La sfida successiva fu ovviamente per il culo di Luca. Bisognava decidere quale sarebbe stato il premio per mio padre, se io avessi perso. Lui propose di frustarmi ed io accettai la sua proposta. L’avevamo fatto alcune volte, per gioco, colpendoci con la cinghia, ma in modo molto leggero. Solo in qualche occasione i colpi erano stati un po’ piû forti. Io persi due volte e Luca mi frustô. Pochi colpi, non dati con tutta la forza che mio padre possedeva, ma abbastanza decisi da costringermi a stringere i denti per non urlare. Non mi aspettavo un dolore cosî acuto: quando Luca mi aveva frustato per gioco (o quando io lo avevo fatto a lui), i colpi erano stati solo carezze un po’ brusche e la sofferenza era inferiore al piacere, come quando lui mi sculacciava o quando mi mordeva con forza il culo. Eppure quei colpi tesero il mio uccello allo spasimo, senza che nemmeno io capissi il perché. Ad ogni colpo il mio corpo aveva un guizzo, quasi desiderasse fuggire, ma aspettava con ansia il colpo successivo e quando Luca si fermô, provai l’impulso di chiedergli di continuare. Dopo che ebbe finito, Luca mi prese, martoriandomi il culo con le sue mani forti. E di nuovo quella sofferenza fu piacere, che si accumulava a quello che mi dava il suo uccello dentro di me. Poi Luca mi fece alzare e si chinô davanti a me. Mi prese l’uccello in bocca e, come quando avevo vinto nella lotta, lo percorse con le labbra e la lingua. Le sue mani mi stringevano il culo, rinnovando il dolore dei colpi ed aumentando la mia eccitazione. Io gli accarezzavo i capelli, glieli stringevo e gemevo. Infine venni nella sua bocca. Per parecchi giorni ho conservato il segno delle frustate e quelle che Luca mi ha dato la seconda volta sono ancora ben visibili. Spero che ne vengano altre.
Oggi ho nuovamente vinto. Quando ho capito di aver bloccato Luca in una posizione da cui non era piû in grado di alzarsi, ho avuto un senso di vertigine. Stavo per possedere mio padre, per penetrarlo. L’ho liberato e gli ho detto: - Stenditi. Luca mi ha sorriso. Io ero troppo teso per sorridergli. Nella mia testa c’era un vuoto totale, in cui solo risuonavano le parole: “Adesso gli metto il cazzo in culo. Adesso metto il cazzo in culo a mio padre”. Luca si ê messo a pancia in giû ed ha allargato le gambe. Ho guardato quel culo forte, la peluria che lo ricopriva, ho poggiato le mani sulle natiche e lo ho divaricate, ho fissato l’apertura che stavo per forzare. Di nuovo mi sembrava che la testa mi girasse, ma il mio desiderio era tanto forte che rischiavo di venire prima ancora di entrare. Sapevo che mio padre aveva avuto alcuni rapporti, quando era ragazzo, ma da molti anni nessuno lo aveva piû penetrato. Ho accostato la cappella all’apertura, poi l’ho allontanata ed ho avvicinato la bocca al culo, ho passato la lingua lungo il solco tra le natiche, piû volte, leccando con cura il buco che stavo per riempire. Mi sono bagnato la cappella con la saliva ed ho detto: - Sto per spaccarti il culo, padre. Non avevo nessuna intenzione di fargli male e lui lo sapeva, ma sentivo il bisogno di dirglielo, di sottolineare ciô che stava avvenendo. - Accomodati, la preda ê tua. Ho riso, inebriato dalla sensazione di potere. La punta premeva contro la carne. - Senti il mio cazzo, Luca? Sta per entrare! E con queste parole ho spinto. Non volevo fargli male, ma gliene ho fatto, perché non ero in grado di controllarmi. Ho affondato il mio uccello in quella carne che si apriva, fino in fondo, con un unico movimento. Ho sentito la tensione del corpo di Luca. Sono ritornato lucido. - Ti ho fatto male? - Esci un momento, per favore. Ho ubbidito. Poi mio padre mi ha detto che potevo riprendere e nuovamente sono entrato, cercando di muovermi con maggiore cautela. Quando sono arrivato in fondo, ho passato le braccia intorno a Luca e l’ho stretto forte. Sono rimasto un buon momento cosî, poi ho incominciato a mordicchiarlo sul collo, a baciargli un orecchio, ad accarezzarlo, a pizzicargli il culo. E poi ho smesso di fare altro ed ho preso a muovermi dentro di lui, avanti ed indietro, e null’altro esisteva al mondo, se non quel culo che accoglieva il mio uccello. In questi anni ho goduto con mio padre in modo intensissimo e ci sono stati momenti in cui il piacere era tanto forte da togliermi il fiato, ma le sensazioni di oggi sono state ancora piû violente. Mi sembrava che ad ogni spinta tutto il mio corpo entrasse dentro di lui e che tutta la mia pelle mi trasmettesse piacere e nient’altro che piacere. Sono venuto dentro di lui, lanciando un grido. Sono rimasto a lungo steso sul suo corpo, assaporando la perfezione del momento. Poi Luca ed io ci siamo girati, in modo che io sono rimasto sotto, il mio uccello ancora in culo a Luca, e lui sopra. Ho incominciato ad accarezzargli il sesso. Mio padre ha un bello spiedo, vigoroso e grande, ed era bellissimo accarezzarlo mentre gli tenevo il mio uccello in culo. L’aveva già duro e le mie carezze hanno completato l’opera. È venuto, spandendo il seme sul ventre. Io ho guardato le gocce tra i peli e le ho raccolte, una per una, con le dita, portandomi ogni volta le dita alla bocca. L’uccello mi era diventato di nuovo duro e Luca si ê accorto che premeva sempre di piû dentro di lui. - Vuoi fottermi di nuovo? Ho sorriso. - Sî. - Mi hai vinto una volta sola, ma va bene. Ci siamo nuovamente girati e l’ho preso di nuovo, con minore foga e piû dolcezza e questa volta siamo venuti insieme.
