Due anni dopo. Sono passati due anni, mio figlio ha compiuto diciott¹anni proprio ieri sera... Riccardo e sua moglie Lucia sono venuti alla festa in suo onore. Mia moglie Augusta aspetta un altro bambino e siamo felici. Durante il party Riccardo mi ha proposto di accompagnarlo a casa sua per prendere qualche cartone di birra. Gli ho risposto che birra ce n¹era abbastanza, ma lui non ha voluto sentire ragioni, sostenendo che la sua birra era migliore. Non sei venuto al mio matrimonio. ‹ Mi disse Riccardo appena presi posto in macchina accanto a lui. Non ti sei fatto sentire, né vedere, per due anni. Ti sei fatto negare al telefono. ‹ Continuò vedendo che non rispondevo niente. Non mi sembrava il caso: siamo andati troppo in là. Se non fosse stato per Luigi che mi ha invitato alla sua festa di compleanno, chissà quanto tempo sarebbe passato ancora... Siamo andati troppo il là. ‹ Ripetei meccanicamente. Mi mancava il respiro. Per tutto il tragitto tenni lo sguardo fisso alla strada. Era cambiato. Era un uomo. Tutte le sue linee si erano indurite. Tutto il suo corpo si era come asciugato. Sotto la maglietta di cotone il suo torace si era definito in un reticolo di linee e protuberanze. I suoi capezzoli sporgenti erano due semisfere che ombreggiavano il tessuto candido. Non è stata una bella cosa da parte tua. ‹ Stava continuando mentre con la coda dell¹occhio osservavo la porzione di pelle del suo fianco che spuntava tra l¹orlo della maglietta e quello dei calzoni. Parcheggiò la macchina all¹ombra nel retro del palazzo. Raggiungemmo l¹ascensore passando dalla cantine. Arrivammo al suo appartamento. Già in ascensore si era sfilato la maglietta e mi aveva sbottonato i primi tre, quattro bottoni della camicia. ‹ Sono tutti i ferie. ‹ Disse col respiro grosso. Quasi avesse paura che io temessi che qualcuno ci vedesse. In verità non temevo niente. Ero incantato dalle variazioni che avevano trasformato il suo corpo adolescente, quello che io conoscevo, nel corpo solido e compatto di un adulto. Ora, un accenno di peluria ombreggiava il canale dei suoi pettorali e aureolava i suoi capezzoli bruni. Affondò il volto nel mio petto senza darmi tempo di ragionare. Due anni... Due anni...‹ Ripeteva come in ipnosi. Arrivati al suo pianerottolo mi parve che ci mettesse un tempo infinito a trovare le chiavi del suo appartamento e ad aprire. Finalmente entrammo. Richiuse la porta dietro di sé con un calcio. Senza abbandonare la presa intorno ai miei fianchi. Si sfilò le scarpe aiutandosi con i piedi. Finì di sbottonarmi la camicia e la fece cadere sul pavimento. Poi prese ad arrancare con la cinta dei miei calzoni. Li aprì lasciando che si accumulassero all¹altezza delle mie caviglie. Artigliò le mutande e le mandò a raggiungere i pantaloni. Ora ero nudo, inerme, eccitato. Il mio cazzo fece una puntata verso lo stomaco duro da farmi male. La bocca di Riccardo si era innamorata del mio capezzolo e gli faceva dichiarazioni umide e succose. Intanto la sua mano destra correva a saggiarmi l¹asta. ‹ Anche tu lo desideri come me. ‹ Disse staccandosi per un secondo dal mio petto. Lo lasciai fare. Volevo che fosse lui, lui soltanto a comandare il gioco. Senza abbandonare il sorbetto e la presa del mio cazzo si sbottonò i calzoni. La punta violacea del suo uccello prigioniero spuntava dall¹elastico delle mutande. Lo liberò prima che potessi fare qualunque cosa. Lasciò che svettasse a sfiorarmi le palle. Finalmente si inginocchiò, contemplò il mio cazzo a distanza ravvicinata per un attimo, quindi imboccò la cappella. Mi sentii mugolare. La sua lingua lavorava forsennatamente, inserendosi nella di pelle tra il prepuzio e il glande, nel frattempo la mano destra afferrava strettamente la base del mio cazzo e quella sinistra saggiava la turgidità, ormai spasmodica delle mie palle. Si accorse che stavo per venire nonostante mi fossi morso le labbra per non urlare di piacere. Abbandonò l¹operazione. Divenni frenetico, come impazzito. Avevo l¹uccello che minacciava di esplodere da un momento all¹altro. Spinsi Riccardo con la schiena contro il pavimento. Sfilai i suoi calzoni e le mutande dalle caviglie e li scaraventai per la stanza. Lo afferrai per i garreti costringendolo a poggiare i talloni sulle mie spalle. Come