viso era coperto da un fitto barbone grigio e nero e lunghi capelli. - Che fai qui, ragazzo? Non risposi, non sapevo che cosa dire. Mi sedetti e lo fissai. Avevo sete e fame e mi sentivo la febbre. - Come mai sei qui? Non mi sentivo di spiegare. Ma l’uomo era ormai irritato. - Ti hanno mangiato la lingua? Rispondimi, stronzo! - Sono scappato. Non era una risposta, ma lui la interpretô a modo suo. - Sei un servo ed eri stufo di farti battere, eh? Bah, se vuoi lavorare con me come taglialegna, qui nessuno viene a romperti i coglioni. Ti posso ospitare nella mia capanna, ma devi pagare. Taglialegna, contadino, fabbro. Che importava? Che senso aveva ancora la mia vita? Accettai: - Se mi prendi con te, per me va bene. Ma non ho denaro per pagare. - Non ti preoccupare. Mi portô alla sua capanna, un’unica stanzetta con un camino di mattoni e le pareti di legno. Mi diede da mangiare e da bere ed uscî per andare a lavorare, lasciandomi riposare. Solo allora mi resi conto che non sapevo neanche il suo nome. Quando la sera tornô a casa, glielo chiesi e mi disse di chiamarsi Bernardo. Mangiammo insieme, poi ci mettemmo a letto. Si tolse l’abito da lavoro ed io guardi un po’ sconcertato il suo corpo massiccio, interamente coperto da un pelame rigoglioso. Non aveva nulla della corporatura forte ed armoniosa di Luca: era un uomo avanti negli anni, con un corpo ormai sfatto, ma ancora estremamente solido. Oltre al vello densissimo, mi colpî l’uccello, che mi sembrô molto grande. Si stese sul giaciglio, lasciandomi un po’ di posto, e si addormentô subito. Anch’io mi addormentai, anche se avevo dormito per buona parte del giorno. Mi svegliô il mattino, quando stava appena albeggiando, scuotendomi per un braccio. - Sveglia, ê ora di pagare per il letto. Non capii subito che cosa intendeva dire, ma lui tolse la coperta e vidi la sua impressionante erezione. - Mettiti a pancia in giû. Scossi la testa, incredulo. Mi arrivô un manrovescio che mi stordî. - Muoviti, stronzo, hai dormito ed adesso paghi. Poi se non ti va, te ne puoi andare a farti fottere da un’altra parte, ma adesso paghi. Mi voltô sulla pancia, si sputô sulle dita e ne introdusse due, forzando il buco del culo. L’ingresso violento mi fece gemere. - Cazzo, ragazzo, non mi dire che non te l’hanno mai messo in culo. Con un bel culo come il tuo! Rise, una risata che mi rimbombô nell’orecchio. Tolse le dita ed avvertii subito un’altra pressione, piû forte. L’ingresso fu doloroso, ma quando incominciô a spingere la sofferenza divenne lancinante. Avevo l’impressione di avere un coltello che mi scavava nel culo. Spingeva con forza ed in brevissimo tempo venne, riempiendomi le viscere del suo seme. Poi estrasse il suo uccello e si alzô. Rimasi disteso sul giaciglio, stordito dal dolore che provavo. - Ed adesso, se vuoi puoi fare colazione e metterti a lavorare, altrimenti, quella ê la porta e puoi andare a farti inculare da qualcun altro. Con fatica mi misi a sedere sul giaciglio. Guardai Bernardo. Mi alzai ed andai a sedermi sullo sgabello. Il culo mi faceva un male dannato. Accettai il pane che Bernardo mi offriva. Non mi importava di nulla e di niente. Vivere lî o in un altro posto per me era lo stesso. Potevo rimanere dov’ero.
