Infine la voce di Thomas rompe il silenzio. - Mi piaci moltissimo, Glenn, mi piaci da impazzire. Non credevo che un uomo potesse piacermi tanto. Glenn prova di nuovo paura. Non ê possibile che Thomas gli stia dicendo esattamente quello che lui prova per Thomas. Thomas prosegue: - Non ti stupire, Glenn. In fondo mi sono un po’ innamorato di te la prima volta che ti ho visto. Glenn ride, ma nell’allegria della sua risposta c’ê una gioia sconfinata. - Qualche ora fa, che mi reggevo i pantaloni con le mani dietro la schiena? Ti piacciono i film comici? Thomas lo accarezza sulla guancia e Glenn si sente sciogliere. Thomas gli ha regalato in due ore piû tenerezza di quanta ne ha avuto in tutta la sua vita adulta. - Non qualche ora fa, quasi due anni fa, a Denver. Avevano organizzato un corso di formazione per poliziotti sulla criminalità minorile. Io ne avevo i coglioni pieni, sentivo snocciolare numeri e dissertare illustri dottori e pensavo ai problemi di tutti i giorni qui. Loro erano sulla Luna ed io qui in Wyoming. O viceversa, non cambiava. E poi sei arrivato tu. Eri su un altro pianeta, rispetto a quelli, sul mio pianeta. Parlavi, raccontavi i problemi che avevate, come li affrontavate, i successi, gli errori, le sconfitte e tutto quello che dicevi aveva un senso preciso, mi riportava ai problemi che non riuscivo ad affrontare. Mi bevevo ogni tua parola. E mi piacevi, cazzo, se mi piacevi. Avevi delle cose da dire, tu, cose reali, ed io non volevo perdere una sillaba. E neanche gli altri: non so se te ne sei accorto, quella volta, ma quando parlavi tu nella sala si sarebbe sentito una mosca volare. Glenn non ha detto nulla. Non dice nulla nemmeno ora che Thomas si ê fermato. È paralizzato. Thomas lo conosceva! Quindi, quando l’ha visto… Thomas continua: - E poi, tu parlavi di ragazzi, non di grandi teorie. Ascoltandoti, mi veniva in mente un vecchio slogan delle campagne sull’AIDS: “Una persona con l’AIDS non ê un problema, ha un problema”. Ecco, il tuo approccio era quello. E mi sei piaciuto da impazzire. Alla fine del tuo intervento avrei voluto avvicinarmi a te e parlarti, ma si sono avvicinati in molti ed io non me la sono sentita. E sono rimasto lî a guardarti e mi sei piaciuto ancora di piû, perché mentre parlavi con chi si rivolgeva a te, non eri uno di quei dottori che distribuivano sapienza dall’alto, eri uno che si metteva sullo stesso piano. Glenn ha recuperato la lucidità, o quasi: le dita di Thomas, che gli sfiorano le labbra, scivolano su una guancia, gli solleticano la pelle scorrendo tra i peli sul culo, quelle dita lo stanno facendo sciogliere. - Thomas, mi hai riconosciuto subito? Thomas ha il viso voltato verso di lui e lo guarda sorridendo. Ma c’ê un briciolo di inquietudine in quegli occhi. - No, non avevo bisogno di riconoscerti. Sapevo già chi eri. - Cosa vuoi dire? - Avevo letto il tuo nome sui documenti. Ed ero rimasto senza parole. - Sui documenti? Ma i documenti me li ha presi il motociclista… Thomas, che cazzo significa tutto ciô? Thomas lo guarda. È un po’ teso. - Lascia che io ti stringa, mentre ti racconto tutto. Glenn ê curioso, frastornato, forse irritato. Ma in quella richiesta c’ê una nota di sofferenza, quasi una supplica e poi, ormai non c’ê nulla che desidera di piû al mondo che farsi stringere da quelle braccia. I loro corpi aderiscono, le loro facce sono vicinissime e Thomas sorride ancora. Poi riprende: - Ora che non mi sfuggi piû, ti racconto tutto. Dick, Richard, il motociclista, ha finto di accettare la tua proposta ed ê subito venuto da me. Ci conosciamo da anni, siamo amici. Aveva già deciso tutto ed il suo piano mi ê sembrato buono: se tu avessi cambiato idea davanti alla possibilità di essere davvero ammazzato, bene; altrimenti… avrebbe fatto quello che ha fatto. Ti ha mollato lî ed ê ritornato al bivio, dove io lo aspettavo. Mi ha dato i documenti, la