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Tutto avviene in un attimo: il coltello preme sulla sua gola ed una mano gli tappa la bocca. Il cuore si ferma ed una sensazione di gelo avvolge Bob. Un terrore cieco lo invade, se gli fosse possibile, Bob griderebbe, ignorando la voce che gli sussurra: - Non cercare di urlare, perché ti ammazzo subito. Bob vorrebbe che fosse uno scherzo di Andrew, ma sa che non lo è. L’uomo che gli punta
Attento al gorilla! Bob non vede l’ora di partire per godersi la sua settimana di vacanza a casa, in Nebraska: ha proprio bisogno di staccare un po’, prima dell’ultima tornata di esami. Dovrebbero esserci più vacanze e meno lezioni. L’autobus partirà tra poco ed al bar della stazione Bob sta scambiando le ultime chiacchiere con Andrew. Non è che badi molto a quello che dice il suo compagno
Godefroi osserva la prateria che si stende davanti a lui. Dalla collina su cui si trova, il suo sguardo scorre fino al fiume, che serpeggia non lontano, ancora coperto dalla nebbia mattutina. Oltre il fiume si innalzano le immense montagne che corrono lungo i confini meridionali del ducato. Il sole sta sorgendo, troppo presto perché Godefroi abbia la minima speranza di salvezza. I cacciatori si
Charles si rialza, intontito. Per Godefroi ê un miracolo vederlo muoversi. È ancora vivo. Per quanto? - Charles, dove sei ferito? Charles scuote la testa. - Niente, duca. Solo un graffio al braccio. Ma mi ê crollato addosso e mi ha stordito. Godefroi lo guarda. È vero, l’abito non ê lacerato, ê intriso di sangue, ma ê il sangue dell’orso. Charles non sta morendo. - Fammi vedere il
Domande pericolose Un racconto rosso di Ferdinando Neri Appoggiato al muro del cesso, tengo gli occhi chiusi e cerco di calmarmi. Non ê facile. Non ê facile. Ho fatto una cazzata ed ora mi sento morire. E dire che questa mattina ero cosî contento all’idea che finalmente ê arrivata l’estate: tra tre giorni la scuola finisce ed incominciano le vacanze. Tutti gli anni questo ê il momento
Si porta due dita alla bocca, le infila dentro, le lecca ben bene, quasi leccasse qualche cos’altro, che adesso non vede piû, perché Bondi ê voltato (ma questo va bene, perché cosî mette in vista qualcosa di altrettanto bello) e poi le sfrega lungo il solco, arriva alla fessura e, senza stare a pensarci, le spinge dentro. Il ragazzo ha un sussulto, si tende, ma ormai ê troppo tardi. E poi
Il diavolo custode Quel bastardo ce l’aveva fatta, era riuscito a dileguarsi un’altra volta. Nel canyon non si vedeva nessun segno di presenza umana e per terra nessuna traccia. Anche questa volta Jack The Jackal gli era sfuggito. Probabilmente aveva già raggiunto il confine del Messico e lui non poteva farci proprio piû niente. Tanto valeva che si rassegnasse. Lo sceriffo Pete Strain era
Il loro arrivo era previsto in mattinata, dalla strada di Dayton, come riferî Louis: lui aveva dei contatti a Ridge, dove si trovavano quei figli di puttana. Dan disse che si sarebbe fermato a dormire da Pete, nella camera sopra l’ufficio dello sceriffo, per essere pronto il mattino dopo. Quando i tre uomini furono usciti, Pete e Dan andarono a mangiare e poi rientrarono. Salirono in camera
Glenn cammina svogliato per le strade della cittadina. Guarda indifferente la gente seduta a mangiare nei ristoranti. Già, ê ora di cena. Ma Glenn non ha fame. Passa davanti ad un MacDonald’s e l’odore gli dà fastidio. Anche lî ê pieno di gente che mangia. Glenn si ferma un momento a guardare dentro. Le famigliole felici che masticano avidamente i loro hamburger gli sembrano caricature oscene.