Lavorai con Bernardo, il taglialegna, per un anno. Lavoravo sodo: Bernardo non mi permetteva di fermarmi un minuto e d’altronde io ero abituato a lavorare ed ero ben contento di stordirmi di fatica per non pensare a Luca. Il pensiero perô tornava spesso a lui, lo rivedevo anche in sogno, ed ogni volta la sofferenza era intollerabile. Ogni mattina Bernardo mi prendeva, mi inculava come una bestia, senza mai preoccuparsi di me. Era sempre una faccenda rapidissima: entrava con forza in me, facendomi gemere per il dolore, spingeva per un breve tempo, poi veniva. Allora si ritirava e si alzava. A volte mi prendeva anche la sera e due volte lo fece di giorno, in una pausa del lavoro. Era solito soddisfare i suoi bisogni come un animale, senza porsi problemi. Io mi abituai a quelle violenze, che subivo senza oppormi. Avrei potuto andarmene in qualsiasi momento, ma non mi importava piû nulla della vita e quel posto valeva un altro. Durante quegli accoppiamenti io non venni mai, anche se con il passare del tempo l’ingresso divenne meno doloroso e la sensazione di essere penetrato finî per essere piacevole. Ma era tutto talmente rapido che di solito non mi veniva neppure duro. Talvolta, la sera, quando Bernardo cadeva addormentato in un sonno di piombo, io rimanevo steso accanto a lui e sentivo il calore del suo corpo, l’odore forte che ne emanava e, immerso nell’oscurità, immaginavo il grande uccello di cui il mio culo ricordava bene la grandezza e la consistenza. Il desiderio cresceva in me, l’immagine di Luca si sovrapponeva a quella di Bernardo e la mia mano scendeva verso l’uccello per dare sollievo al mio desiderio. Allora immaginavo che fosse Luca a possedermi, che mi accarezzasse. Ed il piacere cresceva fino a che venivo. Poi, soddisfatto il desiderio, pensavo che Luca era morto e che le mie fantasie sarebbero rimaste per sempre sogni, che era Bernardo a possedermi e che dormivo accanto a lui. Allora un senso di disperazione totale mi avvolgeva e desideravo solo piû non svegliarmi il mattino dopo. Non feci mai nulla per uccidermi, ma avrei accolto la morte come una liberazione.
Non vedevamo quasi nessuno: due uomini venivano talvolta alla capanna e di solito il giorno dopo Bernardo se ne andava, facendo spesso ritorno solo verso sera. Controllava che io avessi lavorato e se giudicava che avessi battuto la fiacca, due sonori ceffoni erano la mia ricompensa. Questo perô avveniva di rado, sia perché io lavoravo, sia perché tornava da quelle giornate di buon umore. Non sapevo dove andasse, ma in realtà non avevo neppure un’idea di dove fosse la nostra capanna: non ricordavo quale itinerario avevo seguito durante la mia fuga e sapevo soltanto che eravamo sulle colline, non molto lontano da Asti o da Chieri o da Alessandria. Non mi importava saperlo. Non so quanto tempo sarei rimasto in quella condizione, simile alla schiavitû, se la situazione non avesse subito una brusca ed imprevista evoluzione, circa un anno dopo il mio arrivo. Una sera Bernardo tornô a casa da una delle sue assenze nervoso e preoccupato. Mi accusô di non aver lavorato, benché fossi stato molto attivo tutto il giorno ed avessi svolto per intero il mio compito, e per la prima volta mi picchiô senza ragione, per sfogare una rabbia che aveva altri motivi. Il giorno dopo, all’alba, alla capanna si presentarono dodici guardie. Erano armate e Bernardo capî che non avrebbe potuto resistere. Si guardô intorno, ma le guardie avevano bloccato ogni via di fuga: se avesse cercato di scappare, lo avrebbero ucciso. Si lasciô perciô condurre via. Non si occuparono di me: mi dissero solo che Bernardo