carta di credito ed il portafogli. Ho tutto nella tasca della giacca. Io ho guardato chi eri: volevo avere un riscontro, essere sicuro che non mi mentissi quando ti avrei incontrato. Sono rimasto allibito quando ho visto il tuo nome. Poi mi sono messo alla ricerca dell’aspirante suicida. Glenn ê rimasto senza parole. Non perde una sillaba, ma la sua testa sembra rifiutarsi di accettare. - Vuoi dire. Il motociclista, Dick, era d’accordo con te… Ma perché tutta quella messinscena? Far finta di accettare… - Se lui ti avesse detto di no, tu avresti potuto cercare qualcun altro. E magari trovarlo. O anche solo gettarti in un dirupo. Glenn scuote la testa, ancora incredulo. Poi mormora: - Quindi hai tu tutto, documenti, soldi… - Ah, i soldi non ci sono tutti. Dick si ê tenuto cento dollari. Dice che la sua… come dire… insomma, una marchetta si paga. Cento dollari secondo lui erano un prezzo onesto. Glenn ride. Non ride per i cento dollari, ride per tutto. Ride per la figura da idiota che ha fatto, ride per la scena comica di cui ê stato protagonista, ride perché ê felice. - Se a lui devo cento dollari, a te quanti ne devo? Mille? Thomas ê serissimo ora, non c’ê sorriso né sulle sue labbra, né nei suoi occhi. - Io vorrei molto di piû, Glenn. Io voglio te. Non ho molto da offrirti, in cambio, ma tutto quello che ho ê tuo. Ed ancora una volta, in questa sera irreale, il cuore di Glenn accelera i suoi battiti, ma l’emozione che lo fa correre non ê piû la paura. Il sorriso scompare e la sua voce sembra esitare. - Se tu appartieni a te stesso, allora facciamo un cambio, alla pari. A me va bene. Io mi prendo te e tu ti prendi me. Cerca di nascondere quello che sta provando, con una prosecuzione scherzosa: - Non credo che tu faccia un buon affare… Ma Thomas sorride appena. E la sua risposta ignora la battuta di Glenn: - Io non mi appartengo piû. Io appartengo a te. Sono parole forti, dirette. Glenn non ê abituato a sentirsi parlare cosî. Glenn non ê abituato a parlare cosî. Nessuno gli ha mai detto nulla del genere. E forse ê meglio cosî, forse ê meglio che Thomas sia il primo, perché solo nella sua bocca quelle parole suonano sincere. Glenn non risponde con le parole, ma con una carezza. Rimangono ancora a lungo cosî, poi Thomas gli sussurra: - Senti, sono le due. Ci mettiamo a dormire. Ti va bene se ci svegliamo alle cinque? Voglio portarti nel mio angolo segreto. - Alle cinque di mattina? - Considerando un po’ di colazione e la marcia, saranno le sei, anche dopo, quando ci arriviamo. Ma non voglio anticipare niente. Ti va? A Glenn andrebbe benissimo anche partire subito per attraversare il Sahara a piedi o l’Atlantico a nuoto: se ê con Thomas, va benissimo. - Non chiedo di meglio. Il sonno non tarda molto: ê tardi, le ore al volante sono state tante, le emozioni sono state intense, le braccia di Thomas sono forti, il corpo di Thomas ê una coperta che lo avvolge e lo difende. Abbandonarsi al sonno cosî ê dolce ed anche il risveglio ê dolce, nonostante il suo corpo gli dica che vuole dormire ancora. Perché le carezze di Thomas sono il modo migliore per svegliarsi. - Sei pronto? - Sî. - Bene, dieci minuti per lavarti e vestirti. Poi mi raggiungi in cucina e facciamo colazione. La nostra prima colazione insieme. Thomas lo bacia sulla nuca, poi scivola via. Glenn si alza e si prepara. Tre ore di sonno dopo un’intera giornata in auto, un tentativo di suicidio ed altre attività piû gradevoli non sono il massimo, ma far colazione con Thomas ê una tale meraviglia, che Glenn si sente bene come non gli capitava da tempo, come gli sembra che non gli sia capitato mai. Thomas gli chiede che cosa vuole mangiare e Glenn lo guarda, incapace di rispondere. Thomas scoppia a ridere e ripete la domanda. Glenn risponde, ma non smette di guardare Thomas. È vero, non ê un sogno! Mezz’ora dopo sono in auto, ma dopo dieci minuti di