se spezzassi una pagnotta fragrante gli aprii le natiche e gli affondai nel culo i miei venti centimetri di voglia. Urlò. Di paura e di godimento. Cercò la mia bocca con la lingua protesa. Gliela negai. Esitai nel secondo affondo. E poi nel terzo. Sempre più lento. Volevo che impazzisse. Volevo sentirlo supplicare. Ogni volta che attendeva il fendente smetteva di respirare. Vidi che cercava di afferrarsi il cazzo durissimo con la mano destra. Glielo impedii, continuando a tenermi ad una distanza tale da non permettergli di raggiungere il mio viso, la mia bocca. Avanti, stronzo! Fottimi il culo! Sfondami! Che aspetti? ‹ Ululò a un certo punto. Ti piace il mio cazzo eh? ‹ Cominciai a grufolare. ‹ Ti è mancato in questi due anni? Quanto ti è mancato?‹ Continuavo. Ti prego, così mi uccidi! ‹ Implorava Riccardo. ‹ Non ho pensato ad altro per due anni, voglio sentire che mi schizzi dentro. Voglio guardarti mentre godi. Era abbastanza: cominciai a cavalcare come un pazzo, lasciando che le mie palle sbattessero contro le sue natiche. La mia sborrata fu un infinito fluire di magma dai miei lombi al suo sfintere. E quanto più sborravo tanto più mi sembrava che ce ne fosse di sborra. ‹ VIENIIIIIIIIII! ‹ Gli ordinai quando sentii dentro di me che si stava preparando il fiotto finale. E Riccardo venne. O meglio il suo cazzo ebbe un sussulto come se vivesse di vita propria ed eruttò, imbrattandomi il torace, sporcandoni il mento, a scatti furiosi. Il suo viso si contrasse in un ghigno allucinato: ‹ AHHHHHHMMMMMGGG! ‹ Mugolava. ‹ I bocca, prendilo in bocca... ‹ Implorava. Senza sfilarmi dal suo culo imboccai il suo cazzo per assaporare gli ultimi sussulti del suo orgasmo. Ora si agitava con furia nella mia bocca col cazzo che non accennava ad ammosciarsi. Continuò per un tempo infinito l¹andirivieni del suo palo viscoso nella mia bocca: ‹ ANCORAAAAA, ANCORAAAAA! ‹ Ansimava afferrandomi la nuca perchè non mi staccassi dalla sua appendice congestionata. Il suo cazzo era come lo ricordavo, forse leggermente più grosso. Presi a martoriargli il buco del culo col dito indice, poi nei infilai due, poi tre, presi confidenza con l¹ano che mi accoglieva morbido e imbrattato del mio orgasmo precedente, cominciai ad aprirlo a ritmo con la mia bocca. Succhiava aria a denti stretti: ‹ OHHHH! COSI¹! SIIIIIIIIIIIII! Era una bestia senza più un briciolo di pudore. La sua bocca spalancata a godersi ogni singolo istante del mio bocchino lo faceva sembrare un pesce abbandonato sulla riva. Il mio cazzo ricominciò a pulsare. Era una macchina, era un corpo autonomo che non riuscivo più a governare. Ruotando senza staccarmi da lui glielo schiaffai in bocca senza curarmi di usargli delicatezza. Riccardo lo inghiottì fino alla radice e lo poppava come se fosse il cibo di un affamato. Sentendolo vicino al secondo orgasmo presi ad affondare il mio pistone fino alla sua gola, senza regole, senza freni. Il suo cazzo si era fatto d¹acciaio la sua cappella prese a pulsare prigioniera della mia bocca e venne. Con schizzi sorprendentemente abbondanti, inondandomi il palato. Non riuscii ad inghiottirlo tutto, una parte colò dalla mia bocca al suo pube: cremoso e aromatico, leggermente salato. Lasciai sgusciare il suo cazzo dalla mia bocca. Fece uno schiocco sordo sbattendo contro la sua pancia. Lavoramelo bene! Cristo! È meraviglioso. Lo ciucci bene il cazzo! Deliravo. Proprio all¹altezza del mio torace il cazzo di Riccardo, nonostante le due sborrate ravvicinate, non voleva saperne di ammosciarsi. Nel menare fendenti alla sua bocca presi a strusciarlo con i peli del mio petto. Riccardo cominciò a sollevare il bacino perchè quel contatto fosse più preciso. Quella sborrata mi si organizzò nel cervello. Persi la vista per un secondo. Ululai come una bestia ferita e temetti di avere un infarto. La sborra prese a scorrermi bruciante lungo l¹asta. Gli innafiai la bocca senza più ritegno contorcendomi come in preda ad una crisi epilettica: ‹ GODOOOOOO! GODOOOOO! Bevi tutto troia del cazzo! Ciucciacazziiiiii! GODOOOOO! Lo senti? Lo senti come godooooooo! Mi abbandonai su di lui col viso affondato tra le sue cosce. ‹ Sei ancora duro! ‹ Constatai con sorpresa, sentendo che al contrario, il mio cazzo diventava molle nella sua bocca.