veniva arrestato per aver assalito alcuni mercanti. Io presi il cibo che avevamo nella capanna e quel poco di denaro che Bernardo teneva nascosto dietro un mattone, nel camino. Seguii a distanza le guardie. Ero intenzionato a fare quello che potevo per salvare Bernardo. La sua sorte perô era già decisa. Bernardo ed altri tre briganti avevano assalito diversi mercanti e viaggiatori che si trovavano a passare per il bosco. I complici di Bernardo erano i due uomini che avevo visto qualche volta alla capanna ed un servitore della locanda: costui forniva le informazioni sulla strada che seguivano i mercanti e sui beni che portavano con sé. Una rapina era finita male, per l’arrivo imprevisto di un gruppo di soldati. Uno dei briganti era stato ucciso e gli altri tre erano scappati. Il servitore perô era stato riconosciuto e catturato. Aveva fatto il nome di Bernardo e dell’altro complice. Furono tutti e tre condannati a morte e pochi giorni dopo l’arresto, Bernardo ed i suoi due compagni furono condotti alla forca. Avevo trascorso quei giorni ad Alessandria, dove era stato portato Bernardo, senza riuscire a trovare la maniera per aiutarlo. In qualche modo sentivo che era quello che dovevo fare, anche se non ero certo affezionato a lui e non avevo debiti nei suoi confronti: mi aveva dato un riparo e da mangiare, ma mi aveva anche sfruttato come uno schiavo. Decisi di assistere all’esecuzione, conscio che stavo chiudendo con quell’anno in cui ero vissuto come sospeso. Era ora che riprendessi a vivere, che accettassi la sofferenza che mi avrebbe accompagnato per il resto dei miei giorni e che mi lasciassi alle spalle quella vita senza senso. Vedere l’impiccagione di Bernardo sarebbe stata la conclusione di quel periodo della mia vita. Prima di lui furono impiccati i suoi due complici. Il boia appoggiô la scala alla trave superiore della forca ed accompagnô prima l’uno, poi l’altro, forzandoli a salire i gradini. Non potevano vedere la scala a pioli, perché erano rivolti dalla parte opposta, ma non erano in grado di resistere, perché il boia li tirava per il cappio che presto si sarebbe stretto intorno al loro collo. Arrivato in cima il boia fissava il cappio e poi dava un calcio al condannato. Per entrambi il salto fu immediatamente fatale, le oscillazioni durarono pochissimo ed i cadaveri rimasero penzolanti. La fine di Bernardo fu assai diversa. Quando il boia gli diede un calcio, la caduta non fu sufficiente per spezzare quel collo taurino. Bernardo, ancora vivo e cosciente, incominciô ad agitare freneticamente le gambe, suscitando l’ilarità degli spettatori. Tutti lo schernivano, per quella danza grottesca, che sembrava interminabile. La faccia divenne rossa, la bocca gli si spalancô e da un angolo incominciô a colare saliva. La pressione della corda provocô un’erezione ed il grande uccello si irrigidî, tendendo la tunica di Bernardo. Quella protuberanza suscitô un parossismo di risate e battute. I commenti si moltiplicarono e tutto intorno era uno sghignazzare continuo. Io non ridevo: rimanevo impassibile, come se quello spettacolo atroce non mi riguardasse. E in un certo senso era vero: non mi importava nulla di lui, anche se gli avrei augurato un’agonia meno lunga. Ad un certo punto Bernardo venne ed una grande macchia si allargô sulla tunica. La folla era in un delirio ed io mi dissi che ne avevo avuto abbastanza. Mi voltai e mi allontanai, facendomi largo a fatica tra la gente accalcata. Solo quando fui a notevole distanza mi girai ancora una volta. Il corpo penzolava ormai immobile. Lo spettacolo era finito, ma la folla rimaneva tutt’intorno.