strada Thomas parcheggia in una piazzola e prendono un sentiero che ben presto si perde. Glenn si muove con sicurezza nel bosco, anche se non c’ê nessuna traccia. Salgono per mezz’ora ed arrivano su una cresta. Sotto di loro c’ê un lago, ma Thomas si dirige in direzione opposta, scendendo in un valloncello. Arrivano infine in un punto in cui la vegetazione ê molto fitta. Thomas ha con sé una coperta e, tenendola stretta, si accovaccia per infilarsi sotto l’intrico di arbusti. Glenn lo segue. Superati gli arbusti c’ê una piccola radura ed al fondo, oltre le foglie di altri arbusti, si intravede un altro laghetto. Thomas allarga la coperta, la appoggia per terra e si distende, pancia in giû, la testa verso lo specchio d’acqua. - Qui. Cosî. Glenn si mette di fianco a lui. Davanti ai loro occhi c’ê uno spazio che permette di vedere il lago. Thomas gli sussurra: - Ed ora, silenzio! Rimangono cosî, stesi uno di fianco all’altro, per forse venti minuti. Glenn non sa che cosa stanno aspettando, ma si sente bene, di fianco a Thomas. Sono spalla a spalla ed ê piacevole starsene cosî. Un rumore di foglie smosse proviene dalla macchia di vegetazione oltre il lago. Le fronde si aprono ed emerge un alce, un magnifico esemplare di maschio, dalle grandi corna. Glenn non ha mai visto un alce maschio. Femmine sî, due o tre volte, a Yellowstone ed a Jaspers, ma un maschio mai. L’alce entra nell’acqua del laghetto, che gli arriva poco sopra l’attaccatura delle gambe. Poi immerge la testa. L’estrae e la scuote energicamente. Gocce d’acqua schizzano da tutte le parti. A Glenn quasi viene da ridere. L’alce ripete l’operazione tre volte, mentre Glenn guarda, con la sensazione di essere dentro ad un film naturalistico. L’alce cammina nell’acqua, tenendosi vicino al bordo, poi risale sulla riva e scompare tra la vegetazione. Thomas si accosta a lui. Gli parla nell’orecchio. - Il film naturalistico ê finito, era un documentario breve. Se vuoi perô, si puô passare ad un film porno, categoria XXX. Glenn ride. - Mi sembra un’ottima idea. Che film ê? Thomas gli mordicchia l’orecchio, poi riprende: - Non so, ê uno di quei film scadenti in cui attori non professionisti improvvisano. Ma ê della serie “I due poliziotti”. - La mia preferita! Spero che sia bello come quello che hanno fatto ieri sera. Che episodio ê? La lingua di Thomas sta esplorando l’orecchio di Glenn. - Non so. Potrebbe essere “Sotto il cespuglio” oppure “Al laghetto”. Glenn ridacchia. Quella lingua e quei denti che lo solleticano risvegliano in lui un desiderio forte e provoca Thomas: - Non mi sembra un film porno. La lingua gli percorre la guancia, gli sfiora la bocca. - Preferisci “In culo al poliziotto”? Glenn sente la tensione salire e gli sembra che persino la sua voce sia divenuta roca, quando risponde: - Bello. Che parte mi tocca? Thomas gli ha morso la nuca, poi la lingua lo accarezza dietro l’orecchio. - Quella che preferisci. Che cosa preferisce? Glenn lo sa benissimo. - Il protagonista. Quello che se lo prende in culo. Sî, ê quello che preferisce, anche se di solito gli tocca l’altro ruolo, perché il fisico virile attrae soprattutto quelli che amano farsi possedere. Thomas sale su di lui, Glenn avverte nuovamente quel peso familiare, che ridesta l’incendio. Le labbra, i denti e le mani di Thomas fanno il resto. Il peso scompare, Thomas lo volta ed incomincia a spogliarlo. Glenn ce l’ha già duro come una sbarra di ferro e non si stupisce, quando Thomas si cala i pantaloni e le mutande, di vederlo nella stessa situazione. È bello guardare il corpo massiccio di Thomas che lo sovrasta. È bello guardare quel cazzo superbo e pensare che tra poco gli entrerà nel culo. Dal taschino della camicia, che ora giace a terra insieme agli altri abiti, Thomas ha estratto la solita busta. Glenn gli porge la mano e Thomas gliela dà, sorridendo. Glenn scarta il preservativo