Mi lasciai andare senza preoccuparmi di schiacciarlo col mio peso. Riccardo non si muoveva era come assopito, molle di una mollezza passiva e calda. Respirava piano, regolarmente. La mia guancia ruvida nell'icavo tra il suo collo e la sua spalla. Mi pareva di non essere più in grado di prendere alcuna decisione. Come se potessi permettermi di rimandare ancora una cosa che andava fatta subito. La verità è che ero come diviso in due. Da una parte quello che ero stato mi imponeva di alzarmi, farmi la barba, vestirmi, chiudere definitivamente con quella follia. Dall¹altra quello che avevo scoperto mi sussurrava di non sbarrare l¹uscio, di accettare quella scoperta con serenità. In fondo non c¹era stata violenza. In fondo ero stato scelto. Ma non pareva, quest¹ultima, una ragione sufficiente a farmi stare meglio. Tutta la verità: ero un uomo maturo che aveva fatto del sesso con un minorenne. Anzi: che aveva appena inculato un ragazzino. Ne aveva abusato. E forse l¹aveva violentato. Checché ne dicesse lui, che restava sempre un moccioso contro i miei trent¹anni. Spettava a me, dissi, rendere impossibile tutto questo. Spettava a me. Soprattutto in virtù del fatto che i miei sedici anni li ricordavo perfettamente. E ricordavo perfettamente che c¹erano giorni in cui l¹avrei infilato dappertutto, giorni in cui fare sesso era l¹unico pensiero che avessi in mente. E forse in quei giorni mi sarebbe andato bene anche un maschio maturo e accondiscendente. L¹avevo violentato. Me lo dissi così, per rendere più sgradevole il tutto, per vedere se quella verità così sfacciata mi avrebbe costretto ad alzarmi da quel divano, invitare Riccardo ad andarsene definitivamente, magari provare a scusarmi per non essere riuscito a controllarmi, per non aver evitato quando ancora non era successo niente. ‹ Posso chiamarla papà? ‹ Disse lui dopo un silenzio infinito. Scattai in piedi, nudo, ridicolo, imbrattato di sperma, sudato. ‹ Certo che no! ‹ Urlai quasi. ‹ Come ti salta in mente! Riccardo si mise a sedere, guardandomi con una condiscendenza che sfiorava la pietà. ‹ Pensavo che sarebbe stata una cosa giusta. ‹ Disse. ‹ No che non è una cosa giusta! ‹ Urlavo veramente questa volta. ‹ Non c¹é niente di giusto in quello che abbiamo fatto! Riccardo era perplesso. ‹ Ho fatto qualche cosa di sbagliato? ‹ Chiese arquando le sopracciglia. ‹ Sono io che ho sbagliato! Ho sbagliato tutto! ‹ E mi resi conto di essere completamente nudo cespuglioso come una bestia di bosco. Mi resi conto che il mio cazzo non accennava ad ammosciarsi. Cercai a tentoni qualcosa da mettermi addosso. ‹ Posso fare una doccia prima di andare? ‹ Chiese mettendosi in piedi. Il suo cazzo era diventato un fagiolino tenero. Qualcosa di assolutamente innocuo e casto. Accennai di sì, mostrandogli la porta del bagno. Da solo in cucina mi calmai. Avevo rimesso l¹accapatoio. Ora la colonna sonora dei miei pensieri era lo scroscio dell¹acqua che proveniva dalla doccia. Ero più rilassato il cazzo aveva smesso di tirarmi. Malato. Mi dissi. Malato. Malato. Malato. Finocchio di merda. Pedofilo. Un futuro orribile mi crollò sulle spalle. Mi piegò col suo peso orrendo. E lo odiai. Odiai quello stronzetto che aveva rovinato la mia vita. Perché era stato lui! Lui era arrivato quando ne avevo bisogno. Quando la mia vita si era incagliata nel quotidiano, nella normalità. Mi sembravano passati anni da quando ero un uomo comune. Da quando ero un padre di famiglia e un marito affettuoso. Era stato lui! Caparbio, guidato da una legge che impedisce di considerare le conseguenze di quanto si intraprende. Una legge che si dimentica da adulti. Una legge terribile e cieca, che ottunde qualunque possibilità di chiarezza, di sobrietà. A grosse falcate procedetti verso il bagno. ‹ Che cosa vuoi? Che cosa vuoi da me? ‹ Urlai ancora una volta aprendo la tenda della doccia. ‹ Hai solo sedici anni per Dio! Riccardo si voltò verso di me. Era perplesso, non impaurito. ‹ Sedici anni? ‹ Chiese. Provò ad organizzare un sorriso. ‹ Fra due settimane ne compirò diciannove. ‹ Disse semplicemente. ‹ Non c¹è niente di cui debba preoccuparsi. Ora finirò di lavarmi e poi me ne andrò. Non è questo che vuole? Ed era bello! Col corpo perfetto, liscio come un legno lavorato. Con rivoli d¹acqua che si unsinuavano nelle sua cavità, e scivolavano sulla pienezza dei suoi pettorali, sulla compattezza delle cosce... Mi buttai sotto il getto caldo inginocchiandomi davanti a lui, prostrandomi come un pazzo mistico che adorasse una divinità crudele. ‹ Scusami... ‹ Uggiolai. ‹ Scusami... Scusami... Il mio viso affondava sul suo pube. Le mie labbra sfioravano i duri peli impermeabili che gli incorniciavano il cazzo. Presi a baciarlo. Abbrancandogli le natiche. Assaporai quel fagiolino tenero come se fosse l¹unico cibo di cui avessi bisogno per sopravvivere. Con un gesto noncurante mi aiutò a liberarmi dall¹accapatoio che si era inzuppato sotto il getto della doccia. Il suo cazzo cresceva dentro la mia bocca. Cresceva tanto da minacciare di soffocarmi, considerato il fatto che avevo difficoltà a respirare regolarmente sotto l¹acqua. Ma non mollai, me lo assaporavo, la mia lingua giocava col buchino della sua cappella. Lo sentii contrarsi. Sentì le sue mani che afferravano la mia nuca. Assaporai qualche goccia acidula che cominciava fuoriuscire dalla boccuccia anelante del suo glande. Sapeva di buono. E di pulito. Sapeva della cosa più casta, più religiosa, più tenera che avessi mai fatto. Fu un lavoro piuttosto lungo. Senza parole, se non i suoi gemiti che crescevano di intensità all¹unisono con i movimenti parossistici dei suoi lombi. Ora lavoravo l¹arnese succhiando solo la cappella come un lecca-lecca dolcissimo. Ora prendendo aria incameravo l¹asta per intero, per saggiarne la durezza, la mordicchiavo. Era perfetto. Quando venne stetti attento a non perdere neanche una goccia del suo sperma caldo, dolciastro, cremoso. Mi alzai in piedi barcollando un poco. Riccardo appoggiò la schiena alle piastrelle del box doccia. Sorrideva con una riconoscenza che poteva sembrare amore, totale, perfetto, appunto. Aprì le braccia ed io mi lasciai abbracciare dal suo corpo e dal getto caldo. Sembrava volesse sparire dentro di me, sembrava non voler trascurare nemmeno un millimetro della mia pelle, del mio corpo quando si avvolse a me. Restammo così, senza una parola, chissà per quanto tempo...