Il mattino dopo mi avviai verso Asti. Intendevo raggiungere la mia famiglia, che forse mi avrebbe aiutato a trovare un lavoro. Quando perô fui ad Asti, prima di lasciare la città, decisi di passare dall’officina di Luca. Raggiunsi la via in cui si trovava e mi fermai a distanza, ad osservare la bottega. Non me la sentivo di entrare, di trovare un altro al posto di Luca, di incontrare gli apprendisti ed i garzoni. Rimasi a lungo nella mia posizione. Vidi uscire quelli che lavoravano nell’officina, gli stessi che conoscevo, a parte Ettore, ovviamente. Era passato solo un anno. Ora nell’officina era rimasto solo il nuovo mastro; probabilmente era già salito nella casa, attraverso la scala interna. Forse era uno dei cugini. Non avevo voglia di vedere nessuno, ma sentivo un’acuta nostalgia dell’officina, volevo ancora una volta entrare in quell’ambiente dove avevo lavorato al fianco di Luca per sei anni. Mi avvicinai alla porta e la spinsi con cautela, pronto a fuggire se avessi visto o sentito qualcuno. Nel locale non c’era nessuno ed io entrai. Tutto era come un anno prima. Feci due passi avanti e mi fermai, con le lacrime agli occhi. Il mio dolore era vivo come il primo giorno. In quel momento qualcuno entrô dalla porta laterale e si fermô. Mi voltai verso di lui e fui certo, assolutamente certo, di avere una visione. Luca era lî, come l’avevo visto infinite volte, il torace possente luccicante di sudore, il bel viso con la barba nera, i pantaloni corti che gli cingevano i fianchi. Ci fu un momento di assoluto silenzio, che fu rotto da Luca: - Marco! Aprî le braccia ad accogliermi ed io corsi verso di lui. Mi avvolse ed io mi appoggiai, in lacrime, contro il suo corpo. - Marco, Marco! Mio Dio, un anno, Marco, un anno! Pensavo che fossi morto! Lo guardai. Il suo viso era ad una spanna dal mio. Con una mano gli accarezzai la guancia, la bocca. Non so se fu lui o fui io. So che le nostre bocche si avvicinarono e ci baciammo. E quel bacio dissolse ogni remora, in lui ed in me. Sentii le labbra di Luca contro le mie, come avevo desiderato infinite volte. Le sue mani sulle mie guance, tra i miei capelli. Poi la sua lingua che premeva contro i miei denti ed al loro disserrarsi entrava ad incontrare la mia, frastornandomi. Mai avevo pensato che si potesse fare, mai avevo pensato di poter provare sensazioni cosî forti. Luca si staccô, mi fissô negli occhi. - Marco, Marco, Marco. Quanto ti ho aspettato! Mi baciô sugli occhi, sulle labbra, mi morse leggermente sul collo e di nuovo quel gesto mi sorprese e mi stordî. La sensazione delle sue labbra sulla mia pelle era fortissima, ogni punto del mio collo o del mio viso sembrava incendiarsi al contatto della bocca di Luca. Luca indossava solo i pantaloni corti che portava quando lavorava d’estate. Io ero vestito, ma le sue mani si infilarono prepotentemente sotto la tunica e me la sfilarono in un attimo. Rimasi nudo davanti a Luca, che mi strinse nuovamente con forza. Le sue mani erano poderose e mi accarezzavano o mi stringevano, scendendo dal viso al culo e poi risalendo, quasi Luca volesse esplorare ogni angolo del mio corpo. Mi prese la testa tra le mani, mi baciô nuovamente, con forza, poi mi strinse tra le sue braccia, mi sollevô e mi distese in un angolo dell’officina, su una stuoia. In quell’istante si ricordô di non aver chiuso la porta e mi lasciô per far scorrere il chiavistello. Poi ritornô e si mise a guardarmi, in piedi, sorridendo. Io avrei voluto che si chinasse, si stendesse su di me. Volevo sentire di nuovo le sue mani vigorose sulla mia pelle, volevo sentire il suo corpo contro il mio, ma era bello anche cosî, guardare il suo viso assorto, il suo sorriso, i suoi occhi che sembravano volersi impadronire di me. Io ero eccitato e non potevo certo nasconderlo, ma potevo vedere dal rigonfio dei pantaloni che anche lui lo era, non meno di me. Luca si inginocchiô di fianco a me ed incominciô a percorrere con la destra il mio corpo. Dal viso le dita scesero sul collo, il palmo si posô sul torace e la sua mano aperta passô su