e lo avvicina alla cappella di Thomas. Lo appoggia ed incomincia a srotolarlo con cautela, approfittandone per accarezzare quel bell’esemplare di uccello. Quando ha finito, Glenn si volta a pancia in giû e divarica appena le gambe. Non molto, gli piace sentire che l’ingresso viene forzato. Le dita di Thomas preparano la strada, poi lo spiedo infilza Glenn: benché Thomas si muova con cautela, la pressione ê leggermente dolorosa, ma ê esattamente quello che Glenn vuole. Gli piace quella mistura di sofferenza e piacere. Rimangono un buon momento cosî, poi Thomas dà il via alla danza. Il movimento di Thomas dentro di lui diviene presto un vortice che avvolge Glenn, con un ritmo sempre piû rapido. E nella vertigine di abbandono, Glenn perde ogni freno. Geme, mormora il nome di Thomas. La cavalcata sembra non avere mai fine, la cavalcatura ê lanciata al galoppo e vorrebbe non arrestarsi mai, mai. Ma i colpi dello sperone diventano sempre piû forti e Glenn viene. Poco dopo, sente Thomas lanciare una specie di grugnito ed abbattersi su di lui. - Ti amo, Glenn. Glenn ê stordito dal piacere, da quel corpo che pesa su di lui, da quell’uccello che lo riempie. Non risponde, non ê in grado di farlo. Solo quando Thomas esce da lui e gli si stende di fianco, Glenn riesce a dire: - Anch’io ti amo, Thomas. Rimangono stesi sulla coperta, a guardare il cielo e le fronde degli alberi sopra di loro, a guardarsi. È bellissimo stare sdraiati cosî, sentire la mano forte di Thomas che stringe la sua. Glenn si chiede se non ê tutto un sogno, perché non ê possibile che la sua vita sia cambiata in questo modo in poche ore.
In quel momento c’ê un forte rumore di rami smossi ed il grizzly appare nella radura. Il corpo di Glenn si tende. L’orso ê a pochi metri, inutile cercare di fuggire. Una paura folle si impadronisce di Glenn, paura che quell’orso si avventi su di loro, che li azzanni, che colpisca Thomas. Vorrebbe sollevarsi, stendersi su Thomas, proteggerlo con il proprio corpo. La voce di Thomas lo ferma. È solo un sussurro, ma il tono ê tranquillo. - Non ti muovere, Glenn. Non hai niente da temere. Glenn rimane immobile. L’orso si avvicina a lui. Glenn tira un sospiro di sollievo, perché Thomas non ê direttamente minacciato, ma quel muso che si avvicina, che ora gli sfiora una gamba, risale, si sporge per annusare una zona quanto mai delicata (-Questo no! - pensa Glenn), risale ancora, quel muso ê troppo inquietante. - Tranquillo, Glenn. La voce ê appena udibile, ma in qualche modo calma un po’ la paura di Glenn. Il muso dell’animale ê quasi contro la sua faccia, ora. Per un attimo interminabile l’orso gli annusa il collo e Glenn sente il suo alito, ma il pollice della mano che stringe la sua incomincia ad accarezzarlo e quel dito, che appena sfiora il dorso della sua mano, riesce a contenere la tensione. L’orso volta la testa, sembra dare un’occhiata a Thomas, poi si volta e si allontana trotterellando. Glenn respira sollevato. - Mi spiace, Glenn. Non pensavo che il vecchio Rusty venisse a trovarmi oggi. Non era nel contratto del film naturalistico, ma spesso lavora gratis. L’alce si fa pagare caro. Glenn guarda Thomas. Non dice niente, non ê sicuro di riuscire a controllare la propria voce. Thomas prosegue: - Lo incontro ogni tanto, qui al laghetto. La prima volta mi sono spaventato anch’io, poi abbiamo fatto amicizia. La voce di Glenn ê abbastanza ferma, ora: - Avrà fatto amicizia con te, ma ê me che ha annusato. - Certo, voleva sapere se eri l’uomo adatto per me. - E se decideva che non lo ero? - In questo caso oggi l’orso mangiava carne. Thomas lo guarda sorridendo. Prosegue: - Ma ê un orso intelligente. Glenn ora ride. La tensione si scioglie. - Sî, e se mi mangiava, dicevi che tanto non ero l’uomo giusto per te. Thomas aggrotta la fronte: - Se ti mangiava, ti facevo la multa. È proibito dar da mangiare agli orsi!