- Un poliziotto con la tua esperienza non fa fatica a trovare un altro lavoro. Ad esempio qui cerchiamo da tempo un poliziotto che sia in grado di gestire anche i problemi con i minori. C’ê una situazione complessa, che non sto a spiegarti. Io non sono all’altezza. Certo dipende dai legami che hai, se vuoi cambiare stato. - Non ho nessuno in Oregon e piû mi allontano, meglio ê. - Allora
Il regalo di compleanno ovvero Le disavventure di Ferdinando Neri (quello sbagliato) Uno scherzo in rosso di Ferdinando Neri da un’idea di Monica B. - E lui mi dice: “Ma sei fuori di testa? A me piacciono le donne!” Ed io gli rispondo: “Non l’hai mai fatto con un uomo?”. E quello: “Figurati, io?!”. “Beh, non sai che cosa ti sei perso, amico. Ma non ê troppo tardi per rimediare.” Lui rimane
Un libro erotico ê un libro erotico, insomma, non si scrive un libro erotico. Evidente, no? - Pietro, io non leggo nemmeno libri erotici, figurati scriverli! Semplice, chiaro, perfetto! Ferdinando era proprio contento di essersela cavata in modo cosî brillante. - Non leggi libri erotici? Nemmeno uno ogni tanto? Tanto per stuzzicare l’appetito… - No. Ferdinando non sapeva come
Fino a dieci anni vissi a casa di mastro Rocco, il fabbro. Ad allevarmi furono suo figlio Giovanni e la moglie Chiara. Non ero loro figlio: ero stato lasciato sulla soglia dell’abitazione in una notte d’autunno, avvolto in una coperta. Non mi avevano raccolto solo per pietà, come intuii da alcuni loro discorsi: in qualche modo ero anch’io parte di quella famiglia ed infatti c’era una certa
Luca lasciô al mio corpo il tempo di adattarsi a quell’intruso benvoluto, poi prese a spingere, sempre delicatamente, ed il suo movimento continuô a lungo, tanto a lungo da stordirmi. Le spinte diventavano piû energiche ed io, senza quasi rendermene conto, gemevo, ma gemevo di piacere puro. Luca penetrava a fondo e si ritirava, in un continuo avanti ed indietro. Ad un certo punto la tensione
Prima dell’incrocio rallento e controllo la situazione. Nessuno dietro di me, nessuno nella direzione opposta. Bene. Svolto nella stradina secondaria e percorro i due chilometri che mi separano dal bivio per la cascina. Passo oltre senza rallentare, mentre lancio un’occhiata verso l’edificio, lontano neppure cinquanta metri. Una finestra ê illuminata, una luce fioca. L’ispettore Marcello
Lucien guardava la pista davanti a sé. Stavano salendo ed entro un’ora sarebbero giunti al passo. Di lî la discesa fino ad Al-Khatam, la capitale, avrebbe richiesto solo una mezz’ora. Aveva meno di due ore da vivere. No, non era cosî. Sarebbe stato meglio, se fosse stato cosî: ammazzato immediatamente, con una pallottola alla testa. Quello che lo aspettava era peggio, molto peggio. Conosceva
La pressione della lama sul collo di David aumentô leggermente, poi diminuî e David annuî. Allora la mano che gli chiudeva la bocca si allontanô. David abbassô lo sguardo sul pugnale e, benché la mano celasse una parte dell’elsa, ammirô il raffinato lavoro dell’orafo ed i due grandi rubini che costituivano gli occhi dell’animale favoloso. Non si stupî di vedere il pugnale in mano a Lucien, si
- Potresti almeno evitare questo linguaggio da caserma. Massimo Aliotti apre la bocca per replicare, ma uno sguardo supplichevole della moglie lo blocca. Bofonchia qualche cosa e tace, mentre la rabbia per l’osservazione del figlio lascia il posto alla frustrazione. Che cosa ha detto? Che cosa cazzo ha detto perché suo figlio lo debba rimproverare per il linguaggio che usa? Sarà libero di
Enrico lascia che la sua lingua riceva la carezza di un’altra lingua, Enrico penserebbe, se osasse pensare, che il piscio non ha poi un gusto ed un odore cattivi, no, per niente, varrebbe la pena di assaggiare meglio, non sembra mica male, ma tutto questo Enrico non lo pensa, perché l’ha già pensato. - Prima che arrivi la sera, avrai imparato un sacco di cose, maialino. “Prima che arrivi la
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