un capezzolo e poi sull’altro, premendo, poi scivolô verso il basso, carezzô l’ombelico ed infine passô, leggera, sopra il mio uccello teso. Indugiô un buon momento sulle palle, accarezzando e soppesandole, poi scese lungo una gamba. Quando giunse al piede, la seconda mano la raggiunse ed insieme le due sorelle risalirono lungo le gambe e le cosce, si incontrarono sul ventre, dove una rimase a lungo immobile sull’uccello e l’altra giocô con le palle, poi si mossero verso il torace, premendo sui capezzoli ed infine raggiungendo il viso. Allora Luca si chinô e mi baciô sulla bocca. Io ero rimasto immobile, assaporando ogni movimento di Luca, ma ora le mie mani si aggrapparono ai suoi pantaloni e li abbassarono, rivelando ciô che già conoscevo. Non potevo vederlo, perché il viso di Luca era sul mio, ma le mie mani gli strinsero il culo. Luca staccô il suo viso e mi fissô. Io lo guardai negli occhi, poi il mio sguardo scese lungo quel corpo possente, fino a raggiungere il suo grande uccello, che si alzava festante, la cappella scoperta, rossastra. Mi parve bellissimo e glielo dissi. Luca scosse la testa. Il desiderio premeva in entrambi. Lentamente, senza distogliere lo sguardo da Luca, mi voltai, mettendomi pancia a terra. Il sorriso di Luca si allargô e la destra scese dal collo lungo la colonna vertebrale, strappandomi un gemito, fino al culo. Non avevo paura di quanto stava per avvenire: un anno con Bernardo mi aveva abituato e Luca, per quanto ben dotato, aveva un uccello di dimensioni piû umane. Pensai che forse questa volta sarei venuto anch’io, perché la tensione che avvertivo in me era fortissima. Poi pensai che Luca era mio padre, che stava per prendermi, come aveva preso mia madre. Pensai… Luca si inumidî le dita e le passô sull’apertura che stava per forzare. Smisi di pensare. Luca ripeté l’operazione, bagnando la cappella. Si stese sul mio corpo e con molta dolcezza entrô in me. Fu una sensazione diversissima da quelle che avevo provato con Bernardo. Non ci fu dolore, era qualche cosa che io desideravo non meno di Luca e tutto il mio corpo lo accolse con gioia. Io venivo penetrato e riempito e l’arma che scavava nelle mie viscere mi trasmetteva calore e piacere, in cerchi sempre piû vasti, che dal sesso di Luca si allargavano raggiungendo tutto il mio corpo. Luca si muoveva con una delicatezza che non avevo mai conosciuto ed ogni suo movimento lo portava piû avanti dentro di me e moltiplicava il mio piacere. Non pensavo che si potesse godere tanto. Neppure quando mi ero immaginato avvinto a Luca, mai avevo sospettato che potesse essere tanto bello. Mi aspettavo che, giunto al termine della sua avanzata, Luca avrebbe concluso la sua opera con poche spinte vigorose, come avveniva con Bernardo. Mi sbagliavo. Luca lasciô al mio corpo il tempo di adattarsi a quell’intruso benvoluto, poi prese a spingere, sempre delicatamente, ed il suo movimento continuô a lungo, tanto a lungo da stordirmi. Le spinte diventavano piû energiche ed io, senza quasi rendermene conto, gemevo, ma gemevo di piacere puro. Luca penetrava a fondo e si ritirava, in un continuo avanti ed indietro. Ad un certo punto la tensione divenne insopportabile e sentii dentro di me un’esplosione di piacere. Venni, lanciando un grido, mentre il mio seme si spargeva sulla stuoia e l’uccello vigoroso di Luca continuava a scavare nel mio culo. Luca allora impresse un ritmo piû serrato alle sue spinte, regalandomi altro piacere. Infine anche lui venne ed io sentii il suo seme riempirmi le viscere. Gemetti di nuovo. Luca rimase disteso su di me. Sentii la sua voce che sussurrava al mio orecchio: - Ti ho sempre desiderato, Marco. Io ero stordito dalle sensazioni intensissime che avevo provato e da quella, fortissima, dell’uccello di Luca ancora dentro di me, nella mia carne. Avrei voluto che rimanesse lî per sempre. Mi scossi e risposi, dicendo la verità: - Anch’io. Poi aggiunsi: - Credo fin dal primo giorno, anche se l’ho capito solo anni dopo. Ora che avevamo incominciato a parlare, venne il tempo dei chiarimenti. - Come