Sito di Ferdinando Neri: http://xoomer.virgilio.it/ferdinandoneri
Tutto avviene in un attimo: il coltello preme sulla sua gola ed una mano gli tappa la bocca. Il cuore si ferma ed una sensazione di gelo avvolge Bob. Un terrore cieco lo invade, se gli fosse possibile, Bob griderebbe, ignorando la voce che gli sussurra: - Non cercare di urlare, perché ti ammazzo subito. Bob vorrebbe che fosse uno scherzo di Andrew, ma sa che non lo è. L’uomo che gli punta
Attento al gorilla! Bob non vede l’ora di partire per godersi la sua settimana di vacanza a casa, in Nebraska: ha proprio bisogno di staccare un po’, prima dell’ultima tornata di esami. Dovrebbero esserci più vacanze e meno lezioni. L’autobus partirà tra poco ed al bar della stazione Bob sta scambiando le ultime chiacchiere con Andrew. Non è che badi molto a quello che dice il suo compagno
Godefroi osserva la prateria che si stende davanti a lui. Dalla collina su cui si trova, il suo sguardo scorre fino al fiume, che serpeggia non lontano, ancora coperto dalla nebbia mattutina. Oltre il fiume si innalzano le immense montagne che corrono lungo i confini meridionali del ducato. Il sole sta sorgendo, troppo presto perché Godefroi abbia la minima speranza di salvezza. I cacciatori si
Charles si rialza, intontito. Per Godefroi ê un miracolo vederlo muoversi. È ancora vivo. Per quanto? - Charles, dove sei ferito? Charles scuote la testa. - Niente, duca. Solo un graffio al braccio. Ma mi ê crollato addosso e mi ha stordito. Godefroi lo guarda. È vero, l’abito non ê lacerato, ê intriso di sangue, ma ê il sangue dell’orso. Charles non sta morendo. - Fammi vedere il
Domande pericolose Un racconto rosso di Ferdinando Neri Appoggiato al muro del cesso, tengo gli occhi chiusi e cerco di calmarmi. Non ê facile. Non ê facile. Ho fatto una cazzata ed ora mi sento morire. E dire che questa mattina ero cosî contento all’idea che finalmente ê arrivata l’estate: tra tre giorni la scuola finisce ed incominciano le vacanze. Tutti gli anni questo ê il momento
Si porta due dita alla bocca, le infila dentro, le lecca ben bene, quasi leccasse qualche cos’altro, che adesso non vede piû, perché Bondi ê voltato (ma questo va bene, perché cosî mette in vista qualcosa di altrettanto bello) e poi le sfrega lungo il solco, arriva alla fessura e, senza stare a pensarci, le spinge dentro. Il ragazzo ha un sussulto, si tende, ma ormai ê troppo tardi. E poi
Il diavolo custode Quel bastardo ce l’aveva fatta, era riuscito a dileguarsi un’altra volta. Nel canyon non si vedeva nessun segno di presenza umana e per terra nessuna traccia. Anche questa volta Jack The Jackal gli era sfuggito. Probabilmente aveva già raggiunto il confine del Messico e lui non poteva farci proprio piû niente. Tanto valeva che si rassegnasse. Lo sceriffo Pete Strain era
Il loro arrivo era previsto in mattinata, dalla strada di Dayton, come riferî Louis: lui aveva dei contatti a Ridge, dove si trovavano quei figli di puttana. Dan disse che si sarebbe fermato a dormire da Pete, nella camera sopra l’ufficio dello sceriffo, per essere pronto il mattino dopo. Quando i tre uomini furono usciti, Pete e Dan andarono a mangiare e poi rientrarono. Salirono in camera
Glenn cammina svogliato per le strade della cittadina. Guarda indifferente la gente seduta a mangiare nei ristoranti. Già, ê ora di cena. Ma Glenn non ha fame. Passa davanti ad un MacDonald’s e l’odore gli dà fastidio. Anche lî ê pieno di gente che mangia. Glenn si ferma un momento a guardare dentro. Le famigliole felici che masticano avidamente i loro hamburger gli sembrano caricature oscene.