mai sei scomparso, Marco? Non vedendoti ritornare ti ho creduto morto. È stato atroce. - Pensavo che ti avessero ucciso nella capanna, quella notte. Sono scappato. - Sei stato tu ad uccidere Ettore, vero? - Sî, ti aveva tradito. - Lo so. Venne il mio turno di chiedere: - In che modo ti salvasti? Loro erano convinti di averti ucciso! - Merito tuo. Quella notte il tuo comportamento mi aveva turbato, molto. Ti eri accorto che avevo scopato con Ettore la sera prima, vero? - Sî. - L’avevo capito. Mentre ero nella tinozza, tu mi fissavi… Pensai che forse quella sera avremmo… fatto quello che abbiamo finito di fare ora. Ma quando uscii dalla tinozza scappasti come se avessi voluto ucciderti. Allora mi rivestii e decisi di aspettarti fuori dalla capanna, all’ombra della farnia. Potevo vedere la porta della capanna, anche se fossi arrivato da un’altra direzione, ti avrei visto. Passô molto tempo, poi sentii che qualcuno si avvicinava, furtivamente. Pensai che potessi essere tu, poi mi resi conto che erano diverse persone e capii che ero in pericolo. Mi nascosi e li vidi arrivare. Circondarono la capanna e le diedero fuoco. Mi aspettavano fuori con le lance, senza sospettare che io fossi a pochi passi da loro, ma tra gli alberi. Rimasi ad assistere. Temevo che tu ritornassi mentre loro erano ancora lî, che ti uccidessero. Ascoltavo senza perdere una parola. - Ad un certo punto li sentii gridare: avevano trovato il cadavere di Ettore. A quel punto sapevano che c’era qualcuno fuori dalla capanna. Incominciarono e cercare e dovetti allontanarmi. Ma rimasi tutta la notte nelle vicinanze, sperando che tu tornassi. Il mattino tornai in città, convinto di ritrovarti qui. Ma non c’eri. Fece una pausa e concluse: - Adesso c’ê stato un accordo. Non ci si ammazza piû. Ho ripreso a dormire tranquillo. Ma quante notti non ho dormito, pensando a te! Luca mi chiese ed io gli raccontai brevemente del mio anno con Bernardo. Non gli dissi tutto, ma capî anche quello che accennai soltanto. Non intendevo nascondergli nulla. Luca mi baciô ancora, poi uscî da me. Provai un senso di abbandono. - Saliamo in casa. Io ho bisogno di lavarmi. Luca si lavava spesso, piû di quanto facessero gli altri uomini. Prese dalla fornace un secchio d’acqua che aveva messo a scaldare. Io lo fissavo, guardavo quel corpo splendido ed il sesso, proteso in avanti, quasi eretto. Anch’io sentivo dentro di me l’eccitazione crescere. - Prendi gli abiti, Marco. Eseguii. Luca si diresse alla scala interna che conduceva in casa. Guardai il suo culo, forte, vigoroso, coperto da una leggera peluria nera. Ora ce l’avevo di nuovo duro. Luca versô il secchio nella tinozza, ci aggiunse due secchi di acqua fredda e mi disse di entrare. Fu lui a lavarmi ed il contatto delle sue mani moltiplicô il mio desiderio. Le sue dita indugiarono a lungo sul mio culo, sui coglioni, sull’uccello ed infine le sue carezze mi fecero venire. Io uscii. Ora anche Luca ce l’aveva duro come una pietra. Entrô in acqua e si lavô, mentre io guardavo, come quella sera di un anno prima, troppo frastornato per muovermi. Poi Luca uscî dall’acqua e, sorridendo, mi mise le mani sulle spalle, facendomi inginocchiare davanti a lui. Mi trovai davanti alle labbra il suo uccello ardente e lo presi in bocca. Non lo avevo mai fatto, ma fu la cosa piû naturale di questo mondo. Accarezzai con la lingua, baciai, leccai, succhiai, lasciandomi guidare dall’istinto, mentre le mie mani stringevano il culo di Luca. E di nuovo pensai che quello era l’uccello di mio padre, dell’uomo che mi aveva generato. Luca mi accarezzava la testa. Ad un certo punto emise un suono inarticolato. Lo fece tre volte ed infine sentii il suo seme che si spandeva nella mia bocca. Inghiottii, felice. Ripulii con cura, succhiando ogni goccia. Poi lasciai la mia preda ed alzai lo sguardo su Luca. Mi fissava, sorridendo. Mi fece alzare e mi baciô sulla bocca. - Direi che sei un ottimo apprendista, Marco. Ed intendo insegnarti tutto quello che so. In fondo, ê quello che dovrebbe fare ogni buon padre, no?
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Tutto avviene in un attimo: il coltello preme sulla sua gola ed una mano gli tappa la bocca. Il cuore si ferma ed una sensazione di gelo avvolge Bob. Un terrore cieco lo invade, se gli fosse possibile, Bob griderebbe, ignorando la voce che gli sussurra: - Non cercare di urlare, perché ti ammazzo subito. Bob vorrebbe che fosse uno scherzo di Andrew, ma sa che non lo è. L’uomo che gli punta
Attento al gorilla! Bob non vede l’ora di partire per godersi la sua settimana di vacanza a casa, in Nebraska: ha proprio bisogno di staccare un po’, prima dell’ultima tornata di esami. Dovrebbero esserci più vacanze e meno lezioni. L’autobus partirà tra poco ed al bar della stazione Bob sta scambiando le ultime chiacchiere con Andrew. Non è che badi molto a quello che dice il suo compagno
Godefroi osserva la prateria che si stende davanti a lui. Dalla collina su cui si trova, il suo sguardo scorre fino al fiume, che serpeggia non lontano, ancora coperto dalla nebbia mattutina. Oltre il fiume si innalzano le immense montagne che corrono lungo i confini meridionali del ducato. Il sole sta sorgendo, troppo presto perché Godefroi abbia la minima speranza di salvezza. I cacciatori si
Charles si rialza, intontito. Per Godefroi ê un miracolo vederlo muoversi. È ancora vivo. Per quanto? - Charles, dove sei ferito? Charles scuote la testa. - Niente, duca. Solo un graffio al braccio. Ma mi ê crollato addosso e mi ha stordito. Godefroi lo guarda. È vero, l’abito non ê lacerato, ê intriso di sangue, ma ê il sangue dell’orso. Charles non sta morendo. - Fammi vedere il
Domande pericolose Un racconto rosso di Ferdinando Neri Appoggiato al muro del cesso, tengo gli occhi chiusi e cerco di calmarmi. Non ê facile. Non ê facile. Ho fatto una cazzata ed ora mi sento morire. E dire che questa mattina ero cosî contento all’idea che finalmente ê arrivata l’estate: tra tre giorni la scuola finisce ed incominciano le vacanze. Tutti gli anni questo ê il momento
Si porta due dita alla bocca, le infila dentro, le lecca ben bene, quasi leccasse qualche cos’altro, che adesso non vede piû, perché Bondi ê voltato (ma questo va bene, perché cosî mette in vista qualcosa di altrettanto bello) e poi le sfrega lungo il solco, arriva alla fessura e, senza stare a pensarci, le spinge dentro. Il ragazzo ha un sussulto, si tende, ma ormai ê troppo tardi. E poi
Il diavolo custode Quel bastardo ce l’aveva fatta, era riuscito a dileguarsi un’altra volta. Nel canyon non si vedeva nessun segno di presenza umana e per terra nessuna traccia. Anche questa volta Jack The Jackal gli era sfuggito. Probabilmente aveva già raggiunto il confine del Messico e lui non poteva farci proprio piû niente. Tanto valeva che si rassegnasse. Lo sceriffo Pete Strain era
Il loro arrivo era previsto in mattinata, dalla strada di Dayton, come riferî Louis: lui aveva dei contatti a Ridge, dove si trovavano quei figli di puttana. Dan disse che si sarebbe fermato a dormire da Pete, nella camera sopra l’ufficio dello sceriffo, per essere pronto il mattino dopo. Quando i tre uomini furono usciti, Pete e Dan andarono a mangiare e poi rientrarono. Salirono in camera
Glenn cammina svogliato per le strade della cittadina. Guarda indifferente la gente seduta a mangiare nei ristoranti. Già, ê ora di cena. Ma Glenn non ha fame. Passa davanti ad un MacDonald’s e l’odore gli dà fastidio. Anche lî ê pieno di gente che mangia. Glenn si ferma un momento a guardare dentro. Le famigliole felici che masticano avidamente i loro hamburger gli sembrano caricature oscene.