- Un poliziotto con la tua esperienza non fa fatica a trovare un altro lavoro. Ad esempio qui cerchiamo da tempo un poliziotto che sia in grado di gestire anche i problemi con i minori. C’ê una situazione complessa, che non sto a spiegarti. Io non sono all’altezza. Certo dipende dai legami che hai, se vuoi cambiare stato. - Non ho nessuno in Oregon e piû mi allontano, meglio ê. - Allora
Il regalo di compleanno ovvero Le disavventure di Ferdinando Neri (quello sbagliato) Uno scherzo in rosso di Ferdinando Neri da un’idea di Monica B. - E lui mi dice: “Ma sei fuori di testa? A me piacciono le donne!” Ed io gli rispondo: “Non l’hai mai fatto con un uomo?”. E quello: “Figurati, io?!”. “Beh, non sai che cosa ti sei perso, amico. Ma non ê troppo tardi per rimediare.” Lui rimane
Un libro erotico ê un libro erotico, insomma, non si scrive un libro erotico. Evidente, no? - Pietro, io non leggo nemmeno libri erotici, figurati scriverli! Semplice, chiaro, perfetto! Ferdinando era proprio contento di essersela cavata in modo cosî brillante. - Non leggi libri erotici? Nemmeno uno ogni tanto? Tanto per stuzzicare l’appetito… - No. Ferdinando non sapeva come
Fino a dieci anni vissi a casa di mastro Rocco, il fabbro. Ad allevarmi furono suo figlio Giovanni e la moglie Chiara. Non ero loro figlio: ero stato lasciato sulla soglia dell’abitazione in una notte d’autunno, avvolto in una coperta. Non mi avevano raccolto solo per pietà, come intuii da alcuni loro discorsi: in qualche modo ero anch’io parte di quella famiglia ed infatti c’era una certa
Luca lasciô al mio corpo il tempo di adattarsi a quell’intruso benvoluto, poi prese a spingere, sempre delicatamente, ed il suo movimento continuô a lungo, tanto a lungo da stordirmi. Le spinte diventavano piû energiche ed io, senza quasi rendermene conto, gemevo, ma gemevo di piacere puro. Luca penetrava a fondo e si ritirava, in un continuo avanti ed indietro. Ad un certo punto la tensione
Prima dell’incrocio rallento e controllo la situazione. Nessuno dietro di me, nessuno nella direzione opposta. Bene. Svolto nella stradina secondaria e percorro i due chilometri che mi separano dal bivio per la cascina. Passo oltre senza rallentare, mentre lancio un’occhiata verso l’edificio, lontano neppure cinquanta metri. Una finestra ê illuminata, una luce fioca. L’ispettore Marcello
Lucien guardava la pista davanti a sé. Stavano salendo ed entro un’ora sarebbero giunti al passo. Di lî la discesa fino ad Al-Khatam, la capitale, avrebbe richiesto solo una mezz’ora. Aveva meno di due ore da vivere. No, non era cosî. Sarebbe stato meglio, se fosse stato cosî: ammazzato immediatamente, con una pallottola alla testa. Quello che lo aspettava era peggio, molto peggio. Conosceva
La pressione della lama sul collo di David aumentô leggermente, poi diminuî e David annuî. Allora la mano che gli chiudeva la bocca si allontanô. David abbassô lo sguardo sul pugnale e, benché la mano celasse una parte dell’elsa, ammirô il raffinato lavoro dell’orafo ed i due grandi rubini che costituivano gli occhi dell’animale favoloso. Non si stupî di vedere il pugnale in mano a Lucien, si
- Potresti almeno evitare questo linguaggio da caserma. Massimo Aliotti apre la bocca per replicare, ma uno sguardo supplichevole della moglie lo blocca. Bofonchia qualche cosa e tace, mentre la rabbia per l’osservazione del figlio lascia il posto alla frustrazione. Che cosa ha detto? Che cosa cazzo ha detto perché suo figlio lo debba rimproverare per il linguaggio che usa? Sarà libero di
Enrico lascia che la sua lingua riceva la carezza di un’altra lingua, Enrico penserebbe, se osasse pensare, che il piscio non ha poi un gusto ed un odore cattivi, no, per niente, varrebbe la pena di assaggiare meglio, non sembra mica male, ma tutto questo Enrico non lo pensa, perché l’ha già pensato. - Prima che arrivi la sera, avrai imparato un sacco di cose, maialino. “Prima che arrivi la
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