- Un poliziotto con la tua esperienza non fa fatica a trovare un altro lavoro. Ad esempio qui cerchiamo da tempo un poliziotto che sia in grado di gestire anche i problemi con i minori. C’ê una situazione complessa, che non sto a spiegarti. Io non sono all’altezza. Certo dipende dai legami che hai, se vuoi cambiare stato. - Non ho nessuno in Oregon e piû mi allontano, meglio ê. - Allora
Il regalo di compleanno ovvero Le disavventure di Ferdinando Neri (quello sbagliato) Uno scherzo in rosso di Ferdinando Neri da un’idea di Monica B. - E lui mi dice: “Ma sei fuori di testa? A me piacciono le donne!” Ed io gli rispondo: “Non l’hai mai fatto con un uomo?”. E quello: “Figurati, io?!”. “Beh, non sai che cosa ti sei perso, amico. Ma non ê troppo tardi per rimediare.” Lui rimane
Un libro erotico ê un libro erotico, insomma, non si scrive un libro erotico. Evidente, no? - Pietro, io non leggo nemmeno libri erotici, figurati scriverli! Semplice, chiaro, perfetto! Ferdinando era proprio contento di essersela cavata in modo cosî brillante. - Non leggi libri erotici? Nemmeno uno ogni tanto? Tanto per stuzzicare l’appetito… - No. Ferdinando non sapeva come
Fino a dieci anni vissi a casa di mastro Rocco, il fabbro. Ad allevarmi furono suo figlio Giovanni e la moglie Chiara. Non ero loro figlio: ero stato lasciato sulla soglia dell’abitazione in una notte d’autunno, avvolto in una coperta. Non mi avevano raccolto solo per pietà, come intuii da alcuni loro discorsi: in qualche modo ero anch’io parte di quella famiglia ed infatti c’era una certa
Luca lasciô al mio corpo il tempo di adattarsi a quell’intruso benvoluto, poi prese a spingere, sempre delicatamente, ed il suo movimento continuô a lungo, tanto a lungo da stordirmi. Le spinte diventavano piû energiche ed io, senza quasi rendermene conto, gemevo, ma gemevo di piacere puro. Luca penetrava a fondo e si ritirava, in un continuo avanti ed indietro. Ad un certo punto la tensione
Prima dell’incrocio rallento e controllo la situazione. Nessuno dietro di me, nessuno nella direzione opposta. Bene. Svolto nella stradina secondaria e percorro i due chilometri che mi separano dal bivio per la cascina. Passo oltre senza rallentare, mentre lancio un’occhiata verso l’edificio, lontano neppure cinquanta metri. Una finestra ê illuminata, una luce fioca. L’ispettore Marcello
Lucien guardava la pista davanti a sé. Stavano salendo ed entro un’ora sarebbero giunti al passo. Di lî la discesa fino ad Al-Khatam, la capitale, avrebbe richiesto solo una mezz’ora. Aveva meno di due ore da vivere. No, non era cosî. Sarebbe stato meglio, se fosse stato cosî: ammazzato immediatamente, con una pallottola alla testa. Quello che lo aspettava era peggio, molto peggio. Conosceva
La pressione della lama sul collo di David aumentô leggermente, poi diminuî e David annuî. Allora la mano che gli chiudeva la bocca si allontanô. David abbassô lo sguardo sul pugnale e, benché la mano celasse una parte dell’elsa, ammirô il raffinato lavoro dell’orafo ed i due grandi rubini che costituivano gli occhi dell’animale favoloso. Non si stupî di vedere il pugnale in mano a Lucien, si
- Potresti almeno evitare questo linguaggio da caserma. Massimo Aliotti apre la bocca per replicare, ma uno sguardo supplichevole della moglie lo blocca. Bofonchia qualche cosa e tace, mentre la rabbia per l’osservazione del figlio lascia il posto alla frustrazione. Che cosa ha detto? Che cosa cazzo ha detto perché suo figlio lo debba rimproverare per il linguaggio che usa? Sarà libero di
Enrico lascia che la sua lingua riceva la carezza di un’altra lingua, Enrico penserebbe, se osasse pensare, che il piscio non ha poi un gusto ed un odore cattivi, no, per niente, varrebbe la pena di assaggiare meglio, non sembra mica male, ma tutto questo Enrico non lo pensa, perché l’ha già pensato. - Prima che arrivi la sera, avrai imparato un sacco di cose, maialino. “Prima che arrivi la
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